Orrendo assassinio patriarcale di Giulia Cecchettin
Fermare il femminicidio
Lotta al patriarcato, educazione sessuale, all'affettività e alle differenze nelle scuole, centri contro le violenze alle donne. Sollevare le donne dai lavori domestici e di cura familiari. Presenza paritaria dei sessi nelle istituzioni, nel parlamento, nel governo, nelle istituzioni locali e negli organismi politici, sindacali, sociali, culturali e religiosi
Trasformare questa marcia società capitalista e borghese

L’orrendo assassinio patriarcale di Giulia Cecchettin, uccisa a Vigonovo (città metropolitana di Venezia) dall’ex fidanzato Filippo Turetta con inaudita ferocia, ha fatto riesplodere il problema della violenza contro le donne e il femminicidio nell’opinione pubblica suscitando oltre a commozione una grande indignazione e mobilitazione da parte delle masse femminili, giovanili e popolari che hanno riempito le piazze, le università e le scuole per gridare forte che è ora di fermare il femminicidio. Manifestazioni che sono sfociate nella grandiosa manifestazione di 500 mila donne e uomini a Roma del 25 novembre, organizzata da “Non una di meno” in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, contro il patriarcato e per la libertà delle donne, e in altre decine e decine di manifestazioni in tutta Italia.
Un merito di questa grande risposta popolare è anche della sorella di Giulia, Elena Cecchettin, che all’indomani del ritrovamento del corpo della sorella, durante la fiaccolata che si è svolta nella serata di domenica 19 novembre e poi con una lettera scritta al “Corriere di Padova” ha trasformato il proprio dolore privato in una denuncia ferma e lucida del femminicidio come frutto del patriarcato e dello Stato attirandosi una crogiola di insulti e la rabbiosa reazione della destra neofascista che non vuole sentire parlare di patriarcato e perciò l’accusa di “ideologizzare” l’accaduto e di trasformare arbitrariamente una responsabilità individuale in un caso politico e sociale.
Elena Cecchettin ha sostenuto che “Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura”
E conclude: “Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”.

All’origine deIla violenza sulle donne
Come non darle ragione. Da sempre la destra borghese in modo aperto, ma anche esponenti della cosiddetta “sinistra” borghese, come il liberale filoputiniano Marco Travaglio, in modo più subdolo e mascherato, sostengono che non è il patriarcato, di cui negano l’esistenza, la causa dei femminicidi e della violenza di genere e che si tratta solo di semplici “assassini”, di “mostri”, di “raptus”, di “infermità mentale”, di uomini che non sono stati “educati alla sconfitta”, di meri “maschilisti”, di “istinto ancestrale”. La deputata leghista ed ex magistrata Simonetta Matone intervenendo sull’uccisione di Giulia Cecchettin si è spinta a sostenere che la colpa sarebbe delle madri: “Non ho mai incontrato dei soggetti gravemente disturbati che avessero però delle madri normali”.
Come consuetudine le donne da vittime vengono ancora trasformate in colpevoli. Colpevoli di imprudenza perché si sa che là fuori ci sono i “lupi” come ha sostenuto a proposito dello stupro di Caivano, l’ex partner di Giorgia Meloni, nonché molestatore di colleghe, Andrea Giambruno, per come si vestono, per quanto bevono, perché stanno fuori fino a tardi e ora anche in quanto madri di “mostri”.
La realtà è ben altra. Secondo il CNR, 12 milioni di donne hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. Dall’inizio dell’anno sono già 107 le vittime di femminicidio, 85 donne al giorno sono state vittime di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking. Le denunce di molestie fisiche, mentali e psicologiche, di stupri e aggressioni, di ricatti e violenze sessuali e di ogni tipo sono in continua crescita e sono solo la punta di un iceberg che stenta ancora a emergere. Soprattutto perché la stragrande maggioranza di queste violenze avviene proprio nell’ambito familiare, da parte di mariti, fidanzati, ex partner dove la paura di perdere i figli, la mancata autonomia economica e lavorativa, la paura di non essere credute e supportate dalle istituzioni preposte, come polizia e magistratura, rappresentano per le donne altrettante catene che le tengono prigioniere dei loro aguzzini.
