Lodo Mondadori
BERLUSCONI E' COLPEVOLE MA LA PRESCRIZIONE LO SALVA DAL PROCESSO
La sentenza di rinvio a giudizio per tutti gli imputati emessa il 25 giugno dalla V sezione della Corte d'Appello di Milano nell'ambito della famigerata inchiesta sul lodo Mondadori conferma che il neo presidente del Consiglio, il neoduce Berlusconi, è dentro fino al collo nel fango di tangentopoli e mafiopoli. Quasi non si contano più le sentenze di condanna, rinvio a giudizio, le inchieste e i processi giudiziari in corso in cui è coinvolto.
In base al pronunciamento della Corte D'Appello, il processo contro gli imputati Cesare Previti, l'ex giudice romano Vittorio Metta e gli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora tutti accusati di corruzione in atti giudiziari e rinviati a giudizio dovrebbe aprirsi il 4 ottobre prossimo.
Per il momento rimane fuori dal processo il neoduce Berlusconi salvato non dalla sua "onestà confermata dalla estraneità ai fatti" ma da una stupefacente tesi dei giudici della Corte D'Appello. Secondo i giudici della V sezione infatti, siccome nel palazzo di giustizia di Roma la corruzione era talmente diffusa e la pratica delle tangenti era una prassi ormai consolidata, il reato di corruzione in atti giudiziari compiuto dal privato cittadino o dall'imprenditore Berlusconi non è molto grave e può quindi rientrare nei benefici di legge.
Nel motivare questa incredibile tesi il presidente della Corte D'Appello Giovanni Riccardi scrive: "La concessione delle attenuanti generiche al privato (Berlusconi) appare conforme a giustizia sia considerando l'epoca dei fatti che, più specificatamente, il fattore ambientale in cui si svolsero". Insomma Berlusconi pagò i 400 milioni al giudice Metta per comprare la sentenza sul lodo Mondadori perché così funzionavano le cose al palazzo di giustizia di Roma. Egli si è comportato come un privato imprenditore che conoscendo il "contesto ambientale" in cui si svolgono i fatti e conscio del fatto che il palazzo di giustizia di Roma è caratterizzato "da un sistema di mercimonio delle pronunce giudiziarie" si comporta di conseguenza e paga per ottenere "ragione" di una causa civile.
Dunque il reato diventa "corruzione semplice" e non più corruzione in atti giudiziari e pertanto si possono applicare le attenuati generiche e la conseguente prescrizione del reato perché sono passati più di 7 anni e mezzo previste dall'introduzione delle norme del cosiddetto "giusto processo".
Le attenuanti non valgono invece per gli altri coimputati perché essi hanno collaborato materialmente con un pubblico ufficiale, l'allora giudice Vittoria Metta, per concorrere al reato di corruzione in atti giudiziari.
Insomma una sentenza a dir poco ambigua che, da una parte, conferma il dilagare della corruzione e del mercimonio delle sentenze di cui si sono avvalsi gli uomini Fininvest nel palazzo di giustizia di Roma ma, dall'altro lato, salva il neoduce Berlusconi che è il massimo beneficiario di quel sistema di corruttele e ora rischia di farla franca.
Non a caso la Procura generale di Milano ha già annunciato ricorso in Cassazione contro la concessione delle attenuanti generiche al neoduce.
La losca vicenda del cosiddetto lodo Mondadori risale alla fine degli anni '80, primi anni '90, e si consuma nell'ambito della famigerata guerra di Segrate combattuta fra il magnate della finanza Carlo De Benedetti e la famiglia Formenton per l'acquisizione della Mondadori da parte della Cir.
Nel 1989 i tre arbitri del tribunale vengono chiamati a dirimere la controversia giudiziaria insorta fra i due contendenti.
Nel giugno del 1990 gli arbitri danno ragione alla Cir di De Benedetti che conquista il controllo della prestigiosa casa editrice e toglie la presidenza al neoduce Berlusconi che però non si rassegna e ricorre subito in appello.
Nel 1991 la corte D'Appello di Roma fra cui figura il giudice Vittorio Metta annulla il lodo arbitrale è da ragione ai Formenton e Berlusconi.
Nel 1997 i giudici di Milano nell'ambito delle inchieste su tangentopoli avviano un'inchiesta giudiziaria ipotizzando il pagamento di una tangente di 400 milioni da parte di Berlusconi a favore dell'ex giudice romano Metta, che insieme a Valente e Paolini compone il collegio giudicante della Corte D'Appello. Il pagamento della tangente è avvenuta tramite l'intermediazione di Cesare Previti e degli avvocati Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.
Nel novembre del '99 i Pm milanesi chiedono il rinvio a giudizio di tutti gli imputati ivi compreso il neoduce Berlusconi per corruzione in atti giudiziari.
Il 19 giugno del 2000 il giudice per l'udienza preliminare (Gup) Rosario Lupo proscioglie da ogni accusa e manda tutti assolti gli imputati.
La procura ricorre contro la decisione del Gup e il fascicolo finisce sul tavolo della V¨ sezione della Corte D'Appello di Milano che il 25 giugno decide il rinvio a giudizio di tutti gli imputati ma salva dal processo il neoduce Berlusconi concedendogli le attenuanti generiche e il riconoscimento della sopraggiunta prescrizione del reato.