Rapporto Inapp 2023
Le donne penalizzate nel lavoro
Meno occupate rispetto agli uomini. Assunzioni con contratti a termine o in somministrazione, part-time forzati. Salari più bassi. In pensione poverissime
 
Giovedì 14 dicembre scorso, presso la Sala della Regina della Camera dei deputati, il Presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda ha presentato il Rapporto 2023 dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.
“Una ripresa con il freno a mano tirato”, così è stata definita da Fadda la situazione lavorativa nel nostro Paese nel periodo post-pandemico.
A pesare non sono solo i salari bassi, la scarsa produttività e la poca formazione, è anche una questione demografica.
Il Rapporto 2023 dell’Istituto spiega quanto sia sempre più anziana la forza-lavoro in Italia e quanto siano le donne le più penalizzate. “Dopo la crisi pandemica le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi ” ha affermato Fadda durante la presentazione.
L’invecchiamento della popolazione italiana e quindi della forza lavoro è un dato evidente. Se nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Così ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani. Vi sono più lavoratori anziani in articolare nel settore della pubblica amministrazione, seguito da quello finanziario e assicurativo. Nella pubblica amministrazione abbiamo 3,9 lavoratori anziani per ogni lavoratore giovane.
Per quanto riguarda l’occupazione femminile il Rapporto segnala una situazione disastrosa. Solo un’esigua percentuale di aziende (4,5%) ha sostenuto che l’introduzione del programma di incentivazione è stato importante ai fini delle loro decisioni di assunzione di manodopera femminile.
Su due milioni di contratti di lavoro agevolati nel 2022 ben 820mila hanno previsto il part-time e di questi ben il 60% sono toccati alle donne.
Si allarga dunque, nonostante i fallimentari incentivi, la formazione professionale, scolastica e universitaria delle donne il cosiddetto "gender gap" il divario di genere, che vede le donne meno occupate degli uomini, meno pagate e sottoposte a minori tutele.
Generalmente il rapporto donne-uomini al lavoro è del 40% delle prime contro il 60% dei secondi, ma non a parità di salario e di condizioni. Inoltre per effetto dello smantellamento dello "stato sociale" molte sono le donne che lasciano l'occupazione o rinunciano a cercare il lavoro, costrette alla cura dei figli o di altri familiari. Cosa che costituisce una delle cause principali dell'inoccupazione femminile.
Dopo la nascita di un figlio, il 18% delle donne tra i 18 e i 49 anni (quasi 1 donna su 5) non lavora più, percentuale che si aggiunge a un 31,8% già inoccupato.
Solo il 43,6% rimane al lavoro, dato che si abbassa al Sud e nelle Isole, dove si attesta al 29%. Le motivazioni prevalenti riguardano appunto la conciliazione tra lavoro e cura (52%) e il mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%), il 19% non vede più la convenienza economica nell’impiego.
L’indagine presenta un modello familiare che individua nella componente femminile il ruolo di "caregiver" (traduzione “colui che si prende cura”) principale, purtroppo con evidenti ripercussioni occupazionali e retributive sia nel breve che nel lungo periodo.
"Lo scenario offerto fotografa per le donne una consolidata crescita del lavoro termine e discontinuo, la cristallizzazione della nota specificità femminile del tempo parziale… Il modello a partecipazione fragile, discontinua e con bassi redditi trasformerà l'attuale 'gender pay gap' in 'gender pension gap'”, afferma il Rapporto che evidenzia dunque come le lavoratrici povere di oggi saranno le pensionate poverissime di domani.
Il rapporto Inapp 2023 racconta, al di là della propaganda governativa neofascista, un mercato del lavoro frenato dai suoi problemi strutturali, e che porta gli italiani a essere tra i più insoddisfatti e meno tutelati della Ue imperialista, visto oltretutto che in caso di una nuova crisi ben quattro milioni di occupati resterebbero senza paracadute, niente "ammortizzatori sociali" o indennità di disoccupazione.
Altro che "boom di posti di lavoro" nel Paese, la realtà è ben diversa, dice l'Inapp: se nel 2021 abbiamo assistito a una rapida risalita dopo il crollo pandemico, nel 2022 la crescita ha appunto tirato il freno.
Nel 2021 le nuove assunzioni sono state 713 mila, nel 2022 si sono fermate a 441 mila. Le assunzioni rallentano e i salari diminuiscono in termini reali per effetto dell’inflazione.
La questione salariale è drammatica: tra il 1991 e il 2022 le retribuzioni italiane sono salite appena dell’1%, contro il 32,5% della media Ocse
Il presidente Fadda, è poi intervenuto nel dibattito politico sul salario minimo affermando: “Non esistono ragioni né sul piano analitico né sul piano dell’evidenza empirica per escludere strumenti di altro tipo basati sull’imposizione di una soglia minima invalicabile”.
Il Rapporto insomma demistifica la narrazione governativa sui salari, l'occupazione e in particolare sulla condizione lavorativa e pensionistica delle donne.