Questa immane mattanza, alla quale si aggiungono l’omofobia e le violenze contro le persone omosessuali e transessuali, non è altro che il frutto della cultura, della morale e dell’etica borghese patriarcale e maschilista dominante che permea ogni aspetto della vita economica, sociale, lavorativa e familiare. Ed è questa sovrastruttura culturale e morale che permea la organizzazione economica, produttiva e sociale del sistema capitalistico, fondata sulla disuguaglianza fra i sessi, sulla rigida divisione dei compiti e dei ruoli fra uomini e donne nella famiglia e nella società, sul controllo, l’oppressione e la subordinazione del sesso femminile da parte di quello maschile in ogni ambito. Questa mattanza è anche figlia dell’inettitudine del governo e delle istituzioni borghesi, a partire dalla magistratura e dalle “forze dell’ordine” troppo spesso complici o indulgenti verso chi molesta, aggredisce o violenta le donne.

Il governo Meloni complice e sostenitore del patriarcato
Il governo neofascista di Giorgia Meloni, che oggi piange lacrime di coccodrillo sull’uccisione di Giulia Cecchettin, rappresenta il miglior alleato del patriarcato. Fin qui la violenza sulle donne è servita strumentalmente solo per rafforzare le misure di repressione e l’inasprimento delle pene, per alimentare la campagna contro l’immigrazione, per imporre il controllo e la militarizzazione delle città e soprattutto delle periferie urbane considerate a “rischio” come Caivano attraverso una serie di decreti di urgenza di natura razzista e antimeridionale. Questa volta ci troviamo di fronte a un delitto compiuto da un italiano, giovane universitario, di buona famiglia e del nord e quindi il governo non ha potuto invocare a gran voce solo la caccia all’immigrato, alla “castrazione” dello straniero come più volte chiesto da Salvini. Ma nella sostanza la ricetta del governo non è affatto cambiata.
All’indomani dell’uccisione di Giulia, attraverso una telefonata fra Meloni e la segretaria del PD Elly Schlein, che ha sancito la capitolazione di quest’ultima alla linea del governo, è stata approvata definitivamente dal Senato la legge della ministra della famiglia Roccella (FdI) con il voto unanime della destra e della “sinistra” borghese. Una legge che si limita a rafforzare il carattere punitivo, repressivo e di controllo delle norme già in vigore contro la violenza sessuale, mentre è completamente priva di norme per la prevenzione e l’aiuto concreto alle donne vittime di violenza.
Per quanto riguarda la prevenzione il ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara (Lega), si è limitato a presentare il progetto “Educare alle relazioni”, che nella pratica dovrebbe concretizzarsi in semplici “gruppi di discussione” alla presenza di professori, fuori dell’orario scolastico e solo per le scuole secondarie di secondo grado. E a capo di questo progetto come coordinatore ha chiamato nientemeno che Alessandro Amadori, psicologo docente di marketing politico e di psicologia alla Cattolico di Milano noto per la sua misoginia riassunta nel suo libro “La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere”, dove sostiene che anche le donne sono altrettanto violente e cattive degli uomini.
È del resto risaputo che la destra neofascista con a capo Meloni e Salvini, si è sempre opposta all’inserimento di una vera informazione ed educazione sessuale nelle scuole.
Nel maggio scorso i parlamentari europei del partito neofascista della Meloni, Fratelli d’Italia, e della Lega neofascista e razzista di Salvini, si sono astenuti alle risoluzioni che chiedevano all’Unione europea di ratificare la Convenzione di Instambul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, con la motivazione che l’educazione e il diritto di famiglia devono essere materie di competenza esclusiva dei singoli stati. Come dire: vogliamo continuare a imporre a nostro piacimento in Italia, nelle scuole e nella società, una concezione patriarcale, maschilista, borghese e cattolica della famiglia, della sessualità, delle donne.
Ci vuole ben altro che una foto tutta al femminile di Meloni circondata da madre, nonna e figlia per respingere le accuse di patriarcato mossagli dalla giornalista de La7 Lilly Gruber. Per la sua cultura e pratica neofascista maschilista, mai rinnegata e al contrario rivendicata come merito, Meloni è la prima paladina del patriarcato. Non a caso nei suoi discorsi e atti politici e di governo ha rilanciato la triade mussoliniana “Dio, patria e famiglia”, attraverso una politica familista e sulla natalità che richiama direttamente quella del ventennio mussoliniano. L’identificazione delle donne e delle lavoratrici e dei loro diritti economici, sociali, pensionistici solo con il loro essere madri, come risulta dai vari provvedimenti e dalle leggi finanziarie varate da questo governo, è perfettamente dentro il patriarcato che assegna alla donna, come spiega Engels, un ruolo marginale e secondario nel sistema economico-sociale, l'ha “avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli ”. E che dire poi della martellante esaltazione di Meloni e camerati della famiglia borghese quale modello e “forma cellulare della società civile ”? Quella famiglia nella quale, sempre secondo Engels, “Per assicurare la fedeltà della donna, e perciò la paternità dei figli, la donna viene sottoposta incondizionatamente al potere dell'uomo; uccidendola egli non fa che esercitare il suo diritto”.
