Anche l'imperialismo italiano si prepara a una possibile guerra mondiale imperialista
Crosetto: “Creiamo una riserva pronta a mobilitarsi”

“Probabilmente un ragionamento su una riserva attivabile in caso di necessità, di guerra tanto per capirci, stile Ucraina, andrebbe fatto se pensiamo a qualunque scenario futuro”: così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha rivelato quasi con noncuranza che l'imperialismo italiano ha cominciato a prepararsi in vista di una guerra mondiale imperialista, e che la considera uno scenario probabile oltre che possibile. L'annuncio è stato fatto, in un'atmosfera distesa e bipartisan, durante l'audizione tenuta lo scorso 7 novembre davanti alle commissioni riunite Difesa della Camera e Affari esteri e Difesa del Senato, presiedute dalla forzista Stefania Craxi, nell'ambito dell'esame del Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2023-2025, senza che nessuno dei parlamentari partecipanti l'abbia trovato particolarmente scioccante.

Una forza di riserva “per lo scenario peggiore”
Nella relazione introduttiva il ministro era partito dal concetto che “il deterioramento del quadro di sicurezza internazionale”, con la guerra in Ucraina e la più recente crisi israelo-palestinese, “ha portato alla luce una serie di carenze che gravano sul nostro sistema Difesa, con dirette conseguenze sullo stato di efficienza dello strumento militare e sulla possibilità di un suo impiego prolungato. Mi riferisco, in particolare, alle conclusioni cui si è giunti anche a livello europeo e cioè: ridotta disponibilità di scorta di munizionamento, difficoltà di approvvigionamento della catena logistica, nonché limitate capacità del tessuto industriale della Difesa nel fronteggiare l'improvviso aumento di domanda dei sistemi armamenti e munizionamenti. A questi fattori si aggiunge la necessità di sviluppare e sostenere sistemi di elevato contenuto di innovazione tecnologica, capaci di produrre effetti rilevanti in ambienti multi dominio”. In particolare la guerra in Ucraina, ha aggiunto, “oltre ad aver segnato un momento di cesura rispetto al passato, ci ha fatto prendere coscienza di alcune dinamiche e tendenze strategiche che si stavano già sviluppando da diversi anni”.
Riallacciandosi a questa premessa, nel rispondere alle domande di alcuni parlamentari, Crosetto ha ribadito che “è cambiato il mondo, perché una volta in questa Commissione si parlava esclusivamente di peacekeeping mentre oggi parliamo di qualcos'altro e, quindi, la cornice entro cui dobbiamo ragionare è profondamente diversa da quella in cui ragionavamo tre, quattro, cinque, sei, dieci anni fa, quando decidemmo tutti d'accordo di diminuire il numero delle Forze armate. Ma il cambio di paradigma ha preso tutti di sorpresa: sia la parte politica, sia quella industriale, sia quella tecnologica, se escludiamo quei Paesi che invece non hanno mai cambiato atteggiamento”; tanto che “in questa fase l'Occidente ha una difficoltà industriale a supportare l'Ucraina”.
È da questo “cambio di paradigma”, e “nell'ottica di una difesa che cambia e nell'ottica di prevedere lo scenario peggiore”, che secondo il ministro si pone l'esigenza di creare una riserva di personale civile periodicamente addestrato e sempre pronta ad essere mobilitata in tempi rapidi. I modelli da imitare non mancano: “Israele ha attivato 350 mila persone dalla riserva; la Svizzera, dove sono stato, è un Paese neutrale da centinaia di anni e lo sarà ancora, ma ha una riserva attivabile. Ci sono le Forze armate e poi ci sono persone che fanno il commercialista, l'avvocato, che hanno fatto una formazione militare o altri tipi di riserva, che hanno fatto un'operazione militare e che, in caso di pericolo, fanno un mese di formazione e sono attivabili”, ha spiegato Crosetto.

