Il neoduce pronto a trascinare l'Italia nell'aggressione imperialista all'Irak
BERLUSCONI CALZA L'ELMETTO E SI SCHIERA CON BUSH CONTRO SADDAM
Il presidente del Consiglio si allea a Bush come Mussolini fece con Hitler pensando di sedersi al tavolo dei vincitori e partecipare al dominio del mondo. Fassino e Rutelli si coprono ipocritamente dietro le scelte dell'Onu
UN ACCORDO TRA "CENTRO-SINISTRA'' E GOVERNO IMPEDISCE IL VOTO SULLE DICHIARAZIONI DI BERLUSCONI

Il 25 settembre Berlusconi si è recato alla Camera e al Senato per illustrare la posizione del governo sulla crisi irakena. Un accordo preventivo tra la maggioranza e il "centro-sinistra'' aveva escluso una votazione sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, in modo da evitare in questa fase eventuali spaccature nel parlamento e all'interno degli stessi gruppi parlamentari. Cosicché, grazie ancora una volta al collaborazionismo "bipartisan'' che l'Ulivo è sempre pronto ad offrire quando si tratta della politica e dell'"immagine'' internazionali dell'Italia, quello che per Berlusconi avrebbe potuto essere un passaggio politico delicato si è risolto in una comoda passerella in cui ha potuto esporre la sua dottrina guerrafondaia senza essere chiamato a risponderne davanti al Paese.
Con questa strada spianata davanti a sé il capo del governo ha avuto buon gioco nel presentarsi in aula senza peritarsi a calzare l'elemetto del più fedele amico e alleato europeo di Bush, dopo Blair, dando già per scontata l'adesione del nostro Paese all'arrogante politica di pressioni sull'Onu che gli Usa stanno attuando per ottenere una copertura internazionale alla loro aggressione militare all'Irak già decisa e in fase avanzata di preparazione. In altre parole è andato in parlamento solo per ribadire punto per punto quello che a nome dell'Italia aveva già offerto a Bush a Camp David e nel suo intervento all'assemblea delle Nazioni Unite: il pieno e incondizionato appoggio, sia pure sotto l'egida formale del Consiglio di sicurezza dell'Onu, alla mostruosa dottrina della "guerra preventiva'' e del "first strike'' (primo colpo, ndr) invocata dall'amministrazione Bush contro l'Irak di Saddam, ma anche contro qualunque altro Stato accusato di costituire una minaccia per gli interessi Usa.

DIFESA SPERTICATA DI BUSH E DELL'IMPERIALISMO USA
è così che, dopo aver vantato per l'Italia il terzo posto per impegno delle sue truppe all'estero e i "successi'' del suo governo nella "repressione e dissuasione del terrorismo internazionale'', e confermato l'imminente partenza per Kabul del contingente di alpini richiesto dagli americani per la caccia ad Al Qaeda, Berlusconi si è prodotto in una sperticata difesa di tutte le tesi addotte dagli Usa per giustificare l'imminente aggressione all'Irak, compresa soprattutto la loro pretesa di ottenere in tempi rapidi dal Consiglio di sicurezza una risoluzione-capestro che dia loro carta bianca per imporre un ultimatum all'Irak e dichiarargli guerra senza bisogno di ulteriori pronunciamenti dell'Onu.
Riferendosi alla ministra della Giustizia tedesca, che aveva paragonato certi metodi di Hitler a quelli di Bush, il neoduce ha rovesciato la frittata mettendo Saddam al posto del presidente Usa e dirottando sul primo il paragone col dittatore nazista, come se la pace mondiale fosse minacciata oggi dal regime di Bagdad e non invece dall'Hitler di Washington. Con la stessa furbizia da piazzista di televendite Berlusconi ha avuto anche la sfrontatezza di citare l'articolo 11 della Costituzione, ma lo ha citato solo a metà, quella che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa''. Ha tagliato infatti, a sommo studio, la seconda parte, che aggiunge: "e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali'', parte che contrasta in pieno, guarda caso, con le pretese guerrafondaie di Bush avallate da Berlusconi.
E comunque anche questa sola parte l'ha citata soltanto per confutarla e dichiararla superata, in quanto a suo dire oggi, dopo l'11 settembre, "la guerra ha mutato in parte natura'' a causa della minaccia del terrorismo internazionale, delle armi di distruzione di massa che può utilizzare ecc., per cui "bisogna riconoscere che alle nuove preoccupazioni strategiche dell'amministrazione americana non si può semplicemente rispondere con un'alzata di spalle, qualunque cosa nel merito se ne pensi''. In altre parole occorre riconoscere la fondatezza e la validità giuridica, politica e morale della "guerra preventiva'' teorizzata da Bush. Infatti, aggiunge Berlusconi identificando a bella posta la tesi con la dimostrazione della stessa, "se emerge la questione della prevenzione politico-militare, questo vuol dire che c'è un legame tra la crescita del terrorismo e il pericolo costituito da Stati il cui solo scopo è l'espansionismo regionale o la destabilizzazione globale mediante l'uso o la minaccia di nuovi armamenti di sterminio''. Come dire che il fatto stesso che gli Stati Uniti invochino il principio della "guerra preventiva'' ciò è sufficiente a dimostrare che il pericolo da essi proclamato esiste oggettivamente, e tanto deve bastare!

