Buttando all'aria la Casa del fascio e il bipolarismo, annunciando il "partito del popolo della libertà"
Il neoduce Berlusconi lancia la Terza repubblica sotto la sua guida cercando di coinvolgere il PD
Bertinotti esalta il leader della destra. Veltroni gli apre le porte
Messo in difficoltà dalla nascita del Partito democratico, dal fallimento della strategia della "spallata" per far cadere il governo Prodi in parlamento e dalla fronda ormai aperta dei suoi alleati Fini e Casini, decisi a trattare con Veltroni sulla legge elettorale e sulle "riforme istituzionali" anche senza di lui, Berlusconi ha reagito con le armi che gli sono più congeniali: il ducismo e il populismo mussoliniani, sostenuti dall'enorme potere mediatico delle sue televisioni e dei giornali che possiede o che lo fiancheggiano. Così, con poche mosse decise, ha spaccato il partito di Fini finanziando e appoggiando la nuova formazione scissionista di Storace, La Destra, e scatenando le sue tv contro il leader di AN che lo hanno colpito con velenosi pettegolezzi sulla sua nuova fidanzata; ha promosso senza badare a spese una raccolta di firme in molte piazze d'Italia e su Internet per chiedere la cacciata di Prodi e le elezioni anticipate, annunciando poi di averne raccolte ben 8 milioni, come le famigerate baionette di Mussolini, a dimostrazione che "la gente" è con lui, compresi gli elettori di AN e UDC; infine si è preparato accuratamente una sorta di golpe mediatico in piazza S. Babila a Milano, con relativo "bagno di folla" arringata dal predellino della sua Mercedes blindata (facente nella fattispecie le veci del balcone di Palazzo Venezia), e ha annunciato in un colpo solo la fine della Casa del fascio e del bipolarismo fondato sulle coalizioni preelettorali, lo scioglimento di Forza Italia e la creazione del "partito del popolo della libertà" di cui lui sarà il leader indiscusso ed "eletto dal popolo", nonché l'apertura della trattativa con Veltroni sulla "riforma elettorale".

La fine della Casa del fascio
Con questo colpo di teatro è riuscito in pochi giorni non solo ad uscire dall'angolo e a riconquistare il centro della scena politica da cui rischiava di restare emarginato, ma ha demolito Fini e messo in un angolo Casini e si è anche riproposto come principale interlocutore del PD nella partita delle "riforme istituzionali", riconfermandosi nelle vesti di rappresentante principale se non unico della destra, a prescindere dal quale non sarà possibile raggiungere alcun accordo.
A far precipitare le cose nella Casa del fascio erano stati il fallimento della "spallata" a Prodi in Senato sulla Finanziaria e la proposta di "riforma" elettorale di Veltroni, per un proporzionale senza premio di maggioranza ma con soglia di sbarramento per i partiti minori: un misto dei sistemi in vigore in Italia, Spagna e Germania, tale da favorire due grandi partiti, uno della destra e uno della "sinistra" borghesi, liberi di scegliere, dopo e non prima delle elezioni, le formazioni minori con cui allearsi per governare, secondo quello che il leader liberale e anticomunista del PD definisce un "bipolarismo virtuoso".
Fini e Casini, pur non condividendo del tutto e per motivi diversi questa proposta, ma rendendosi conto del vicolo cieco in cui si era impantanata la strategia di Berlusconi, e sempre più tentati di rimetterne in discussione la leadership della destra, erano propensi ad accettare il tavolo di trattative proposto da Veltroni, e così anche Bossi, tanto che Casini, La Russa e Maroni partecipavano come ospiti d'onore ad un convegno di Italianieuropei, la fondazione di D'Alema e Amato, per discutere della legge elettorale.
Berlusconi invece si ostinava a chiedere le elezioni anticipate o in subordine un accordo su una nuova legge elettorale ma a patto di sciogliere subito dopo la legislatura e andare al voto.
Da parte sua Veltroni gli lanciava inviti al dialogo citando la disponibilità di Fini, Casini e Bossi a discutere non solo della legge elettorale ma anche delle "riforme istituzionali". "Il 2008 può essere impegnato per fare le riforme necessarie al Paese", lo incitava il leader del PD invitandolo ad aprire insieme il "cantiere delle riforme". I cui capisaldi sono: una sola Camera, meno parlamentari, più poteri al premier, nuovo regolamento parlamentare e legge elettorale per un "bicameralismo virtuoso". Un'agenda di temi per la controriforma della Costituzione su cui infatti Fini - fatta eccezione per la legge elettorale - ha poi subito concordato con Veltroni nel loro colloquio del 26 novembre che ha inaugurato il primo giro di incontri.
Nel frattempo continuavano dietro le quinte i contatti tra Montezemolo e Casini attorno al progetto della "Cosa bianca", un nuovo partito di centro a cui guardano anche elementi come l'ex segretario della CISL Pezzotta, promotore del "family day", l'UDC Tabacci, l'economista Mario Monti e Mastella. Un partito che secondo Casini potrebbe raccogliere il 10% dell'elettorato, e che in un sistema proporzionale bipolare come quello avanzato da Veltroni potrebbe rappresentare l'ago della bilancia tra il PD e Berlusconi.
