Alitalia licenzia 2.668 lavoratori
Dipendenti e sindacati strappano un accordo sugli esodi volontari che per il momento blocca la procedura

Il primo dicembre è arrivata la notizia della procedura di licenziamento avviata da Alitalia che interessa quasi 3mila dipendenti (a maggioranza donne) che da anni stanno lottando per salvaguardare il proprio posto di lavoro. Un provvedimento che non arriva inaspettato, in quanto è la diretta conseguenza del decreto “Asset” che il governo neofascista Meloni ha fatto approvare in parlamento a colpi di fiducia, il quale prevede la cig solo fino al 31 ottobre 2024, assicurandosi una tempistica che permette ai commissari straordinari di poter inviare le lettere di licenziamento in tempo per assorbire il preavviso nella cassa integrazione in modo da poter espellere tutti i propri dipendenti dal 1° novembre prossimo.
Per l'esattezza i licenziamenti coinvolgono 2723 addetti che erano in cassa integrazione straordinaria a zero ore dall'ottobre 2021, di cui 2.668 provenienti dalla divisione principale e 55 dalla divisione CityLiner (una piccola compagnia regionale, controllata sempre da Alitalia). Questo però è solo l'epilogo di una vicenda drammatica e lunghissima, che ha logorato fino a distruggerla, la compagnia di bandiera del nostro Paese, un tempo tra le più efficienti e importanti d'Europa. Senza andare troppo a ritroso, quanto meno dobbiamo risalire a due anni fa, quando i Commissari di Alitalia la cedevano alla nuova società Ita, di completa proprietà statale, al prezzo simbolico di un euro.
Praticamente i sostenitori del liberismo e del “libero mercato” hanno preso Alitalia Sai, che a sua volta aveva acquisito la compagnia nel 2014 (prima della parentesi Etihad) da Alitalia Cai (quella dei “capitani coraggiosi” di Berlusconi) per 806 milioni di euro accollandosi anche tutti i debiti della precedente gestione, regalandola a Ita Airways. Consideriamo che già solo gli slot (i permessi di atterraggio e decollo) di Milano Linate valgono milioni di euro. Tutto questo per assecondare la Commissione europea che, per dare il consenso alla creazione di una nuova compagnia aerea pubblica, pretendeva la netta discontinuità tra le due società.
Ma la “discontinuità” c'è stata solo nelle dimensioni, dagli 11.600 dipendenti di Alitalia ai 2300 di Ita. Il piano, che i governi Draghi e Meloni hanno tenuto nascosto fino a pochi mesi fa con la scusa della segretezza sui “dati sensibili” e sui “segreti industriali e commerciali”, ha permesso alla compagnia nata dalle ceneri di Alitalia, proprio in nome della discontinuità societaria richiesta dall’Unione europea, di pagare un euro “il ramo Aviation”, fatto di 52 aerei, preziosi slot su centinaia di rotte, i diritti di traffico, software, le banche dati e i sistemi informatici, i rapporti contrattuali con terzi fornitori di beni o servizi, utilizzo di sedi e palazzine, in totale spregio delle direttive europee, creando un danno enorme alle decine di migliaia di creditori della vecchia compagnia di bandiera, partendo dallo stato italiano stesso fino ai lavoratori. L’unica cosa che Ita non ha acquisito da Alitalia sono stati circa 4 mila dipendenti.
Proprio su questo aspetto, sul fatto che Ita non è affatto in discontinuità con Alitalia, si è giocata, e ancora si sta giocando, una lunga e dura battaglia di ricorsi ai Giudici del lavoro che oltre un migliaio di lavoratori hanno intrapreso. Una questione decisiva per il diritto dei dipendenti alla prosecuzione del rapporto di lavoro con Ita, ottenendo tra l'altro alcune sentenze favorevoli. A sua volta il governo ha cercato di azzerare i reintegri con un decreto legge, motivandolo con il rischio che Lufthansa si ritirasse dall’acquisto di Ita. Una bufala, visto che i tedeschi si erano già cautelati: ogni reintegro porta ad uno sconto sul computo dell’aumento di capitale annunciato da Lufthansa. I 325 milioni previsti sono già scesi sotto quota 300, a pagare sarà il governo Meloni e quindi la collettività.
Insomma, una vicenda molto complessa, ma una cosa è molto chiara: le scelte dei vari governi, che hanno lasciato affondare Alitalia sotto una montagna di debiti per poi darla in pasto ai capitalisti nostrani (i famigerati “capitani coraggiosi”) e a compagnie straniere, si vogliono far ricadere sulle lavoratrici e sui lavoratori. Siamo in presenza di un licenziamento collettivo tra i più grandi mai avvenuto in Italia. Ma la lotta va avanti e i sindacati per ora hanno strappato alcuni risultati. Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Usb hanno ottenuto un accordo sugli esodi volontari e di conseguenza è stato bloccato l'invio coatto delle lettere di licenziamento.
“Sono interessati dall'accordo - sottolineano i sindacati - soprattutto coloro che maturano requisiti pensionistici nei prossimi 2 anni ma anche coloro i quali pur non raggiungendo i requisiti pensionistici, sempre volontariamente, comunicheranno di voler essere collocati in Naspi integrata dal Fondo straordinario del trasporto aereo all’80%. Gli interessati dovranno manifestare il proprio interesse entro il 22. Questo primo risultato non scongiura le migliaia di licenziamenti, per adesso si allontanano ma rimangono sul tavolo. È solo una boccata d'ossigeno per le migliaia di espulsi che vanno in qualche modo riassorbiti. I sindacati chiedono che le assunzioni da parte di ITA, Swissport e di Atitech avvengano dal bacino degli ex dipendenti Alitalia, senza più assunzioni dal mercato, insieme alla proroga della cigs che non dove essere disgiunta dalla fine del futuro piano industriale di ITA.

13 dicembre 2023