Le misure del governo puntano a privatizzare la sanità pubblica

Il 16 ottobre, alla conferenza stampa di presentazione della legge di Bilancio appena “approvata all'unanimità” dal Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni si concedeva toni trionfalistici nell'annunciare che con i 3 miliardi in più stanziati per il 2024 il governo realizzava nella sanità “il più grande investimento mai previsto”, tale da farle raggiungere “il più alto livello di tutti i tempi, quasi 136 miliardi di euro”.
E il 25 ottobre, nel dibattito alla Camera in vista del Consiglio europeo, a quanti criticavano tanto trionfalismo facendo osservare che i 3 miliardi non recuperavano neanche l'inflazione e che in realtà la spesa sanitaria subiva una diminuzione in percentuale sul Prodotto interno lordo, lei rispondeva sprezzante così: “Si dice che abbiamo tagliato i fondi alla sanità; voglio darvi un dato: 2020, COVID, Fondo sanitario 122 miliardi, Governo Conte; 2024, Governo Meloni, 136 miliardi!”. E poi continuava, alzando i toni e l'aggressività e scatenando un tifo da stadio nei banchi della maggioranza e proteste in quelli dell'opposizione: “Voglio spiegare agli italiani, già che ci sto, come fanno i partiti dell'opposizione a sostenere la tesi che noi abbiamo tagliato i fondi alla sanità, quando, invece, il Fondo sanitario è aumentato di anno in anno. Lo fanno con questo simpatico escamotage del rapporto con il prodotto interno lordo, cioè, in buona sostanza, siccome, cari italiani, durante gli anni in cui governava la sinistra il PIL crollava, i soldi che mettevano nel Fondo sanitario, anche se erano di meno di quelli che mettiamo noi, davano una percentuale più alta in rapporto al PIL. Invece, siccome noi il PIL lo stiamo facendo crescere, anche se quei soldi aumentano, la percentuale diminuisce. Spero che sia chiaro quello che sta accadendo!”.

Continua il calo della quota di Pil per la sanità
Ma la scaltra premier neofascista barava tanto abilmente quanto spudoratamente, non tanto con le cifre citate, ovviamente vere, quanto con la sua falsa conclusione che esse dimostrano un aumento reale di risorse per la sanità. Vediamo perché. La legge di Bilancio 2024 stanzia 3 miliardi in più per il prossimo anno, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026. Indubbiamente il Fondo sanitario nazionale cresce in valore nominale. Ciononostante nella Nota di aggiornamento al Def approvata qualche settimana fa la spesa sanitaria in rapporto al Pil - che ricordiamo in Italia è già nettamente inferiore alla media europea (7,1%) e ben lontana dai livelli di paesi come Francia e Germania (rispettivamente 10,1% e 10,9% nel 2022) - è prevista in calo, e precisamente passerà dal 6,8% del 2022 al 6,6% del 2023, al 6,2% nel 2024 e nel 2025 e infine al 6,1% nel 2026.
Meloni dice che questo calo è falsato dal confronto con gli anni della pandemia (2020-2022) caratterizzati da alta spesa sanitaria e basso Pil, e quindi da rapporto spesa/Pil più alto. Ciò è vero solo per il dato, non per la deduzione che lei ne ha truffaldinamente tratto, come dimostra il dettagliato quanto allarmante 6° Rapporto della Fondazione Gimbe, “Servizio sanitario al capolinea”, presentato il 10 ottobre nella Sala Capitolare del Senato. È vero infatti che nel triennio del Covid il Fondo sanitario nazionale è aumentato di 11,2 miliardi a fronte di un crollo verticale del Pil, sì che il rapporto spesa sanitaria/Pil ha superato decisamente il 7%. Ma se si osserva il grafico di figura 1 elaborato da Gimbe e qui riportato si vede chiaramente come, malgrado l'aumento continuo del Fsn in valore nominale assoluto, e a parte l'eccezione degli anni della pandemia, la tendenza alla discesa di tale rapporto (linea continua) non cambia da quando è iniziato il definanziamento del Fsn rispetto al programmato (37 miliardi dal 2012 al 2019, dal governo Monti in poi). Infatti il calo riprende anche per i prossimi tre anni, e addirittura con una pendenza ancora più accentuata che se fosse continuato secondo il trend medio precedente la pandemia (linea tratteggiata).