A questo progetto centrista Montezemolo sta lavorando da tempo per la sua scesa in campo quando lascerà la presidenza di Confindustria, tant'è vero che si sta preparando il terreno attaccando sia la destra che la "sinistra" parlamentari, non tralasciando occasione per dichiarare che "da dodici anni il Paese non è governato". E Montezemolo rappresenta i "poteri forti". Logico che Berlusconi, sommando tutti questi elementi, abbia sentito puzzo di bruciato e abbia deciso di giocare proprio ora la carta dell'appello "al popolo", che teneva in serbo da mesi, per uscire dall'angolo in cui si sentiva sempre più sospinto; cominciando col fare i conti con i due "traditori" Casini e Fini, da lui accusati di non averlo fatto governare e di avergli pure fatto perdere le elezioni: "Dove pensano di andare senza di me? Fini l'ho tirato fuori dalle fogne e se mi girano ce lo rimando... e sappiano che gli elettori di AN e UDC verranno da me", sibilava furibondo il neoduce. E senza por tempo in mezzo intratteneva lunghi colloqui con Giovanardi e Storace, ben felici di fare da sponda alle sue manovre scissioniste. Al congresso di fondazione de La Destra, veniva infatti accolto come un trionfatore al grido di "duce, duce" e "Silvio, Silvio" e con saluti romani, mentre circolavano voci che avesse finanziato la nuova formazione di Storace e Bontempo con 2 milioni di euro, e che anche la rottura della Santanché con Fini fosse farina del suo sacco.

Il proclama del neoduce "al popolo"
Nel fine settimana il cavaliere piduista dava il via ai gazebo in tutta Italia per la raccolta delle firme e la sera di domenica 18, al gazebo di piazza San Babila, a braccetto con la sua creatura Michela Vittoria Brambilla che aveva organizzato per lui i "Circoli della libertà" proprio in preparazione di quest'evento, davanti a una selva di telecamere e a centinaia di fans in delirio, annunciando di aver raccolto 8 milioni di firme, di cui solo la metà di Forza Italia (lasciando intendere che il resto erano elettori di AN e UDC), sferrava il colpo finale: "Il tempo è venuto. Oggi nasce ufficialmente un nuovo grande partito. Il partito del popolo della libertà", proclamava afferrando un microfono e poi salendo sul predellino della sua macchina per arringare meglio la folla in delirio. "Forza Italia è un nome che ha contato, ma si scioglie e confluisce in questa nuova formazione che sarà protagonista della scena politica per i prossimi decenni. Invitiamo tutti a venire con noi. Avremo una nuova classe dirigente e saranno fatti fuori i vecchi fannulloni".
Fini e Casini? "Non devo, non voglio convincere nessuno. Se aderiscono bene, altrimenti andremo avanti con la forza della gente. Contro i parrucconi della politica", ha sentenziato il neoduce dando il benservito agli ex alleati; ma insieme ad essi anche alla pletora di quadrumviri, gerarchi e gerarchetti ben accasati in Forza Italia, rimasti infatti di stucco all'annuncio di essere stati "sciolti", e che lui considera evidentemente dei parassiti non più capaci di stare al suo passo. Poi ha annunciato la svolta sul dialogo con il PD sulle "riforme": "Se la maggioranza avanzerà proposte o dirà sì alle nostre, saremo lieti di trovare per il nostro Paese una direzione di svolta che arricchisca la democrazia, lo sviluppo e la libertà".
Rimasti completamente spiazzati dalla mossa del neoduce, Fini e Casini tentano ora di fare asse e hanno stilato un comunicato congiunto al veleno in cui si sottolinea che "la gravità della situazione italiana impone di elaborare progetti che nulla hanno a che fare con la improvvisazione propagandistica né con estemporanee sortite populistiche". A cui Berlusconi ha risposto con tono beffardo: "Se continuano così a noi va benissimo. Noi ci teniamo gli elettori, loro il progetto". Infatti il neoduce non fa mistero di puntare a risucchiare l'elettorato di UDC e AN, soprattutto di quest'ultimo partito. Fini è in grande difficoltà, perché mentre Casini lavora per il grande centro e la "cosa bianca", Fini non può permettersi di scoprirsi ulteriormente a destra e rischiare di perdere altri pezzi, perciò al massimo può puntare a rinegoziare una maggiore autonomia sempre però nell'orbita del neoduce. Magari brandendo come arma la "riforma" delle tv e la legge sul conflitto di interessi, e magari confidando anche nell'anagrafe: "Io ho vent'anni di meno...e lui non è eterno", pare sia stato sentito brontolare l'ex "delfino" mancato del neoduce.

