La polizia della prima ministra Sheikh Hasina reprime con violenza le manifestazioni uccidendo 3 operai tra cui una donna
Rivolta delle tessitrici in Bangladesh
Le operaie rivendicano l'aumento dello stipendio e più diritti e migliori condizioni nelle fabbriche

Partita due settimane fa con scioperi e manifestazioni per rivendicare un aumento di stipendio, più diritti e migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche, la grande mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori del tessile in Bangladesh è sfociata in una vera e propria rivolta a seguito della decisione della prima ministra Sheikh Hasina di non concedere ulteriori aumenti salariali e dopo che la polizia al suo servizio ha represso con violenza le manifestazioni uccidendo 3 operai fra cui una lavoratrice.
E sono soprattutto le lavoratrici le protagoniste in prima linea della protesta tanto da essere stata soprannominata “la rivolta delle tessitrici”, poiché sono il 95% della forza-lavoro occupata nelle fabbriche tessili.
Il 7 novembre un comitato nominato dal governo aveva aumentato gli stipendi dagli attuali 8.300 taka (circa 70 euro) a 12.500 taka (106 euro) ma le operaie ne chiedono almeno 23mila (195 euro), d'accordo anche le organizzazioni sindacali che hanno definito il nuovo salario imposto dalla Hasina un “salario di povertà”. Secondo due siti specializzati citati dal giornale locale Dhaka Tribune, nel marzo del 2022 il salario medio mensile del Bangladesh, che ha più di 170 milioni di abitanti ed è l’ottavo paese più popolato al mondo, corrispondeva all’equivalente di 280 euro, quattro volte quello percepito da chi lavora nell’industria del tessile.
Kalpona Akter, presidente della Federazione dei lavoratori dell’abbigliamento e dell’industria del Bangladesh, lo ha definito un misero aumento, aggiungendo, “che i lavoratori sono in difficoltà perché i prezzi dei beni di uso quotidiano stanno aumentando” definendo la proposta come inaccettabile. L’inflazione nel Bangladesh è al 9,5% e le lavoratrici e i lavoratori non arrivano a fine mese neanche con gli straordinari. Nelle rivendicazioni delle lavoratrici oltre l'aumento dei salari chiedono più diritti, e non vogliono più essere la manodopera a basso costo di un settore come quello del tessile che a livello mondiale assicura profitti miliardari ai capitalisti.
Contro la giusta rivolta delle operaie tessili la controffensiva governativa e padronale è stata violentissima, la polizia di Hasina per salvaguardare gli interessi delle multinazionali reprime a suon di manganelli e pallottole le manifestazioni delle operaie in sciopero che da oltre 15 giorni si riversano nelle piazze di tutto il Paese.
Tre i morti negli scontri, l’ultima delle quali una ragazza di 23 anni uccisa con un proiettile dalla polizia; decine e decine i feriti e gli arresti. I sindacati accusano il governo e la polizia di aver arrestato e intimidito gli organizzatori: “la polizia ha arrestato Mohammad Jewel Miya, uno degli organizzatori dei nostri sindacati. È stato arrestato anche un leader di base”, dichiara Rashedul Alam Raju, segretario generale della Bangladesh Independent Garment Workers Federation. Un altro rappresentante sindacale afferma che i sindacati sono stati minacciati dalla polizia di interrompere le proteste e accettare l’offerta salariale: “Almeno sei sindacalisti di base sono stati arrestati”. Nel tentativo di reprimere le manifestazioni sono stati dispiegati anche una cinquantina di plotoni paramilitari della guardia di frontiera nelle principali aree produttive (Ashulia, Mirpur, Savar e altre) che circondano la capitale.
Ad Ashulia, a nord della capitale Dhaka, dove si trovano alcune delle più grandi fabbriche del Bangladesh, basti pensare che in alcune di esse lavorano fino a 15mila lavoratrici in un unico stabilimento a più piani, il 9 novembre la polizia di Sheikh Hasina ha utilizzato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro le lavoratrici in sciopero. Mentre a Gazipur, il più grande polo industriale del Paese, almeno 20 fabbriche sono state serrate dai padroni per paura che le operaie e gli operai le occupassero, e la polizia ha sparato lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere gli oltre 1.000 lavoratori che bloccavano l’autostrada. Sono oltre 600 le fabbriche che sono state costrette a chiudere i battenti per lo sciopero. Quattro di esse sono state bruciate nelle proteste. Almeno un bus è stato incendiato e numerose vie di comunicazione sono state bloccate durante le manifestazioni.
Una mobilitazione forte e compatta, che secondo i commentatori locali si sta rivelando come una delle più grandi da oltre un decennio.
La prima ministra Hasina sta usando il pugno di ferro, reprimendo il dissenso e qualunque forma di opposizione, arrivando anche a minacciare i licenziamenti: “Se scendono in piazza per protestare su istigazione di qualcuno perderanno il lavoro e dovranno tornare al loro villaggio”, riferendosi alle lavoratrici. “Se queste fabbriche vengono chiuse, se la produzione viene interrotta, le esportazioni vengono interrotte, dove saranno i loro posti di lavoro? Devono capirlo”, ha aggiunto.
Il Bangladesh è il secondo Paese produttore di indumenti al mondo dopo la Cina, nelle 3.500 fabbriche di abbigliamento che riforniscono multinazionali come Levi's, Zara, H&M, Gap, Walmart vi sono occupati 4 milioni di lavoratori nella maggior parte donne, supersfruttate, in condizioni di lavoro terribili, con orari lunghissimi e una paga da fame. Dopo il crollo del Rana Plaza (un edificio commerciale di 8 piani che ospitava oltre a una banca anche una fabbrica tessile) nella capitale Dakha, avvenuto il 24 aprile 2013, nel quale persero la vita 1.134 lavoratori, con circa 2.515 feriti, venne firmato l’Accordo sugli incendi e la sicurezza edilizia in Bangladesh (AISEB) tra diverse multinazionali e alcuni sindacati, pubblicizzato e celebrato come un esempio di responsabilità sociale delle imprese, in realtà impegna unicamente le grandi multinazionali a partecipare con somme irrisorie per loro: 500.000 dollari all’anno per i cinque anni di vigenza dell’accordo. Le multinazionali si sono sempre opposte all’adozione di norme obbligatorie per salvaguardare la salute delle lavoratrici tessili e i governi del Bangladesh fin qui succedutisi gli continuano a offrire manodopera a basso costo, come carne da macello, in nome del profitto capitalista.

15 novembre 2023