Per quanto riguarda il salario minimo, il PMLI intende il salario minimo regolato per legge una tutela aggiuntiva, da sommare alla centralità del contratto nazionale e non in sua sostituzione, più la contrattazione di secondo livello (aziendale), ribadiamo il nostro Sì al salario minimo per via contrattuale, ma dobbiamo essere consapevoli che la lotta per alzare i salari passa anzitutto per la mobilitazione della classe operaia e dei lavoratori e la firma di contratti nazionali dignitosi. A livello sindacale si devono respingere la politica della “moderazione salariale” e dei sacrifici dei lavoratori, rivendicare strumenti per l'adeguamento all'inflazione com'era un tempo la scala mobile, pretendere il rinnovo dei contratti scaduti e un'indennità in caso di ultravigenza (alcuni sono scaduti da oltre 10 anni) e invertire la tendenza ad allungare la loro validità (attualmente intorno ai 3-4 anni) riducendola a un massimo di due anni.
Per quanto riguarda i dati agghiaccianti sulle donne lavoratrici e non contenuti nel Rapporto, per noi sono la prova provata che il capitalismo e il suo regime neofascista sono intrinsecamente maschilisti, perché pongono al centro della società la cosiddetta "famiglia naturale" monogamica fondata sul matrimonio (che di naturale non ha un bel nulla, appare in un periodo assai tardo della storia umana e solo per ragioni economiche).
Essa è già una piccola azienda capitalista nella quale l'uomo è il padrone e la donna la proletaria, schiava tra le mure domestiche, "moglie e madre", utile alla riproduzione della specie e quindi della forza lavoro e sulla quale vengono scaricati a costo zero la cura della prole e della casa, un vero ammortizzatore sociale a costo zero per la classe dominante borghese e lo stato ad essa asservito.
La subalternità della donna all'uomo, la sua doppia schiavitù salariale e domestica, la disparità lavorativa, salariale e pensionistica delle donne rispetto all'uomo non sono quindi un dato accidentale dovuto a specifiche congiunture economiche, ma un fenomeno intrinseco del modo di produzione capitalista che si riflette ideologicamente nella concezione borghese della donna e dei sessi, rilanciata con forza dal governo neofascista Meloni in carica e dalla sua politica antifemminile, maschilista, omotransfobica, clericale e antiscientifica.
Ecco perché la questione dell'emancipazione definitiva delle donne è indissolubilmente legata alla lotta contro il capitalismo e per il socialismo, soltanto abbattendo l'ordine sociale esistente e realizzando il socialismo è possibile emancipare la donna dalla doppia schiavitù domestica e salariale e quindi dall'infame concezione borghese della donna che produce sfruttamento più marcato in ogni settore lavorativo rispetto agli uomini e quindi le violenze e i femminicidi.
Lottiamo da sempre perché i movimenti femministi lo comprendano e lottino con noi per il socialismo e la conquista del potere politico da parte del proletariato che è poi la madre di tutte le questioni e la chiave di volta per risolvere tutti i mali del capitalismo, cominciando appunto dalla disparità uomo-donna.
Nell'immediato occorre lottare per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero, sindacalmente tutelato, garantendo condizioni di massima sicurezza, per tutte e per tutti.
Occorre lottare per (dal Nuovo Programma d'Azione del PMLI):
499) Piena uguaglianza economica, giuridica e di fatto tra uomo e donna nel lavoro, nella società e nella famiglia.
500) Garantire alle donne il 50 per cento delle assunzioni.
501) Obbligo per le aziende di assumere regolarmente e a tempo indeterminato le lavoratrici a nero, stagionali e a giornata.
502) Obbligo per le aziende pubbliche e private di assumere a tempo pieno e indeterminato le lavoratrici già impiegate a part-time, con contratto "autonomo", "atipico", a termine, interinale, a domicilio, che ne facciano richiesta.
503) Condannare penalmente le aziende che discriminano le donne nell'assunzione attraverso l'uso arbitrario delle prove di idoneità e delle visite mediche, o misure vessatorie come le lettere di dimissioni in bianco.
504) Ripristinare il divieto di lavoro notturno per le donne.
505) Rimuovere ogni discriminazione legislativa, normativa e contrattuale che comporta a parità di qualifica e anzianità un salario ridotto per le donne.
506) Estendere a 4 mesi prima e 6 mesi dopo il parto il congedo obbligatorio di maternità a salario intero.
507) Diritto illimitato dei genitori ad assentarsi alternativamente dal lavoro in caso di malattia dei figli fino al compimento dei dieci anni. Tali assenze devono essere retribuite al 100% e devono essere riconosciuti alle lavoratrici e ai lavoratori per intero i contributi figurativi.
508) Ripristinare l'età pensionabile a 55 anni per le donne e tendere gradualmente ad abbassare tale limite a 50 anni.
509) Approntare un piano straordinario per l'inserimento professionale delle lavoratrici licenziate, disoccupate, casalinghe ultratrentacinquenni.
