Due milioni di libanesi manifestano a Beirut
"Beirut libera, Siniora vattene"
Continua la mobilitazione promossa da Hezbollah, Amal e da altri per le dimissioni del governo filo-Usa
Almeno un milione e mezzo di libanesi avevano manifestato l'1 dicembre a Beirut nella centralissima piazza Riad al-Solh, a due passi dalla sede del governo per chiedere le dimissioni del premier Fuad Siniora e degli altri ministri ancora in carica. Altrettanti e forse più, alcune fonti parlano di due milioni di persone, sono scese di nuovo nelle piazze centrali della capitale libanese il 10 dicembre al grido di "Beirut libera, Siniora vattene via".
I dimostranti erano giunti da varie parti del paese sin dalla mattinata e in poche ore le principali vie d'accesso alle due piazze centrali di Beirut erano piene di persone. Piene le piazze e pieni i viali di collegamento con la periferia meridionale verso i quartieri sciiti e quelle nella parte nord e est dove numerosa era la presenza dei cristiano maroniti e delle altre organizzazioni di opposizione al governo Siniora.
Il primo intervento dal palco principale è stato affidato al sindaco sunnita di Sidone che ha appoggiato la richiesta della formazione di un nuovo governo di unità nazionale.
L'intervento del leader dei cristiano maroniti Michel Aoun è avvvenuto via collegamento video dalla sua residenza di Rabie, a nord-est di Beirut. Ha ricordato il presidio che dall'1 dicembre le opposizioni hanno organizzato nella piazza antistante la sede del governo e ha affermato che "il filo spinato che è stato steso non servirà a difendere la sede del governo, la prossima volta che ci raduneremo la nostra gente sarà libera di muoversi e il Gran Serraglio non sarà più protetto. Abbiamo visto cosa è successo in Serbia e in Ucraina, dove hanno occupato il Parlamento e il governo e hanno fatto cadere l'esecutivo". Se non sarà trovata una soluzione, ha concluso Aoun, l'opposizione "annuncerà entro pochi giorni un governo ad interim per andare a elezioni anticipate".
Fra gli altri è intervenuto anche uno dei leader di Hezbollah, Naim Qasem, che rivolto al governo di Siniora ha affermato: "aprite gli occhi, aprite le orecchie, ascoltate le grida del vostro popolo che dal primo dicembre è in piazza per chiedere la fine della tutela americana e israeliana sul Libano. Guai a voi, leader del governo, che avete venduto il Libano agli Stati Uniti e lo state portando alla distruzione". Dalla folla si sono levati i gridi di "morte all'America" e "morte a Israele".
Alla vigilia della imponente manifestazione il presidente libanese Lahoud, come annunciato, aveva ufficialmente respinto la legge approvata da una parte del governo Siniora per l'istituzione di un tribunale internazionale per giudicare mandanti ed esecutori dell'assassinio dell'ex premier Hariri. "La riunione del governo è stata incostituzionale. La decisione del governo non ha alcun valore e quindi io la respingo", ha dichiarato Lahoud il 9 dicembre.
La manifestazione era stata preparata anche da un intervento del leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, che il 7 dicembre in un discorso rivolto ai dimostranti del presidio vicino alla sede del governo era tornato a chiedere le dimissioni del governo di Fouad Siniora a favore di un governo di unità nazionale che garantisca all'opposizione un terzo dei ministri. Questo è il modo, secondo Nasrallah, per garantire la stabilità e il futuro del Libano. Un obiettivo che l'opposizione vuole raggiungere senza farsi trascinare in scontri a fuoco perché Hezbollah e i suoi alleati "rifiutano la guerra civile". "Non prenderemo le armi contro nessuno. Le nostre armi sono solo contro Israele. Non vogliamo e non vorremo combattere contro nessun libanese", ha affermato Nasrallah.
In ogni caso, ha precisato Nasrallah, "non abbandoniamo la strada fino a quando non sarà raggiunto il nostro obiettivo, ovvero la costruzione di un governo di unità nazionale". "Dico a coloro che scommettono sulla nostra sconfitta che è un'illusione. E invito il governo illegittimo a non scommettere sul sostegno degli Stati Uniti e dell'Occidente", ha proseguito ammonendo i paesi arabi moderati a "non interferire e non schierarsi a favore di una parte" nella crisi libanese.
"È sospetto che Israele lodi ogni giorno il governo. C'è qualcosa dietro?", ha denunciato il leader di Hezbollah che ha ricordato come durante i 34 giorni dell'aggressione sionista il governo Siniora ha "ordinato all'esercito di bloccare l'invio di armi alla Resistenza" mentre Israele "stava bombardando le vie di rifornimento" utilizzate da Hezbollah.
Il governo libanese diretto da Fuad Siniora respinge la richiesta di dimissioni che con sempre maggior forza le opposizioni ribadiscono nelle piazze, non vuol mollare la sedia governativa nonostante che sei ministri abbiano rassegnato le dimissioni; non vuol prendere atto che secondo gli accordi di Taif, che posero fine alla guerra civile, e divenuti parte integrante della Costituzione del 1990 i governi dovrebbero basarsi sulla partecipazione di tutte le confessioni religiose in proporzione al numero dei loro aderenti. Certo ha l'appoggio dei paesi imperialisti, gli Usa e l'ex potenza coloniale francese in testa, e di paesi arabi quali Egitto e Arabia Saudita; non gli mancano gli attestati di solidarietà dal governo Prodi che ha voluto conquistarsi un posto al sole nella regione promuovendo l'invio dei "caschi blu" Onu e togliendo dall'impiccio gli aggressori sionisti battuti sul campo dalla Resistenza di Hezbollah. Una lunga lista di candidati imperialisti che vorrebbero assicurarsi il protettorato sul paese mediorientale.

13 dicembre 2006