Il governo Meloni ipocritamente promette ora interventi concreti per contrastare la violenza di genere, ma intanto ha tagliato i fondi per i centri antiviolenza del 70%. Si è passati dagli oltre 17 milioni di euro per il 2022 ai 5 milioni per il 2023. Mentre la Regione Lazio, guidata da Francesco Rocca (Fratelli d’Italia) ha richiesto lo svuotamento dello storico e simbolico centro antiviolenza autogestito “Lucha y Siesta”.
Questo governo ha imbarbarito, rafforzato e incarognito ulteriormente il sistema capitalista neofascista. Si pensi al razzismo, al trattamento dei migranti, alla repressione delle masse in lotta, all’inasprimento delle pene per i promotori di picchetti e blocchi stradali e ferroviari, per gli occupanti di case ed edifici, persino l’introduzione del carcere per le donne incinte con l’esplicito intento di colpire le donne rom, più povere o emarginate, alla diffusione dell’omofobia e del maschilismo, l’attacco spietato alle famiglie omogenitoriali.

L’origine del patriarcato
Cosa è il patriarcato e come lo si combatte lo spiega bene il grande Maestro del proletariato internazionale, Federico Engels, nella fondamentale e sempre attuale opera “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”. Engels spiega che “Con la famiglia patriarcale, e ancor più con la famiglia singola monogamica, le cose cambiarono. La direzione dell'amministrazione domestica perdette il suo carattere pubblico. Non interessò più la società. Divenne un servizio privato; la donna divenne la prima serva, esclusa dalla partecipazione alla produzione sociale. Soltanto la grande industria dei nostri tempi le ha riaperto, ma sempre limitatamente alla donna proletaria, la via della produzione sociale. Ma in maniera tale che se essa compie i propri doveri nel servizio privato della sua famiglia, rimane esclusa dalla produzione pubblica, e non ha la possibilità di guadagnare nulla; se vuole prender parte attiva all'industria pubblica e vuole guadagnare in modo autonomo, non è più in grado di adempiere ai doveri familiari. E come accade nella fabbrica, così procedono le cose per la donna in tutti i rami della attività, compresa la medicina e l'avvocatura”.
“La moderna famiglia singola – continua Engels - è fondata sulla schiavitù domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Al giorno d'oggi l'uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario. Nel mondo dell'industria lo specifico carattere dell'oppressione economica gravante sul proletariato, spicca in tutta la sua acutezza soltanto dopo che tutti i privilegi legali particolari della classe capitalistica sono stati eliminati, e dopo che la piena eguaglianza di diritti delle due classi è stata stabilita in sede giuridica. La repubblica democratica non elimina l'antagonismo tra le due classi: offre al contrario per prima il suo terreno di lotta. E così anche il carattere peculiare del dominio dell'uomo sulla donna nella famiglia moderna, e la necessità, nonché la maniera, di instaurare un'effettiva eguaglianza sociale dei due sessi, appariranno nella luce più cruda solo allorché entrambi saranno provvisti di diritti perfettamente eguali in sede giuridica. Apparirà allora che l'emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell'intero sesso femminile nella pubblica industria, e che ciò richiede a sua volta l'eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società”. (F. Engels “L’origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato” - PMLI Piccola biblioteca marxista-leninista – pag. 75-76)
Engels chiarisce così due questioni fondamentali: la prima è che la subordinazione della donna e l’affermazione del patriarcato è legato alla nascita stessa della proprietà privata e della divisione in classi della società e la contemporanea emarginazione delle donne dalla vita produttiva e pubblica per relegarle nel lavoro domestico e familiare. La seconda questione è che per cancellare definitivamente il patriarcato e conquistare la reale e concreta emancipazione della donna non bastano le leggi per quanto avanzate esse possano essere, ma occorre sollevare le donne dal lavoro domestico e familiare il che comporta una trasformazione radicale della società dal punto di vista economico, sociale e statale che solo il socialismo e il potere politico da parte del proletariato potrà realizzare e garantire.