Le richieste dell'ammiraglio Cavo Dragone
Il tema è stato poi ripreso anche dal capo di Stato maggiore della Difesa, l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, nell'audizione alle commissioni congiunte Difesa di camera e Senato del 15 novembre, in cui ha parlato della “progressiva attivazione di una riserva ausiliaria dello Stato, costituita da personale proveniente dal mondo civile e da pregressa esperienza militare”, da impiegare “in tempo di guerra o di crisi internazionale, così come in caso di stato d’emergenza deliberato dal Governo ovvero per emergenze di rilievo nazionale, connesse con eventi calamitosi”. Sarebbero previsti, ha spiegato, “periodi di addestramento non invasivi, che gli consentano di essere un elemento di aumento delle capacità operative, un valore aggiunto. I riservisti potrebbero non essere mandati in prima linea, ma se si alimentano le seconde linee ci sono più militari di professione che possono essere impiegati nelle zone più a rischio”. Il modello in questo caso sarebbe quello della Guardia nazionale statunitense.
Il militare ha accennato anche alla consistenza che dovrebbe avere tale “riserva ausiliaria”, che dovrebbe essere di almeno 10 mila persone, come previsto nel Documento programmatico triennale, dove si parla di una “revisione dello strumento della Riserva, integrando la Riserva selezionata con una ulteriore aliquota di completamento, detta 'Riserva Ausiliaria’, la cui consistenza autorizzata è fino a 10.000 unità”. Ma, attenzione, si tratterebbe comunque di una quota a parte rispetto a quella già prevista da una legge approvata ad agosto 2022 dal governo Draghi, che delega il governo attuale a incrementare di 10.000 unità gli organici delle forze armate, la cui riduzione a 150.000 effettivi, decisa già col governo Monti e prevista per il 2024, era stata intanto rinviata al 2033. Tale cifra quindi è stata già corretta a 160.000, ma ai militari va ancora troppo stretta, tanto che secondo Cavo Dragone, “visti i vari fronti in cui siamo impegnati, dal Medio Oriente al Fianco est della Nato al Mediterraneo allargato all’operazione Strade sicure in Italia, c’è bisogno di almeno altre 10mila unità aggiuntive in futuro”.
Tutto ciò richiede per l'ammiraglio “un piano finanziario di lungo termine, che garantisca piena stabilità e certezza di risorse nel tempo”, che vada oltre il 2% del Pil concordato al vertice Nato di Vilnius per la spesa militare. Un obiettivo, quest'ultimo, che dovrebbe essere raggiunto nel 2028, passando dagli attuali 27,7 miliardi a 42 miliardi; anche se Crosetto ha detto che l'Italia rischia di mancarlo, e perciò sta lavorando in sede Ue per ottenere di scorporare la spesa militare dal patto di Stabilità, in modo da poterla aumentare anche a debito.

“Investire nella componente pesante terrestre”
Pur compiacendosi dello stanziamento di 25 miliardi nella legge di Bilancio 2023 per il fondo stanziamenti per la difesa, di cui 1,3 per nuovi programmi, fondo che viene dotato di 15,3 miliardi complessivi per il periodo 2023-2038, a cui si aggiungono 2,2 miliardi del ministero dell'Industria e del Made in Italy (alla faccia dei tagli operati nella stessa legge alle pensioni, alla sanità, alla scuola e all'assistenza sociale), Crosetto si è lamentato infatti delle condizioni pessime, anche solo per la manutenzione ordinaria, in cui ha trovato l'esercito in confronto ad aeronautica e marina. E pertanto ha informato le Commissioni che i settori privilegiati da potenziare saranno “la prosecuzione dell'ammodernamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica a media portata e l'ammodernamento della componente pesante terrestre”, come il rinnovamento del carro armato Ariete, l'acquisizione dei carri armati Leopard 2 e la partecipazione ai programmi europei per lo sviluppo dei sistemi terrestri di futura generazione. Oltre alla conferma e all'aumento degli investimenti in armamenti ad alta tecnologia, come nelle fregate FREMM, il progetto con Giappone e Regno Unito per il caccia di sesta generazione GCAP (Global combat air programme, con una dotazione già aumentata da 3 a 8 miliardi), nonché in nuovi settori strategici come lo spazio, il cyber e il subacqueo.
Anche Cavo Dragone ha sottolineato la necessità di investire soprattutto in programmi volti a “recuperare la capacità di conflitto convenzionale, intensivo, continuativo e prolungato”, cioè nell'aumento e ammodernamento di carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento, artiglieria di lunga gittata, contraerea a cortissima gittata e artiglieria di profondità di tipo Himars.
C'è quindi una novità rispetto al modello di difesa interventista così come si era delineato dal 2012 ad oggi, basata su un esercito totalmente professionale e più snello (con una riduzione progressiva da 270 a 150 mila uomini, ma più giovani, più specializzati e più impiegabili sul campo), da attuare insieme ad un rinnovamento tecnologico dell'armamento e dei mezzi, per un esercito tecnologicamente avanzato e pensato soprattutto per essere rapidamente “proiettabile” verso i teatri internazionali che coinvolgono “i nostri interessi nazionali”.
Pur mantenendo sempre tutte queste caratteristiche e senza tornare per ora alla leva obbligatoria, si pensa adesso di riaumentare consistentemente gli organici, anche attraverso forze ausiliarie di riserva, tornare a sviluppare le capacità operative terrestri (quindi missili, artiglieria e mezzi corazzati) e potenziare l'industria del munizionamento, in previsione di una probabile guerra imperialista di lunga durata tra eserciti, combattuta evidentemente sul suolo europeo.
Potrebbe essere questo il caso di uno scontro diretto tra la Nato imperialista e la Russia neozarista. O, peggio ancora, quello di una terza guerra mondiale tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese che coinvolga anche l'imperialismo italiano. Se ciò dovesse accadere il PMLI chiamerà il proletariato e tutto il popolo italiano alla guerra civile per impedire che l'Italia sia trascinata in una nuova guerra mondiale imperialista.

13 dicembre 2023