L'emendamento del governo sulla legge bavaglio è un semplice ritocco
Il diritto di cronaca condizionato all'"udienza filtro". Rimane il freno alle indagini
Il Pd e l'Udc approvano il testo

Superato lo scoglio della commissione Giustizia presieduta dalla finiana Bongiorno, grazie a un emendamento presentato il 20 luglio dallo stesso governo accogliendo i rilievi di Napolitano e le pressioni di Fini, e votato perfino da PD e UDC, la legge contro le intercettazioni e la libertà di cronaca, comunemente nota come legge bavaglio, è approdata in aula alla Camera, dove verrà discussa a partire dal prossimo 29 luglio. Ingoiato il piccolo rospo delle "modifiche" per tacitare la fronda finiana e contentare il Quirinale, in realtà dei semplici ritocchi che allentano un poco il bavaglio alla stampa per quanto riguarda il diritto di cronaca ma lasciano ben stretto e tirato il guinzaglio alla magistratura sulle intercettazioni, ora il neoduce Berlusconi si sente di nuovo le mani libere e vuole assolutamente che il ddl confezionato dai suoi gerarchi Alfano e Ghedini sia approvato dalla Camera prima delle vacanze, se necessario anche col voto di fiducia. Un'esigenza resa per lui sempre più urgente e pressante dal moltiplicarsi delle inchieste e degli scandali sulla corruzione e il malaffare in cui sono coinvolti i suoi più stretti sodali e servitori, e soprattutto per cercare di stoppare preventivamente gli scandali non ancora noti all'opinione pubblica, ma che lui ben conosce, come quello enorme che si cela nelle inchieste condotte da varie procure sulle stragi politico-mafiose del '92-93.
L'emendamento del governo che ha sbloccato l'iter della legge in Commissione è stato negoziato, a nome del ministro della Giustizia Alfano, dal sottosegretario Caliendo, il "Giacomino" coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3 di Carboni, Lombardi, Martino, Dell'Utri e Verdini. Le modifiche al testo uscito dal Senato concordate con la Bongiorno sono minime, e riguardano essenzialmente un allentamento della stretta sulla libertà di stampa, con l'istituzione di un'"udienza-filtro" in cui il giudice per le udienze preliminari (Gip), insieme ai rappresentanti di accusa e difesa, stabilisce quali siano gli atti e le intercettazioni "rilevanti" da rendere accessibili al pubblico e quelle da secretare perché "non rilevanti" ai fini del processo. Nella discussione è passato poi un emendamento delle "opposizioni" che specifica il termine massimo di 45 giorni entro cui deve essere tenuta l'udienza (PD e UDC hanno votato perciò a favore dell'emendamento governativo modificato, mentre l'IDV ha votato contro). Sono state poi ridotte le sanzioni contro gli editori responsabili della pubblicazione di atti secretati.
Riguardo alle intercettazioni l'emendamento governativo ha aumentato da 3 a 15 giorni il periodo di proroga che potrà essere richiesto di volta in volta dai pubblici ministeri oltre il tetto massimo di 75 giorni. In Commissione sono poi state apportate altre piccole modifiche "migliorative" come l'abolizione dell'autorizzazione del Parlamento per le intercettazioni "indirette" dei parlamentari (quelle in cui gli inquirenti si possono imbattere intercettando terze persone, come per esempio nell'inchiesta di Trani). La modifica, approvata all'unanimità, dispone comunque che tali intercettazioni siano conservate in un fascicolo separato in un'apposita sezione dell'archivio riservato. Cade anche il divieto di intercettare utenze diverse da quelle degli indagati, a patto che sussistano "concreti elementi" che l'utenza sia usata per comunicazioni attinenti ai fatti per i quali si procede.

