Meloni: “Serve una transizione ecologica non ideologica”
Alla Cop 28 anziché alle rinnovabili pensano al nucleare
La favola delle multinazionali del petrolio che dicono di voler decarbonizzare
Diversi leader appoggiano il popolo palestinese
 
Si è aperta il 30 novembre 2023 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, la Cop 28, la ventottesima conferenza delle parti firmatarie della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che durerà fino al 12 dicembre.
Già l'impostazione iniziale è assai contraddittoria in quanto, nonostante la conferenza si proponga sin dalla sua prima edizione una sistematica riduzione delle emissioni nell'atmosfera prodotte da combustibili fossili, la presidenza è stata affidata a Sultan Al Jaber, direttore generale dell’Adnoc, la Abu Dhabi National Oil Company, l’agenzia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti, la quale ha interessi contrapposti agli scopi della conferenza che, sin dalla sua prima edizione svoltasi a Berlino nel 1995, si propone una graduale riduzione dei combustibili fossili.
Difficilmente si troverà nella Cop 28 un'intesa tra chi li vuole eliminare, in quanto causa ormai conclamata del riscaldamento globale e delle sue conseguenze catastrofiche, chi ne ha bisogno per sostenere economie capitalistiche in forte crescita (Cina e India innanzitutto), e chi ci si arricchisce esportandoli in tutto il mondo (gli Stati Uniti, la Russia, gli Stati del Golfo Persico e la lobby petrolifera costituita da multinazionali che gravita attorno a questi Stati).
Soprattutto quest'ultimo gruppo di Stati con le loro multinazionali del gas e del petrolio costituiscono un grave problema per lo sviluppo di una politica ecologica mondiale, perché a fronte di un'ambiguità politica dei governi interessati all'estrazione e alla commercializzazione di petrolio e gas vi è l'ipocrisia delle maggiori multinazionali che trattano tali combustibili fossili, che hanno presentato a Dubai la Oil and Gas Decarbonization Charter, ossia la Carta per la decarbonizzazione del petrolio e del gas (Ogdc), un progetto presentato come uno storico passo in avanti per la riduzione delle emissioni inquinanti, ma che rappresenta l'ennesima ipocrisia del sistema capitalista mondiale.
A elaborare e presentare la Ogdc è stato un gruppo che comprende tra le maggiori 50 compagnie al mondo – 29 sono aziende di Stato - che operano nel campo dell'estrazione di petrolio e di gas e che rappresentano il 40% della produzione mondiale. Il loro impegno è quello di decarbonizzare le loro operazioni di produzione al fine di raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica nel 2050 e di rendere le stesse vicine allo zero entro il 2030 per ciò che riguarda il metano, tuttavia la Carta prende in considerazione soltanto l'anidride carbonica emessa nelle fasi di estrazione e produzione delle fonti fossili e non considera il fatto che petrolio e gas, una volta venduti, verranno utilizzati e bruciati per produrre l'energia elettrica, per i trasporti, per riscaldare abitazioni e per la fabbricazione di plastica, altro elemento a sua volta inquinante per ciò che riguarda l'ambiente in generale e soprattutto l'ambiente acquatico.
L'ipocrisia della Oil and Gas Decarbonization Charter è insomma evidente ed è insita nella natura capitalistica di tali imprese per le quali il profitto è essenziale, perché le riduzioni annunciate delle emissioni riguardano solo circa il 10% delle emissioni , una piccola parte del totale delle emissioni di gas ad effetto serra legate allo sfruttamento delle fonti in questione, un minuscolo passo avanti che nasconde in realtà la volontà di tali multinazionali di continuare a esistere per produrre e commerciare petrolio e gas ancora per molti decenni ancora.
La Carta poi non rappresenta neppure un impegno vincolante, da un punto di vista giuridico e normativo, per chi l’ha sottoscritta, e non bisogna dimenticare che 29 delle 50 compagnie firmatarie sono aziende di Stato che dipendono direttamente dall'ambigua e discutibile – per non dire ipocrita - politica ambientalista dei Paesi che le controllano: per questo oltre 320 associazioni e organizzazioni non governative di tutto il mondo (tra le quali Greenpeace, WWF International, Oxfam) hanno firmato una lettera aperta nella quale hanno rigettato nettamente la Carta, considerata una gigantesca mistificazione.
