Il governo neofascista Meloni vara il “Piano Mattei” per espandere l'imperialismo italiano in Africa e per bloccare i migranti

Il 3 novembre, contestualmente al varo del disegno di legge costituzionale neofascista che istituisce il premierato, il Consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni ha approvato anche un decreto legge che definisce la governance e gli obiettivi del cosiddetto “Piano Mattei per lo sviluppo in Stati del continente africano”. Si tratta di uno dei principali cavalli di battaglia della premier neofascista, tanto che nella conferenza stampa dopo il Cdm ha voluto sottolineare la sua “continuità” con la controriforma costituzionale presidenzialista; la quale mira ad assicurare “stabilità che serve a costruire le strategie”, e il Piano Mattei “è forse il più significativo progetto strategico di questo governo a livello geopolitico di un'Italia che vuole tornare protagonista nel Mediterraneo”. Cioè, in pratica, ha detto che il premierato è disegnato su misura per la rinata politica estera imperialista, interventista e neocolonialista italiana nel Mediterraneo e in Africa, sulle orme di quella già percorsa storicamente dal suo predecessore e maestro Mussolini, e che il “Piano Mattei” è il cavallo di Troia per far avanzare tale politica.
In realtà quello approvato non è ancora il piano ma piuttosto la sua struttura, perché la presentazione del piano vero e proprio, denominato “Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei”, è stata rimandata al 28 gennaio, quando come da lei annunciato si terrà la conferenza Italia-Africa, la seconda dopo quella di Roma su migrazioni e sviluppo dello scorso luglio. E sempre nel 2024 ci sarà la presidenza italiana del G7, in cui intende inserire tra i punti in discussione i temi del continente africano, del Mediterraneo e delle migrazioni: “E quindi tutto torna all'interno di un'unica strategia”, ha chiosato Meloni.
È incredibile che anche tale piano sia stato varato col ricorso all'ormai super abusato strumento del decreto legge, con la formula “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del Continente africano, al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”; ed è ancor più incredibile che Mattarella l'abbia firmato, visto che non si vede dove stia l'urgenza di varare un piano che secondo la stessa Meloni richiederà almeno dieci anni per mostrare gli effetti.

Parlamento escluso e premier regista unico del piano
In sostanza il decreto, che si compone di 7 articoli, fissa gli obiettivi del piano, di durata quadriennale, che riguardano tutta una serie di temi anche apparentemente edificanti, come cooperazione allo sviluppo, istruzione e formazione professionale, tutela dell'ambiente, sostegno all'imprenditoria e in particolare giovanile e femminile ecc.; tra cui spiccano però soprattutto la “promozione delle esportazioni e degli investimenti”, l’“impegno compartecipato alla stabilità e alla sicurezza regionali e globali”, l'“approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche”, e la “prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare”. Giacché sono questi ultimi gli obiettivi veri del piano, al di là dello slogan del “modello di cooperazione non predatorio” con i paesi africani tanto sbandierato dalla premier neofascista: e cioè la penetrazione economica e militare dell'imperialismo italiano in Africa, lo sfruttamento delle risorse naturali ed energetiche del continente e il blocco dei flussi dei migranti verso le nostre coste.
La governance del piano è strutturata su una Cabina di regia a forma di piramide, in cima alla quale c'è la premier, affiancata dal ministro degli Esteri come vicepresidente e da tutti gli altri ministri. Ci sono poi il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, il direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, i presidenti dell’ICE- Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, la società Cassa depositi e prestiti S.p.A. e la società SACE S.p.A. Infine, della Cabina di regia “fanno altresì parte rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Quest'ultimo fissa anche i compiti della Cabina di regia, i tempi e le procedure di adozione e aggiornamento del piano, e istituisce anche una Struttura di missione presso la presidenza del Consiglio con il compito di coordinare l'azione di governo per l'attuazione del piano.
È significativo che il parlamento non sia coinvolto nella formulazione, l'aggiornamento e il controllo dell'attuazione del piano, se non attraverso la presentazione di una relazione annuale del governo per pura presa di visione, giacché il decreto non fa cenno di votazioni. Per quanto riguarda il finanziamento del piano la legge di Bilancio 2024 istituisce il “Fondo italiano per la cooperazione orizzontale per l'Africa” , con una dotazione per adesso di 200 milioni l'anno per il prossimo triennio, per un totale di 600 milioni presi tra l'altro dal Fondo per il clima creato nel 2021. Una beffa di cui si è vantata la stessa Meloni lo scorso ottobre in visita in Mozambico, accompagnata dall'ad dell'Eni Descalzi, per stringere gli accordi col presidente Nyusi sullo sfruttamento delle sue ingenti riserve di gas, dichiarando che “il 70% del nostro Fondo clima sarà dedicato all'Africa”: e cioè 3 miliardi di euro su un totale di 4,2, “un investimento importante con cui vorremmo spingere a un nuovo approccio tutta l'UE”.