ESPANDERE LA "DEMOCRAZIA'' CON LE ARMI
Secondo questa logica (e secondo l'incallita ossessione berlusconiana della "superiorità della civiltà occidentale''), l'Occidente deve "espandere la democrazia'' (leggi il capitalismo) a tutto il mondo, anche con le armi se necessario, sia pure in "condizioni eccezionali'', e guai a vedere ciò come un "progetto neocoloniale''! "Il compito di alleati leali e indipendenti dell'America, quali noi siamo e resteremo - proclama quindi il neoduce - è dunque quello di rafforzare gli strumenti di azione multilaterale, costruire una efficace linea d'azione europea, e discutere caso per caso i pericoli e le soluzioni, senza opporre il muro di gomma dell'inazione o della diserzione dalla solidarietà al controverso, ma comprensibile, nuovo orientamento strategico degli Stati Uniti''.
Berlusconi ha quindi concluso proclamando bellicosamente la volontà sua e del governo di procedere inflessibilmente su questa linea "senza cedere a uno spirito di divisione e di resa che indebolirebbe la nuova funzione e il nuovo smalto internazionale del nostro Paese'', proseguendo "con coraggio in quello sforzo politico, diplomatico e militare che i nudi fatti, guardati senza fanatismo ma anzi con freddezza, ci impongono come un dovere, come un dovere nazionale''.
Berlusconi, insomma, si stringe a Bush e alla sua politica aggressiva e guerrafondaia come Mussolini fece con Hitler, pensando come il duce del fascismo di potersi poi sedere al tavolo dei vincitori e partecipare alla rispartizione del potere mondiale che seguirà alla conclusione della nuova guerra del Golfo. E in base a questo calcolo è pronto a trascinare l'Italia nell'aggressione imperialista all'Irak, fregandosene altamente, stavolta, dei "sondaggi'' demoscopici che pure in altri casi è sempre pronto a sbandierare, e che registrano l'avversione popolare a questa nuova avventura militarista.

COMPIACENZA "BIPARTISAN''
C'è da dire che in questo è incoraggiato non poco dall'atteggiamento opportunista e collaborazionista dell'"opposizione'' parlamentare, che oltre all'accordo per non votare sulle sue dichiarazioni, di cui abbiamo già parlato, si è ben guardata dal denunciare e attaccare il suo disegno guerrafondaio e imperialista e dall'esprimere un netto ed inequivocabile rifiuto alla guerra all'Irak, rimettendo ipocritamente la questione alle decisioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Così ha fatto il segretario dei DS Fassino, che nel suo intervento, pieno zeppo di attestazioni di fedeltà agli Usa e alla "priorità assoluta'' della lotta al terrorismo internazionale, e senza tenere minimamente conto dei malumori e dei dissensi emersi nella "sinistra'' della Quercia sulle ambiguità della maggioranza dell'Ulivo, ha evitato di pronunciarsi chiaramente contro la guerra sostenendo ipocritamente, tra l'annuire compiaciuto di Berlusconi, che "il problema non è decidere se andare o non andare in guerra'', ma di lavorare per "scongiurarla'', demandando addirittura al neoduce il compito di "agire con grande determinazione insieme con gli altri paesi dell'Unione europea, insieme ai nostri alleati, insieme con gli Stati Uniti d'America (sic!), con i paesi arabi e, in primo luogo, con l'Onu per scongiurare questa querra''. Berlusconi l'ha poi accontentato con poca spesa aggiungendo un passaggio, nel suo discorso replicato al Senato, in cui impegna il governo ad adoperarsi "in ogni modo possibile al fine di scongiurare un conflitto''.
La stessa cosa ha fatto Rutelli, calcando a sua volta sul rafforzamento di una posizione comune europea, e arrivando addirittura a proporre "l'avvio immediato della forza di intervento militare devolvendo direttamente all'unione le risorse necessarie'', sottraendole cioè ai vincoli del patto di stabilità. Persino Rifondazione, che pure si è espressa contro la guerra con una propria mozione, ha finito per offrire una sorprendente quanto gratuita patente di credibilità ai guerrafondai imperialisti, quando con Ramon Mantovani ha detto di considerare "una sciocchezza paragonare Bush a Hitler''. In ogni caso l'opposizione alla guerra espressa da Mantovani è arrivata al massimo ad appiattirsi su quella del governo tedesco, indicata a Rutelli e Fassino come un modello da seguire dai neorevisionisti e trotzkisti del PRC.
Invece non ci può essere alcuna ambiguità su una questione così cruciale per chiunque abbia a cuore la pace mondiale e la libertà dei popoli dall'oppressione dell'imperialismo: bisogna opporsi risolutamente e senza riserve all'aggressione imperialista all'Irak. Nè un soldo, né un soldato, né una base, né qualsiasi aiuto dell'Italia all'aggressione imperialista all'Irak. Buttiamo giù il governo neofascista, affamatore e guerrafondaio del neoduce Berlusconi.

2 ottobre 2002