Il 2 dicembre è stata la giornata in cui i rappresentanti dei governi hanno espresso le rispettive posizioni di politica climatica, e anche in questo caso le aspettative dei popoli del mondo sono state disattese, perché a fronte dell'abbandono del carbone – ma con molti tentennamenti su petrolio e gas – è rispuntata fuori l'opzione del nucleare in quanto gli Stati Uniti e altri 21 Paesi — tra i quali Francia e Gran Bretagna — si sono impegnati e a triplicare la capacità di energia nucleare entro il 2050, una posizione che ha visto l'adesione anche di Giorgia Meloni per l'Italia.
La Meloni, infatti, rispondendo a una domanda di un giornalista a proposito della reintroduzione del nucleare in Italia, ha affermato: “non sono certa che oggi ricominciando da capo l’Italia non si troverebbe indietro, ma se ci sono evidenze che si possa avere un risultato positivo sono disposta a parlarne ”. “Credo – ha poi aggiunto - che la grande sfida italiana, anche se è un po' di là da venire, sia il tema della fusione nucleare che potrebbe essere la soluzione domani di tutti i problemi energetici ”.
La Meloni quindi – unendosi a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna - si è dimostrata favorevole al ritorno del nucleare in Italia, visto che la sua battuta sulla fusione riguarda, eventualmente, un lontano futuro ma non certo scelte politiche attuali. ネ evidente che il ritorno del nucleare in Italia sarebbe una sciagura, non soltanto per la pericolosità di tale sistema di produzione di energia – e ce lo ricordano a distanza di decenni gli incidenti alle centrali nucleari di Three Mile Island del 1979, di Černobyl' del 1986 e di Fukushima del 2011, tre impianti considerati in precedenza assolutamente sicuri – ma anche per il problema delle scorie e del loro smaltimento e della militarizzazione del territorio e del settore industriale a esso connesso.
Il discorso ufficiale della Meloni alla conferenza è stato poi delirante: non solo non ha affrontato minimamente il tema della politica italiana in relazione alla riduzione di inquinanti nell'atmosfera – tema della conferenza - ma ha farneticato sulla bontà del sistema alimentare italiano, sull'importanza del Piano Mattei per l'Africa e sulla insicurezza alimentare del cibo prodotto in laboratorio, tutte foglie di fico per non affrontare a viso aperto il tema delle emissioni inquinanti. In sostanza ha contrapposto la sua inconcludente ricetta di transizione “ecologica” a quella che ha definito “ideologica”, per sparare a zero contro quell'ecologismo più avveduto e avanzato che mette in discussione la logica imperialista e il sistema economico capitalistico che rapinano e distruggono le risorse del pianeta inseguendo unicamente la ricerca del massimo profitto.
La conferenza ha registrato assenze importanti: le più vistose sono state sicuramente quelle di Joe Biden per gli Stati Uniti e di Xi Jinping per la Cina, e si è trattato di assenze volontarie con un chiaro significato politico di scarso interesse per il tema della conferenza, mentre papa Francesco avrebbe voluto partecipare alla conferenza ma non ha potuto per motivi di salute ed è stato sostituito dal segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin. Quest'ultimo ha pronunciato il 2 dicembre il discorso che avrebbe dovuto tenere il papa: “la quasi metà del mondo, più indigente – ha affermato Parolin - è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti. E le nascite non sono un problema, ma una risorsa: non sono contro la vita, ma per la vita, mentre certi modelli ideologici e utilitaristi che vengono imposti con guanti di velluto a famiglie e popolazioni rappresentano vere e proprie colonizzazioni. Non venga penalizzato lo sviluppo di tanti Paesi, già gravati di onerosi debiti economici; si consideri piuttosto l’incidenza di poche nazioni, responsabili di un preoccupante debito ecologico nei confronti di tante altre ”.
Importante è anche l'iniziativa – voluta da 118 Paesi tra i quali, però, non ci sono Cina, India, Russia, Iran e Arabia Saudita - sull’impegno a triplicare la capacità globale di energia rinnovabile, dall’eolico al solare nonché a raddoppiare il tasso di efficienza energetica entro il 2030, con l’obbiettivo di decarbonizzare il sistema energetico globale entro il 2050.
Infine, non bisogna dimenticare che la questione della lotta del popolo palestinese ha fatto il suo ingresso a Dubai, perché il 2 gennaio Sameh Shoukry – attuale ministro degli esteri egiziano e già presidente di Cop27 - ha chiesto alla platea un minuto di silenzio per le vittime di Gaza, dando anche notizia di due negoziatori morti sotto le bombe. I rappresentanti di Iran, Iraq, Turchia, Giordania e Colombia hanno a loro volta ricordato nei rispettivi discorsi ufficiali quanto sta avvenendo in Palestina condannando i crimini del regime sionista.


6 dicembre 2023