Il bluff della “cooperazione non predatoria” con l'Africa
La scelta di usare il nome di Enrico Mattei, esponente della DC fautore di una politica energetica indipendente dell'Italia e creatore dell'Eni, è una sfacciata mossa propagandistica della Meloni per coprire i veri scopi del suo piano, sfruttando la fama di cui quel nome ancora gode in certi paesi africani. Nel suo recente libro-intervista, “La versione di Giorgia”, costei paragona infatti sé stessa a Mattei che “il petrolio e il gas li andò a cercare in Africa ma, a differenza di altri, sempre con grande attenzione alle esigenze economiche e umane degli Stati e dei popoli con i quali concludeva accordi. Diversi Stati africani lo considerano un eroe, gli hanno intitolato vie e targhe, che sono ancora lì oggi a distanza di sessant’anni. Mattei credeva nello sviluppo dell’Africa, nel diritto di quei popoli a vivere nel benessere grazie a ciò che il loro continente detiene. Perché l’Africa non è affatto povera, è soprattutto sfruttata”.
Un edificante quadretto anticolonialista, quello presentato dalla premier neofascista su sé stessa e Mattei, peccato però che anche quest'ultimo il colonialismo lo praticasse non meno di altre nazioni occidentali, anche se il suo era un colonialismo di tipo economico e commerciale, rispetto a quello feroce e armato delle compagnie petrolifere al seguito delle potenze coloniali, le cosiddette “sette sorelle” con cui si poneva in concorrenza, e che poi furono mandanti della sua eliminazione fisica: lo stesso tipo di colonialismo “soft” praticato oggi dalla Cina in Africa, per molti versi. In realtà rifarsi a quella storia è solo un pretesto per Meloni, anche perché il mondo è profondamente cambiato da allora, quando l'Africa stava appena uscendo dal primo colonialismo e molti suoi governi erano rivoluzionari e progressisti, e ci poteva essere anche un certo spazio per accordi non troppo predatori, mentre oggi quei governi sono corrotti e complici del neocolonialismo delle potenze imperialiste dell'Ovest e dell'Est.
Che quella della “cooperazione non predatoria” dell'Italia coi paesi africani sia una balla lo dimostrano le ricadute sui territori e le popolazioni coinvolte negli interventi dell'Eni, già oggi uno dei maggiori investitori europei nel continente: Alessandro Runci di ReCommon, un'“associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori”, riporta per esempio che secondo l'Ong francese Friends of the Earth il 90% della produzione di gas mozambicana è destinata all'export tramite un accodo con l'inglese BP, malgrado le promesse di Descalzi che la produzione sarebbe andata anche alla popolazione e allo sviluppo interno; e che secondo altre Ong come OpenOil e Oxfam America, Maputo incasserà meno della metà dei ricavi previsti dalla vendita del suo gas, e la maggior parte solo a partire dal 2040. Inoltre le multinazionali dell'energia, fossile e non, non pagano le tasse in quel paese ma nei più comodi paradisi fiscali internazionali. in Nigeria poi, altro Paese in cui Eni opera dagli anni Sessanta, “a maggio di quest’anno la Commissione ambientale dello Stato di Bayelsa, dove Eni gestisce il terminal di esportazione del petrolio, ha quantificato in 12 miliardi di dollari i danni causati dall’estrazione petrolifera. Secondo lo studio, almeno 110mila barili di petrolio sono stati versati nei fiumi, paludi e foreste, il 90% dei quali proveniente da impianti di proprietà di sole cinque compagnie petrolifere, tra cui Eni”.

Meloni riprende il disegno imperialista di Mussolini
È anche per questo che dal piano della premier neofascista dietro il nome di Mattei spunta sempre più quello di Mussolini e della ripresa delle antiche direttrici colonialiste dell'imperialismo italiano: il Sud del Mediterraneo, il “mare nostrum” che proietta l'Italia verso il Nord Africa, il Sahel, il Medio Oriente e il Corno d'Africa (Etiopia, Eritrea, Somalia); e l'Adriatico, inteso come un mare “interno” e porta verso i Balcani e l'Oriente, di cui l'accordo antimigranti col premier albanese Rama, che sottintende una sorta di “protettorato” che rievoca quello steso da Mussolini sull'Albania, è un esempio eloquente.
“È la nostra geografia a tracciare la nostra stessa missione. Cioè siamo lì come un ponte tra l’Africa e l’Europa Nord-Centro-Orientale. Ecco, il Piano Mattei vuole avvicinare questa domanda e questa offerta e l’Italia è la piattaforma ideale, direi naturale, per fare materialmente da centro di approvvigionamento e smistamento”, dice infatti la premier nel suo libro. E aggiunge: “Una scelta strategica per noi, che diventiamo lo snodo di tutto, per l’Africa, che si garantisce sviluppo e lavoro, e per l’Europa, che può così sganciarsi definitivamente dal problema della dipendenza dalla Russia”. Peraltro, conclude, “questa strategia diventa anche lo strumento più duraturo di contrasto all’immigrazione illegale di massa”.
Dunque, il disegno mussoliniano egemonico ed espansionista che si cela dietro il Piano Mattei dell'ambiziosa aspirante nuovo duce d'Italia è chiaro, e si muove al momento su due direttrici principali: far diventare l'Italia hub energetico d'Europa e bloccare il flusso dei migranti verso il nostro paese. Da qui i numerosi viaggi, le partnership e i contratti firmati dalla Meloni, sempre accompagnata da Descalzi e da delegazioni di manager e imprenditori di società pubbliche e private, con paesi ricchi di risorse energetiche e naturali come l'Algeria, la Libia, il Mozambico, l'Angola, il Congo-Brazzaville. Nonché il tentativo di costruire accordi separati, con o senza l'assenso e la partecipazione della UE, con singoli paesi di partenza e di transito dei migranti per bloccarli o rispedirli in Africa in cambio di finanziamenti ai loro governi dittatoriali e corrotti, come ha fatto con la Tunisia e la Libia. O per deportarli in altri paesi “esternalizzando” la costruzione e la gestione dei centri di detenzione dei migranti già approdati in Italia, come ha fatto con il recente accordo con l'Albania del socialdemocratico Rama.

15 novembre 2023