Il governo neofascista Meloni contro i sindacati
Gravissimo attacco di Salvini al diritto di sciopero
Il Garante limita lo sciopero
 
L'attacco al diritto di sciopero portato avanti in questi giorni dal governo, e in particolare dal ministro e capo della Lega Salvini, sono un'ulteriore conferma del carattere neofascista dell'esecutivo guidato dalla Meloni. Dovrebbe essere ormai chiaro come esso non sia soltanto il continuatore delle politiche di lacrime e sangue di Draghi, come si afferma da sinistra e anche da chi si dichiara comunista, ma un governo che, seppur sotto forme diverse, si riconnette al Ventennio mussoliniano mettendo in discussione gli stessi diritti democratico-borgesi e la stessa forma parlamentare.
“Milioni di italiani non possono essere ostaggio dei capricci di Landini che vuole organizzarsi l’ennesimo week end lungo”. Queste le offensive e gravissime parole usate dal ministro fascioleghista in riferimento agli scioperi del 17 novembre e dei giorni successivi indetti da Cgil e Uil contro la finanziaria e la politica economica e sociale del governo di cui fa parte. Affermazioni che associano la lotta dei lavoratori per difendere i loro diritti a un pretesto per godere di un giorno in più di ferie. “Quello dello sciopero è un diritto previsto dalla Costituzione e, soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, la proclamazione di uno sciopero, per i lavoratori significa rinunciare ad un giorno si paga - gli ha risposto il segretario Generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi - continuiamo ad assistere ad un abuso nel limitare le azioni di sciopero precettando o comunque impedendo ai lavoratori di mobilitarsi”.
“Sbagliato non considerarlo uno sciopero generale”, ha replicato Landini riferendosi alla decisione presa dal Garante. “Come abbiamo detto alla Commissione troviamo sbagliata l'interpretazione che dice che non è sciopero generale. Mette in discussione un diritto. È una interpretazione compiacente, utilizzata dal ministro Salvini in modo strumentale” per impedire il diritto di sciopero. “Non è una vacanza. La gente perde soldi, è un atto impegnativo, i lavoratori pagano un prezzo, perdono parte del proprio salario” ha continuato il segretario generale della Cgil.
Il Ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini ha fatto capire che non si fermerà alle precettazioni, a cui era ricorso il 29 settembre scorso contro uno sciopero indetto dal sindacato Usb. Non di tratta di una “sparata” delle sue, il suo atteggiamento strafottente e da bullo, onde apparire più fascista degli esponenti di Fratelli d'Italia, rivela come questo governo abbia messo nel mirino uno dei diritti che qualsiasi costituzione borghese garantisce. “Sto lavorando al diritto di sciopero, che però deve essere contemperato al diritto del lavoro e della sicurezza. Il Paese non ha bisogno di blocchi, ha bisogno di correre”, ha detto davanti alla platea di Federmanager, riunita in assemblea annuale a Roma. Aggiungendo: “La legge me lo permette, non abbiamo bisogno di blocchi, fermi e scioperi, ma di correre e produrre”.
Un atteggiamento che ha tenuto anche dopo lo sciopero, giudicandolo un flop quando invece le piazze erano piene come non si vedeva da anni. Evidentemente Salvini e il governo neofascista della Meloni temevano questo sciopero e la rabbia delle lavoratrici, dei lavoratori e di chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, di chi non crede alla propaganda governativa di fronte ai tagli alla spesa pubblica e alle pensioni, ai regali alle banche e ai padroni. Una politica che sta velocemente ridimensionando anche quel consenso acquisito elettoralmente grazie all'insofferenza delle masse verso i governi precedenti. Ciò nonostante molti esponenti della destra hanno trovato “strano” che il sindacato protestasse contro una Manovra a loro dire “favorevole verso chi lavora e chi è più in difficoltà”. Affermazioni prive di qualsiasi fondamento, in ogni caso non deve certo essere il governo a dire ai sindacati quando e come si può scioperare.
Se Salvini è quello che si è esposto di più, tutto il governo Meloni è schierato con le precettazioni e con la stretta al diritto di sciopero, anche se la presidente del Consiglio assume una posizione più defilata scaricando la responsabilità tecnica sul Garante. "La decisione di precettare è stata assolutamente condivisa sulla base di una indicazione che arrivava da un'autorità indipendente, non sulla base di una scelta politica. Sulla base di una scelta di mediazione tra due diritti che vanno entrambi garantiti". Lasciando intendere che il governo non vi ha influito, aggiungendo: "Non è intenzione del governo modificare la normativa sul diritto di sciopero".