510) Assicurare un'indennità di disoccupazione alle casalinghe che non hanno alcun reddito - salvo quello da pensione di reversibilità e di invalidità e della prima casa - pari a 1000 euro nette indicizzate da revocare in caso di rifiuto di un lavoro extradomestico adeguato alle capacità effettive della casalinga.
511) Assicurare alle casalinghe che non hanno altro reddito - salvo quello derivante dalla pensione di reversibilità e di invalidità e della prima casa - la pensione sociale, debitamente innalzata, a partire dai 55 anni.
512) Estendere la copertura assicurativa contro gli infortuni domestici alle casalinghe eliminando i limiti di età e indennizzando anche le invalidità permanenti inferiori al 33% e il decesso.
513) Impegnare lo Stato e gli enti locali a socializzare il lavoro domestico attraverso la costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici gratuiti o a prezzi popolari su tutto il territorio nazionale come mense territoriali, scolastiche e aziendali, lavanderie e stiratorie, centri di rammendo e di manutenzione degli indumenti, squadre pubbliche di pulizia degli alloggi o per altre pratiche domestiche, ecc.
514) Piani straordinari per dotare tutto il territorio nazionale, in particolare il Sud e le periferie urbane, di una fitta rete di servizi pubblici gratuiti per la prima infanzia (nidi, scuole dell'infanzia, trasporti, servizi di doposcuola, centri estivi, ecc.) fino a completa copertura delle necessità e con orari e prestazioni in grado di soddisfare le esigenze lavorative e sociali dei genitori, in particolare delle donne.
515) Potenziare le strutture e il personale sanitario impegnati a garantire la salute delle donne (interruzione della gravidanza, contraccezione, maternità, fecondazione artificiale, prevenzione oncologica, ecc.). Prestare adeguata attenzione alla prevenzione e alla profilassi delle malattie tipicamente femminili e legate alla riproduzione. Completa gratuità delle analisi e delle ricerche diagnostiche di tali malattie senza alcun limite di età.
516) Rafforzare, sviluppare ed estendere i consultori pubblici autogestiti su tutto il territorio nazionale e pubblicizzarli, per un'efficace prevenzione della salute delle donne e per diffondere a livello di massa un'informazione democratica e scientifica sulla sessualità e i metodi di contraccezione e per offrire un supporto sanitario e legale ai rapporti di coppia, alla maternità e all'interruzione della gravidanza.
517) Legittimazione giuridica e piena libertà delle ricerche e delle sperimentazioni biogenetiche sugli embrioni e sui feti al fine di combattere la sterilità, salvaguardare la salute delle partorienti e dei nascituri.
518) Legittimare e rendere concreto il diritto per tutti, ivi comprese le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere gratuitamente alla fecondazione assistita, "omologa" e non, e alla "maternità surrogata" nelle strutture pubbliche.
519) Uniformare a livello nazionale i protocolli regionali di analisi prenatale inserendovi via via tutte le più aggiornate metodologie diagnostiche e garantire la loro completa gratuità, senza limiti di età delle donne in gravidanza.
520) Diffusione gratuita di tutti i mezzi contraccettivi, ivi compresi profilattici, spirale, pillola e pillola del giorno dopo, nei presidi ospedalieri, nei consultori, nelle farmacie, nelle scuole e nelle università.
521) Divieto di opporre "obiezione di coscienza" in riferimento all'interruzione di gravidanza e alla somministrazione di mezzi contraccettivi, ivi compresa la pillola del giorno dopo, per i medici specializzati in ginecologia e ostetricia, il personale infermieristico e ausiliario e i farmacisti.
522) Elevare a 18 settimane di gravidanza il limite per richiedere liberamente l'interruzione della gravidanza nelle strutture pubbliche.
523) Libertà di aborto per le minorenni nelle strutture pubbliche senza il consenso dei genitori o del giudice tutelare.
524) Rendere amministrativo il procedimento di divorzio in caso di consensualità e assenza di figli.
525) Ridurre a sei mesi il tempo di separazione necessario per ottenere il divorzio in caso di consensualità e in assenza di figli. Ridurre a un anno negli altri casi. In ogni caso i costi del divorzio devono essere a carico dello Stato.
526) Riconoscimento, da parte delle istituzioni dello Stato e amministrative, delle unioni civili e di fatto, anche quelle tra omosessuali di ambo i sessi. Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, devono essere considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici e fiscali.
527) Introdurre la procedibilità d'ufficio per i reati di violenza sessuale fuori e dentro la famiglia.
528) Eliminare ogni limite alla libertà sessuale dei minorenni.
La lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle donne nel quadro più generale della lotta contro il capitalismo e per il socialismo passa dalla lotta senza quartiere contro il regime capitalista neofascista e quindi dalla lotta per buttare giù da sinistra e dalla Piazza il nero governo Meloni, nemico giurato delle donne e degli LGBTQIA+, impegnato a rilanciare la triade mussoliniana "Dio, Patria e Famiglia", prima che possa fare ulteriori danni alle masse femminili e a tutto il nostro martoriato popolo.

20 dicembre 2023