Pericolosa sottovalutazione da parte della "sinistra" borghese
Dopo aver scavalcato a destra Fini, Berlusconi ha pure scavalcato a destra Casini, recandosi la sera dopo il comizio milanese in Vaticano a colloquio col sottosegretario di Stato cardinale Bertone. E poi li ha scavalcati ambedue a sinistra, proponendosi come interlocutore diretto e privilegiato di Veltroni, il quale pare ben felice di stare al suo gioco come lo fu già D'Alema con la Bicamerale. Anzi, il cavaliere piduista ha pure ritirato fuori dal cappello l'ipotesi di un governo di "grande coalizione" alla tedesca, nel caso che con la "riforma elettorale" bipolare il suo partito del popolo e il PD, pur risultando i più forti, non riescano a formare una coalizione in grado di governare. Scenari da terza repubblica più che da seconda, come ormai, oltre a noi, alcuni osservatori cominciano a intravedere dopo l'ultima uscita del nuovo Mussolini.
Qualcuno anzi ha cominciato ad "accorgersi" delle similitudini mussoliniane del personaggio e del suo appello "al popolo" degli "8 milioni di firme" evocanti gli 8 milioni di baionette di mussoliniana memoria. Ma sempre in maniera appena accennata e ipocrita, come la bella addormentata Scalfari su La Repubblica. Viceversa c'è stato anche il tentativo furbesco di esaltare la mossa del neoduce sviando l'analogia con Mussolini e paragonandolo a Napoleone (Feltri) e perfino ai grandi maestri, come Mao (paragone fatto da Ferrara per analogia con lo scatenamento della Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina), e come Lenin, citato da Confalonieri a proposito del comizio di Berlusconi sul predellino della macchina, come per dare un'aurea "rivoluzionaria" al golpe mediatico del neoduce in piazza San Babila.
In generale nella "sinistra" borghese l'atteggiamento è di grave sottovalutazione del personaggio e delle sue mosse, e ricorda quello con cui fu accolta la sua "scesa in campo" nel 1993 con il suo partito sbrigativamente liquidato come "di plastica". Valga in proposito l'affermazione troppo trionfalistica e scontata di Veltroni alla sortita di Berlusconi: "È il riconoscimento di una sconfitta, dopo l'annunciata spallata al governo che non c'è stata. Ed è anche la convinzione che si è conclusa una stagione politica", ha detto il leader del PD gongolando perché a suo dire prima era il "centro-sinistra" a copiare Berlusconi, ed ora è lui a copiare il PD.
E invece quella di Berlusconi è stata una mossa spericolata ma non disperata, come pensano i rimbambiti dirigenti del PD, anzi in realtà era stata preparata accuratamente e da tempo. Non a caso aveva messo in pista la Brambilla per preparare il terreno. Aspettava solo che i suoi ex alleati gliene fornissero il pretesto. Non a caso, qualcuno che invece si è molto allarmato, come Prodi e i suoi sostenitori che temono un asse Veltroni-Berlusconi per farlo fuori, ha fatto scoppiare lo scandalo della collusione Rai-Mediaset, che Confalonieri ha accusato di essere una manovra per bloccare il dialogo appena avviato tra i due leader e che comunque è la conferma di come il neoduce Berlusconi abbia fedelmente realizzato il famigerato "Piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli anche sul fronte dei mass media, tv e giornali. E sempre non a caso Prodi ha improvvisamente messo "con urgenza" all'ordine dei lavori parlamentari la "riforma" Gentiloni sulle tv.
Nella "sinistra" borghese c'è stato invece chi addirittura, come il trotzkista gandhiano Bertinotti, ha ammesso di essere rimasto a bocca aperta davanti all'abilità politica del cavaliere di Arcore, riconoscendogli di essere "l'alpha e l'omega della Seconda Repubblica. Lui ne è stato l'inizio con la sua discesa in campo, lui con un altro colpo di teatro ne ha decretato la fine. Chapeau!". "Ero davanti alla tv con mia moglie quando ha dato l'annuncio e abbiamo commentato: Fantastico!", ha aggiunto il guardiano della Camera in Transatlantico rivolto a Cicchitto e Bonaiuti, mentre Giordano cercava di trascinarlo via.
Non c'è nulla da fare. I rincoglioniti leader della "sinistra" riformista, liberale e falsa comunista continuano a sottovalutare questo nuovo Mussolini e in certi casi, come il narcisista Bertinotti, ne subiscono persino il potere di seduzione, come lo subirono molti socialisti che poi passarono dalla parte di Mussolini e andarono a ingrossare le file del fascismo. E qualcuno di essi finì anche appeso a Piazzale Loreto.
In ogni caso lo accettano come il principale interlocutore per completare la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. Proprio lui che ha demolito la Prima Repubblica, secondo il "Piano di rinascita democratica" della P2 che ancora va avanti, ha garantito e completato la seconda con il suo quinquennato e ora, come Mussolini, si presenta "al popolo" come l'"uomo della provvidenza" che annuncia già l'avvento della terza repubblica, per salvare il Paese dallo sfascio e dai "parrucconi" della politica: ossia per completare e consolidare il regime neofascista di cui egli si considera senz'altro il nuovo duce predestinato.

28 novembre 2007