L'Italia fanalino di coda anche per la spesa pro capite
E non vale l'obiezione che si tratta di previsioni a legislazione invariata, cioè che non tengono conto dell'intervento della manovra. Dei 3 miliardi aggiuntivi per il 2024, infatti, ben 2,3 sono assorbiti dal rinnovo dei contratti 2022-2024 di medici e infermieri, il resto è destinato quasi tutto ad incrementare gli straordinari del personale sanitario per cercare di ridurre le liste d'attesa per visite e diagnostica, che accumulano ritardi spaventosi, anche di un anno. Non c'è quindi nessun vero investimento per invertire il progressivo collasso della sanità pubblica in atto, come l'assunzione dei 15 mila medici mancanti o della medicina territoriale tanto promesse durante la pandemia. E in ogni caso i 3 miliardi incrementano di un 2,2% in più il Fsn (di meno di uno 0,7% se si esclude la quota per il rinnovo dei contratti), a fronte di un'inflazione che quest'anno supera il 5% e per il 2024 è programmata al 2,4%. Dunque c'è un taglio del Fondo in termini reali, che secondo i calcoli dell'economista Cottarelli assomma al 4% tra il 2022 e il 2024.
Del resto la tendenza al continuo e sempre maggiore impoverimento del Ssn emerge chiaramente anche prendendo a riferimento la spesa sanitaria pubblica pro capite, specie se a confronto di quella degli altri paesi del G7, come si vede dal grafico della figura 2 preso dal succitato Rapporto Gimbe. La differenza con gli altri paesi è impressionante: non solo l'Italia è in fondo alla classifica, ma pur partendo da un livello nel 2008 non troppo distante dagli altri 5 paesi presi in considerazione (escluso Stati Uniti), nel corso degli anni la forbice è andata sempre più allargandosi, e il trend si è accentuato dopo la pandemia, tanto che il divario con la Germania, ad esempio, è passato dal 30% nel 2008 (2.300 dollari pro capite dell'Italia contro 3.000 della Germania), al 120% (3.300 dollari contro 7.000) nel 2022.
E come si è visto non c'è nulla in questa manovra che possa contrastare questa tendenza della forbice ad allargarsi sempre più. Secondo il Rapporto Gimbe, infatti, per raggiungere da oggi al 2030 non la Germania, ma solo la media pro capite europea, che nel 2022 era di 4.238 dollari (ancora sotto al livello di Giappone, Regno Unito e Canada), all'Italia occorrerebbe immettere nel Fsn circa 122 miliardi aggiuntivi, pari a 15 miliardi in più ogni anno. Dunque ha poco da fare l'arrogante e barare coi numeri la neofascista Meloni, con i suoi 3 miliardi che non coprono neanche l'inflazione.