Intatto l'impianto mussoliniano e filomafioso della legge
La maggioranza ha fatto invece muro, e non a caso, su altri emendamenti, come la cosiddetta "norma Falcone" che avrebbe esteso le facilitazioni agli ascolti riservate ai reati di mafia e terrorismo anche ad altri reati associativi come corruzione, concussione, peculato, truffa, bancarotta, usura, per i quali ci vorranno sempre "gravi" (e non "sufficienti") indizi per disporre le intercettazioni. Esse saranno inoltre soggette a tutte le limitazioni temporali procedurali della legge, per cui associazioni a delinquere come la "P3", ad esempio, godrebbero di questo trattamento privilegiato, a differenza delle associazioni mafiose propriamente dette.
Un'altra norma liberticida su cui la maggioranza ha puntato i piedi rifiutandosi di abrogarla, sorda alla valanga di proteste dilagate sul Web, è quella che equipara i responsabili dei blog agli editori obbligandoli a pubblicare, se richieste da presunti diffamati, rettifiche entro 48 ore pena una multa fino a ben 12.500 euro: una misura smaccatamente terroristica per intimidire e reprimere preventivamente il libero dibattito sulla rete che se passasse non avrebbe uguali in tutto il mondo. Non a caso l'European Writer Council, una federazione di 60 sindacati di scrittori di 33 paesi, dopo che già l'Onu aveva espresso preoccupazione per la legge bavaglio, ha manifestato con una dura nota "profondo sconcerto" per una legge che se approvata metterebbe "in discussione la libertà di informazione e d'espressione in Italia".
In ogni caso le modifiche apportate al provvedimento ne lasciano assolutamente intatto l'impianto complessivo di stampo marcatamente mussoliniano e filomafioso. L'"udienza-filtro" lascia praticamente al buio per 45 giorni l'opinione pubblica prima che emergano eventuali resoconti su inchieste scottanti, e solo per riassunto di quelle sole parti ritenute "rilevanti". Ma come si decide che certi soggetti intercettati e certe loro frasi sono "rilevanti" o meno per una corretta informazione dell'opinione pubblica? Vi sono persone e frasi che possono essere irrilevanti dal punto di vista processuale, ma rilevantissime dal punto di vista politico e morale: si pensi alle frasi che si scambiavano quelli della "cricca" degli appalti del G8 che se la ridevano la notte del terremoto a L'Aquila, o al "bacio in fronte" di Fiorani al governatore di Bankitalia Fazio, e tanti altri vergognosi casi del genere.
E soprattutto rimangono fondamentalmente intatte tutte le limitazioni frapposte ai magistrati all'utilizzo pieno ed efficace delle intercettazioni, soggette alla condizione della sussistenza di "gravi indizi di reato" (il che rimanda comunque alla produzione di prove di reato prima di richiedere l'intercettazione), e all'approvazione di un collegio giudicante di tre persone presso la Corte d'Appello, che costringerà i pm a far viaggiare le carte da una città all'altra e allungherà enormemente i tempi per le autorizzazioni. Con in più l'assurdo paradosso che mentre per condannare un omicida all'ergastolo basta un giudice monocratico, per dare l'autorizzazione ad intercettare un politico corrotto occorre il parere concorde di ben tre giudici.
Per non parlare dell'assurda limitazione delle intercettazioni a 30 giorni, che si possono estendere per altri tre periodi di 15 giorni, dopodiché il pm dovrà richiedere di volta in volta altre proroghe di 15 giorni solo per gravi e documentate ragioni. A cui si aggiungono ulteriori difficoltà dovute agli stanziamenti contingentati, esauriti i quali finiscono anche le intercettazioni, la carenza cronica di finanziamenti e di mezzi in generale che affligge la macchina della giustizia, e così via.
Ora il neoduce può accelerare l'approvazione della legge bavaglio
Questa situazione che è ben presente ai magistrati non asserviti al carro del nuovo Mussolini, come dimostra un lungo documento approvato quasi all'unanimità dalla VI sezione del Consiglio superiore della magistratura (CSM), che nel prendere in esame la legge bavaglio ne denuncia lo scoperto tentativo di "vanificazione di indagini di rilevante impegno", e il cui giudizio, nonostante le modifiche apportate o annunciate, rimane "fortemente critico" perché si rischia una "forte limitazione dello strumento d'indagine". Questo documento avrebbe dovuto essere discusso dal plenum del Cosiglio, ma ancora una volta il tandem Mancino-Napolitano è riuscito a stoppare la discussione accampando la scusa che l'attuale CSM è in scadenza e che è meglio che della cosa si occupino i nuovi consiglieri.
Altro che "un mezzo passo avanti", come Bersani ha definito l'emendamento del governo, lasciando per giunta capire, col voto a favore in commissione Giustizia e con l'asse con Casini, di essere disposto a trattare con la maggioranza anche in aula in base al principio capitolardo della "riduzione del danno". Per capire invece il senso dell'operazione del governo basterebbe la dichiarazione raggiante di Ghedini, per il quale in Commissione è stata trovata "un'eccellente sintesi".
D'altra parte non bisogna assolutamente prendere alla lettera le lamentele di Berlusconi per aver dovuto accettare il compromesso con Fini e che con queste modifiche "la legge lascerà pressappoco la situazione com'è adesso, e cioè non lascerà gli italiani parlare liberamente al telefono, e l'Italia non sarà un Paese davvero civile". Parole che in generale sono state salutate dalla rimbambita "sinistra" borghese come una prova della "sconfitta" di Berlusconi, che sarebbe come al solito "in difficoltà", "solo", "disperato" e così via. In realtà ancora una volta la tattica del neoduce si è dimostrata essere quella di chiedere 100 lasciando agli avversari l'illusione di averlo battuto solo perché alla fine ha ottenuto "solo" 80-90, che è più di quanto gli basta per i suoi piani. "Dobbiamo approvare la legge - ha detto il nuovo Mussolini rassicurando i suoi sgherri più irriducibili - perché comunque i magistrati saranno meno liberi di oggi nel mettere tanti cittadini sotto controllo".
Il piccolo prezzo che ha dovuto pagare gli verrà reso con gli interessi, avendo con ciò, come egli stesso si è espresso, "scaricato la pistola di Fini", che ora non potrà più né minacciare di far votare contro i suoi né opporsi più di tanto alla sua fretta indiavolata di far passare il provvedimento alla Camera prima delle vacanze. Inoltre ha neutralizzato gli scrupoli di Napolitano fornendogli il pretesto necessario per firmare la legge senza perdere troppo clamorosamente la faccia.
Non va infatti dimenticato che questa era proprio la soluzione di compromesso suggeritagli instancabilmente dal nuovo Vittorio Emanuele III, che difatti se ne è subito compiaciuto in occasione del discorso alla "cerimonia del ventaglio", quando ha sottolineato che "non deve dunque stupire che la definizione di una nuova legge in materia di intercettazioni, da lungo attesa (sic), abbia richiesto un tempo non breve e un percorso faticoso, potremmo dire per 'approssimazioni successive'. Non c'è da stupirsene perché si trattava di bilanciare tra loro diversi valori e diritti, tutti egualmente riconosciuti in Costituzione". Il che suona chiaramente da una parte come una ulteriore legittimazione della legge bavaglio, e dall'altra come un invito al neoduce Berlusconi ad evitare il muro contro muro e ad affidarsi invece alla sua mediazione e agli accordi parlamentari come sola via praticabile per farla passare.

28 luglio 2010