Nelle ricche Langhe e Monferrato
Migranti schiavizzati nelle vigne
12-14 ore di lavoro al giorno, 7 giorni su 7, senza diritti e paga, caporalato e paga oraria inferiore a 6 euro
La Flai-Cgil: “Intollerabile”

Langhe, Monferrato e Roero sono le zone vinicole più importanti del Piemonte, dove si producono vini tra i più pregiati (e costosi) d'Italia, come ad esempio il Barolo e il Barbaresco. Si può ben comprendere la reazione stizzosa dei Consorzi e dei rappresentanti dei produttori di fronte all'indagine dei carabinieri di Cuneo che hanno scoperto come in questi pregiati vigneti venga utilizzata e sfruttata manodopera costituita da lavoratori immigrati in stato di bisogno, reclutati sulle piazze e prelevati con pulmini o autovetture da parte di datori di lavoro conto terzisti senza scrupoli.
In poche parole la classica e triste pratica del caporalato, che ha infranto l'immagine di dolci colline coltivate a vigneti, paesaggi bucolici dichiarati dall'Unesco “patrimonio dell'umanità”, prodotti d'eccellenza e pratiche lavorative rispettose degli uomini e dell'ambiente. Una realtà che alcuni giorni prima dei risultati delle indagini dei carabinieri era stata portata alla ribalta (e colpevolmente sottovalutata) da una lunga inchiesta in inglese pubblicata su Al Jazeera, testata collegata alla nota emittente televisiva internazionale con sede in Qatar. Si raccontavano storie come quella di Sajo, 36enne del Gambia. Secondo la sua testimonianza sarebbero diversi i lavoratori privi di documenti che lavorano per 12 ore nei vigneti di Barolo e Barbaresco, per una paga che va dai 3 ai 4 euro l’ora, con tanto di episodi di razzismo e condizioni di lavoro definite “disumane”.
Sajo, appena arrivato ad Alba nel periodo della vendemmia, riferisce di essere stato avvicinato da un uomo appena sceso dal treno, che gli offrì un lavoro nei vigneti con una paga di 3 euro l’ora. Accettò e si stabilì in un piccolo accampamento improvvisato che altri braccianti africani avevano costruito nel bosco, sulla riva del fiume Tanaro. Senza servizi igienici, né acqua corrente o elettricità. Quando non potevano permettersi l’acqua in bottiglia, usavano quella del fiume per lavarsi e cucinare: “È stato il momento più difficile da quando ho lasciato il Gambia”. Tutti i giorni si svegliava prima dell'alba e andava alla stazione, dove un caporale caricava lui e gli altri su un furgone e li portava fino ai vigneti. Gli operai erano costantemente sorvegliati e “non potevamo fare pause per andare in bagno o bere acqua. Ci minacciavano di licenziarci se avessimo rallentato o avessimo parlato”.
L’attività investigativa è stata avviata nel mese di aprile 2023, condotta congiuntamente da carabinieri, ispettori per il lavoro e mediatori culturali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nell’ambito del contrasto al caporalato e al lavoro irregolare in agricoltura. I militari hanno eseguito una ordinanza di misura cautelare interdittiva e hanno vietato l’esercizio dell’attività professionale o imprenditoriale nei confronti di 9 persone: 4 macedoni, 4 albanesi e 1 tunisino, provenienza da cui arrivano gli stessi schiavi delle vigne, a cui si aggiungono i migranti dell'Africa subsahariana e del subcontinente indiano. Sequestrati 11 veicoli, furgoni e pullmini, usati dai caporali per trasportare i lavoratori.
Sono accusati di caporalato e di aver occupato alle proprie dipendenze lavoratori non in regola con il soggiorno in Italia, e nello specifico: reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dai contratti di lavoro (6 euro all’ora) anche con trattenute alla fonte per il costo di trasporto; mancata osservanza della normativa relativa a orari di lavoro, permessi, ferie e riposo; mancato rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; sottoposizione dei lavoratori a condizioni e metodi di lavoro degradanti (sorveglianza a vista e minaccia di non retribuzione in caso di minimo errore).
Non è la prima volta che dalle zone vinicole del Piemonte, in particolare nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, emergono casi di caporalato e lavoro nero. Queste sono piaghe endemiche nel comparto agricolo che sempre più troviamo comparire ed espandersi a ogni latitudine. Oramai dovrebbe essere chiaro che le situazioni in cui i lavoratori sono trattati come schiavi non sono circoscritte alla provincia di Foggia, alla piana di Gioia Tauro e al Sud in generale. Baraccopoli e accampamenti di fortuna dove dormono i lavoratori migranti esistono anche al centro e al nord, oltretutto in zone dove si lavorano terreni, in questo caso vigneti pregiati, che valgono oro e da cui si ricavano lauti profitti.
La Flai-Cgil denuncia come il settore vitivinicolo è sempre più spesso teatro di sfruttamento: “Serve un’assunzione di responsabilità da parte di tutta la filiera, è intollerabile che prodotti fiore all’occhiello delle produzioni agroalimentari del nostro Paese siano macchiati del sangue dei lavoratori e delle lavoratrici”. Un grido d'allarme diretto contro le aziende e i proprietari terrieri che tentano di lavarsene le mani affidandosi a società terze che procurano la manodopera, scaricando su di loro le pratiche illecite. Una prassi consolidata che deve essere spezzata perché i padroni sono corresponsabili e consapevoli dello sfruttamento e della condizione di schiavitù in cui sono costretti questi lavoratori.

3 aprile 2024