Non si inverte il declino della sanità pubblica
La verità è che le misure inserite in questa legge di Bilancio sembrano pensate non per invertire il declino della sanità pubblica, ma al contrario per aumentarlo e per incoraggiare lo strisciante processo in corso verso la sua privatizzazione. Il rinvio di anni del rinnovo dei contratti (solo da gennaio cominceranno ad arrivare i 190 euro medi lordi del rinnovo del contratto 2019-2021) e il tetto imposto dal 2004 alle assunzioni che il governo si ostina a non revocare, preferendo puntare su espedienti come l'incentivazione degli straordinari, sembrano fatti apposta per incoraggiare la fuga di medici e infermieri dalla sanità pubblica, dove sono sottoposti a turni massacranti e con stipendi nettamente inferiori ai loro colleghi che lavorano nelle cliniche private. E infatti sta aumentando la fuga di medici e infermieri verso l'estero e verso la sanità privata e negli ospedali pubblici dilaga l'impiego di medici pagati a gettone, e addirittura si sta cominciando ad appaltare a privati interi reparti ospedalieri, comprese sale operatorie, come denuncia l'Associazione dei chirurghi ospedalieri (Acoi).
Non a caso, denuncia sempre l'Acoi, i concorsi per specializzandi vengono disertati da parte di molti laureati che preferiscono, visto che dal 2020 la laurea in medicina è diventata subito abilitante, impiegarsi nelle cliniche private e nelle Rsa dove si guadagna subito di più e in condizioni meno stressanti che a fare tirocinio negli ospedali pubblici. Così circa un terzo dei contratti restano non assegnati, e i laureati che partecipano ai concorsi scelgono per la maggior parte parte specializzazioni più comode (e più remunerative in futuro nel privato) come chirurgia plastica, dermatologia, radiodiagnostica, oftalmologia ecc., mentre vengono sempre più disertati i bandi per le specializzazioni più gravose, come medicina d'urgenza, anestesia e rianimazione, radioterapia e perfino chirurgia.
Avanza poi il fenomeno dei cosiddetti “camici grigi”, giovani laureati che preferiscono scegliere di lavorare a prestazione nelle guardie mediche a 200 euro netti a turno, a sostituire medici di famiglia e pediatri, a coprire turni nei 118 e nei pronto soccorso come gettonisti di cooperative pagati anche 500 euro a turno per coprire solo le piccole emergenze, e così via. Con uno scadimento generale della qualità e della sicurezza del servizio, un costo spropositato per il Ssn e l'umiliazione dei medici pubblici, pagati peggio, sottoposti a turni massacranti e caricati di molte più responsabilità. Non c'è da meravigliarsi se secondo i sondaggi ben il 40% dei medici pubblici valutano l'opportunità di andare a lavorare all'estero.
E come se non bastasse, aggiungendo la beffa al danno, la legge di Bilancio taglierà gli assegni pensionistici ai lavoratori della sanità rimodulando a scalare le aliquote di rendimento della parte retributiva per chi al 31 dicembre 1995 aveva un'anzianità inferiore a 15 anni. Un taglio che potrebbe arrivare fino al 23,8% della pensione, ha calcolato la Confederazione dei medici e dei dirigenti, che ha invitato “tutte le forze sindacali a mobilitarsi per sventare questa ennesima discriminazione”.

Verso la privatizzazione del SSN
Il fatto è che questo governo neofascista non vuole salvare la sanità pubblica, ma anzi intende completare il suo smantellamento per affermare un sistema sanitario tipicamente liberista, cioè prevalentemente privato, efficiente e d'eccellenza, accessibile solo alle classi più agiate e alle regioni più sviluppate del Centro-Nord, e una residua sanità pubblica povera e scadente per il proletariato, le masse più povere e il Mezzogiorno, come anticipa infatti il nero disegno di legge sull'autonomia regionale differenziata che è nel suo programma.
Basta pensare a come si intende affrontare il problema drammatico delle liste di attesa, che coinvolge circa 22 milioni di italiani, il 40% dei quali è costretto a rivolgesi alla sanità privata, mentre altri 2,5 milioni rinunciano addirittura a curarsi per mancanza di soldi: la legge di Bilancio stanzia 280 milioni per ciascun anno del triennio 2024-2026 per aumentare le tariffe orarie dei lavoratori che accettano di fare ore di straordinario per ridurre le liste di attesa, 100 euro lordi per i medici e 80 per gli infermieri, ma senza nessuna detassazione come era stato annunciato. E l'assurdo è che lo si chiede a lavoratori che hanno già accumulato centinaia di ore di straordinari e ferie non godute per far funzionare un sistema al collasso.
Ma oltre a ciò la legge aumenta il tetto di spesa in vigore dal 2012 per il ricorso a visite, esami e ricoveri acquistati dalla sanità privata, in ragione dell'1% nel 2024, del 3% nel 2025 e del 4% dal 2026 in poi (ossia per sempre, non soltanto fino al superamento dell'emergenza), con un impatto imprecisato sul Fsn, ma stimato a 280 milioni per il prossimo anno e 1,12 miliardi per i due successivi, per un totale di 1,4 miliardi; ripartito oltretutto a favore delle Regioni che acquistano di più dal privato. Si tratta in questo caso di una sfacciata misura di privatizzazione di un altro pezzo di Ssn sfruttando l'occasione offerta dal problema delle liste d'attesa. E infine, sempre per ridurre le liste, la legge dà la possibilità alle Regioni di attingere ad una quota “non superiore allo 0,4%” del fabbisogno sanitario, per un totale di 520 milioni, che comunque non sono risorse aggiuntive ma dedotte dal finanziamento generale. E cos'è questo se non un altro trasferimento occulto di risorse dalla sanità pubblica a quella privata?

8 novembre 2023