Il patriarcato formalmente è stato bandito dalla giurisprudenza italiana nel 1975 col nuovo diritto di famiglia e altre norme conquistate grazie alle lotte delle donne. In realtà gli è sopravvissuto sia nel diritto e nella giurisprudenza, sia e soprattutto nella cultura, nell’etica e nella morale borghese e cattolica dominante, negli usi e nei costumi, nella politica, nelle istituzioni, nei posti di lavoro, nel linguaggio, nella scuola e nelle università, nello spettacolo, nella comunicazione mediatica e pubblicitaria. Certo non è più nella sua forma arcaica e sfacciatamente antifemminile, in un sistema per cui le donne passavano direttamente dalla patria potestà del padre a quello del marito, dove vigeva ancora il “delitto d’onore” o il “matrimonio riparatore” per lo stupro. Oggi il patriarcato si è fatto meno sfacciato, più sottile, ma continua a permeare l'organizzazione economico-sociale, la cultura, la scienza, l’etica, e la concezione dominante dei rapporti e i dei ruoli fra i sessi e della famiglia.

Lotta al patriarcato
Il patriarcato va riconosciuto e combattuto su tutti i piani. Occorrono subito delle misure adeguate per contrastare la strage senza fine delle donne e gli stupri e per combattere concretamente la cultura borghese patriarcale e maschilista.
Cominciando con l’istituzione di un’informazione ed educazione sessuale, all’affettività e alle differenze nelle scuole di ogni ordine e grado che non sia gestita da gruppi e associazioni palesemente omofobe, antifemminili, antiabortiste, ma che sia scientifica, democratica, rispettosa delle identità e delle differenze di genere.
Vanno potenziati, finanziati adeguatamente e diffusi in modo capillare specie nel Sud i Centri antiviolenza e le case rifugio per accogliere le donne che denunciano, contrastando la crescente pressione verso la loro istituzionalizzazione e irreggimentazione in chiave securitaria e assistenziale, spesso preda di associazioni sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita.
Occorre poi sollevare le donne dai lavoro domestici e di cura familiari attraverso la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari, assistenziali pubblici e diffusi specie al Sud. Dare lavoro alle donne. Un lavoro vero però, non precario, non ridotto, non part-time, non sottopagato rispetto agli uomini perché la loro piena partecipazione al lavoro produttivo e sociale è l’unica cosa che possa garantire alle donne autonomia e indipendenza economica dagli uomini e dalla famiglia.
Lo Stato borghese e tutte le sue articolazioni si vantano di essere democratiche, in realtà escludono al proprio vertice le donne. Così come fa la stessa Chiesa cattolica e il Papa che escludono le donne dal sacerdozio e dai vertici ecclesiastici. Per la prima volta in Italia vi è una Presidente del Consiglio donna, che tuttavia pretende di essere chiamata al maschile, mentre in parlamento non sono state mai così poche le deputate e le senatrici. Completamente fallimentare è stata fin qui la politica delle “quote femminili”. Per quanto ci riguarda vi dovrebbe essere una presenza paritaria dei sessi nelle istituzioni, nel parlamento, nel governo, nelle istituzioni locali e negli organismi politici, sindacali, sociali, culturali e religiosi e così ci regoleremo certamente nel socialismo. Per ora dobbiamo continuare a rivendicarlo per mettere in discussione l’idea che il potere e i ruoli apicali nella società sono adatti solo agli uomini, mentre alle donne, salvo rare eccezioni, vanno riservati i ruoli di servizio, di cura e secondari.
Il patriarcato e la violenza sulle donne oggi si combattono anche lottando contro il governo neofascista della Meloni e il suo progetto neofascista e piduista di terza repubblica presidenzialista.
Dobbiamo essere comunque consapevoli che per fermare il femminicidio, e sradicare dalla cultura e dalla prassi il patriarcato e il maschilismo, occorre trasformare radicalmente questa marcia società capitalista e borghese e conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato femminile e maschile.
Il comportamento estremamente combattivo, cosciente e oggettivamente anticapitalista delle giovanissime alle manifestazioni del 25 novembre contro il precariato e per la libertà delle donne, un evento storico senza precedenti, ci fa ben sperare che questa proposta del PMLI alla lunga sarà accettata dalle masse femminili sfruttate e oppresse. Molto dipenderà dal lavoro di massa che sapranno fare le militante e le simpatizzante del PMLI.

29 novembre 2023