La Meloni mente sapendo di mentire. Primo perché come abbiamo detto Salvini dice che sta lavorando per limitare ulteriormente il diritto di sciopero, secondo perché la commissione di garanzia sugli scioperi è nominata dal governo ed è chiaro che, a fronte delle pressioni del ministro leghista e dell'esecutivo ha preso una decisione politica, che rispecchia gli orientamenti del governo. Per questo non scendiamo nemmeno tra le pieghe interpretative e del regolamento, che in ogni caso si appellano al fatto che lo sciopero per essere generale deve essere in una sola data e in tutto il territorio nazionale. Questioni di “lana caprina” per limitare un fondamentale diritto costituzionale e spuntare una delle principali armi in mano ai lavoratori per far valere i propri diritti.
La questione del Garante sugli scioperi è poi un'anomalia tutta italiana. Anche in altri Paesi europei ci sono delle limitazioni nei settori pubblici, in particolare nei trasporti e nella sanità. In genere però c'è una contrattazione tra le parti, e non un organismo messo lì dal governo che ne decide la legittimità. In Italia abbiamo un regolamento tra i più restrittivi al mondo, che non ha uguali all'estero. Per rimanere in tempi recenti basti ricordare lo sciopero della metropolitana di Londra e dei treni in Gran Bretagna, per diversi giorni e nel periodo delle feste natalizie del 2022. O gli scioperi dello scorso anno in Francia, dove furono bloccati trasporti, raffinerie, centrali elettriche e la più grande centrale nucleare del paese transalpino. In Italia sarebbero stati tutti scioperi fuorilegge, con multe fino a 100mila euro per i sindacati e dai 2500 ai 50mila euro per i singoli scioperanti, fino al possibile licenziamento, come prevede il nostro codice di regolamento.
Detto questo non possiamo esimerci dal sottolineare la debolezza della risposta sindacale e le colpe stesse del sindacalismo confederale rispetto alle leggi che restringono il diritto di sciopero. Se il Garante strumentalizza il regolamento e comunque si volevano evitare le multe, allora Cgil e Uil potevano cambiare modalità, fare lo sciopero generale veramente di tutte le categorie lo stesso giorno; la commissione di garanzia non aveva scuse e lo sciopero bloccava l'Italia in misura ancora maggiore. Invece Landini e Bombardieri, al di la delle giuste proteste contro la precettazione, hanno piegato la testa e accettato di ridurre da 8 a 4 l'astensione nel settore dei trasporti. Al punto da far esclamare al ministro fascioleghista: “Ha vinto il buon senso”.
Per non parlare delle leggi che “regolamentano” gli scioperi. Nel 1990 fu varata, con l’accordo dei principali partiti e delle grandi confederazioni sindacali, la legge 146 che disciplinava il diritto di sciopero nei servizi pubblici. Quella legge introduceva pesanti limiti all’azione sindacale, limiti superiori a quelli esistenti in tanti paesi occidentali. Poi nel corso degli anni una interpretazione sempre più estensiva dei vincoli di legge, operata dalla figura cardine da essa istituita, quella del “garante”, ha spesso annullato il senso stesso dello sciopero nel sistema dei servizi.
Per altre vie il sistema antisciopero si è esteso anche alla contrattazione privata. Con il Testo unico sulla rappresentanza del 2014, il contratto dei metalmeccanici del 2016 e il Patto di fabbrica con la Confindustria del 2018 sono state introdotte nel rinnovo degli accordi le cosiddette “ clausole di raffreddamento”, cioè periodi nei quali non si può scioperare, ma solo discutere al tavolo. Questo ha comportato uno squilibrio tra le parti, perché i padroni continuavano ad agire mentre i sindacati e le Rsu potevano solo esporre le proprie ragioni. Un raffreddamento e un rallentamento dell’azione rivendicativa, che mantiene bloccati i lavoratori proprio nel momento in cui le condizioni di mercato favorevoli avrebbero reso più incisivo lo sciopero.
Tutte queste leggi restrittive hanno portato al depotenziamento dello sciopero, specie nel settore dei trasporti. In questo comparto la “regolamentazione” fu fatta pensando principalmente a ridurre l'azione dei sindacati di base, che non si piegavano alla concertazione e che si erano rafforzati nel settore dei trasporti pubblici. Leggi avallate da Cgil-Cisl-Uil che volevano limitare la forza delle sigle non confederali e avere il monopolio della rappresentanza. Le stesse leggi antisciopero che oggi Salvini, il governo neofascista della Meloni e il Garante oggi rivolgono contro i sindacati confederali.

22 novembre 2023