Col "Piano triennale per il lavoro" di Sacconi liberista e neocorporativo
Il governo Berlusconi demolisce i diritti dei lavoratori e instaura le relazioni industriali da terza repubblica
Le misure previste: cancellazione dello "Statuto dei lavoratori" e del contratto nazionale di lavoro, lavoro precarizzato, flessibilità orarie, arbitrato per i licenziamenti facili, limitazioni al diritto di sciopero, enti bilaterali di conciliazione, deroghe a contratti e leggi
Confindustria, Cisl e Uil apprezzano

Approvato dal Consiglio dei ministri e presentato alla stampa, il 31 luglio scorso, ossia quando le fabbriche chiudono per ferie, il "piano triennale per il lavoro" elaborato dal ministro per il welfare, l'ex craxiano e poi berlusconiano di ferro, Maurizio Sacconi, è passato quasi sotto silenzio. E invece merita attenzione perché in esso vi è sintetizzata la linea programmatica del governo del neoduce Berlusconi nel campo del lavoro e delle relazioni sindacali, in parte già attuata e in parte da attuare nel proseguo delle legislatura, sempre che non venga interrotta da elezioni anticipate. Una linea, come noi del PMLI abbiamo denunciato costantemente con forza, finalizzata a deregolamentare e precarizzare tutto il lavoro, cancellare diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori, in primis lo "Statuto dei lavoratori", ivi compreso l'art.18 sulla tutela dei licenziamenti illegittimi, a depotenziare il contratto nazionale di lavoro a favore di quello di secondo livello; finalizzata a imbrigliare la contrattazione aziendale con il metodo delle deroghe e dei salari subordinati ai profitti, limitare il diritto di sciopero fino a rendere impossibile il suo libero esercizio, trasformare le relazioni industriali con un segno neocorporativo neofascista da terza repubblica. Una linea del tutto convergente con quella della Confidustria, ossia l'associazione che cura gli interessi del grande capitale, e dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, il quale, dall'accordo separato alla Fiat di Pomigliano in poi, ha assunto un ruolo di punta.

Obiettivi filopadronali
Subito in premessa, Sacconi esplicita gli obiettivi del piano sotto la dicitura "cosa abbiamo fatto e cosa faremo, nella crisi e nella ripresa". Tra questi meritano attenzione per le conseguenze negative che comportano sui diritti dei lavoratori il proposito di "Liberare il lavoro dall'oppressione... formalistica e burocratica... dal conflitto collettivo e individuale". "Liberare il lavoro dal centralismo burocratico". Tutti orientati a favorire gli interessi delle imprese a danno di quelli dei lavoratori, una volta tradotti concretamente in norme di legge o in accordi sindacali. I punti di riferimento del piano, esplicitati da Sacconi sono: il "Libro Bianco" del giuslavorista Marco Biagi dell'ottobre 2001, fatto proprio dall'allora ministro del Lavoro Roberto Maroni e che fece da base all'attacco all'art.18 dello "Statuto dei lavoratori" e al varo della legge 30 per estendere la precarizzazione del lavoro già introdotta dal famoso "pacchetto Treu", nonché all'accordo separato governo, Confindustria e Cisl e Uil, contro il parere della Cgil, denominato "Patto per l'Italia"; e il suo "Libro Bianco" presentato il 6 maggio 2009 che recepisce e rilancia la cosiddetta "linea Biagi" per proseguire e sviluppare fino alle sue estreme conseguenze l'offensiva governativa e padronale antioperaia e antisindacale.
Quello di Sacconi va giudicato per quello che effettivamente è: un piano di precarizzazione, deregolamentazione, insicurezza e sfruttamento (intenso) del lavoro dipendente. Un piano fallimentare per quanto riguarda l'emersione del "lavoro nero", e assolutamente inefficace sul fronte della creazione di posti di lavoro; anche come conseguenza della politica economica del governo priva di iniziative adeguate a stimolare lo sviluppo e sostanzialmente recessiva. Tra le misure adottate, Sacconi non si vergogna di citare la reintroduzione di quelle forme di lavoro precario come il ripristino del lavoro intermittente e del lavoro a tempo parziale flessibile, dello Staff leasing e la semplificazione (per le aziende) della somministrazione di lavoro in affitto. Così come non si vergogna a vantarsi di aver cancellato quelle poche misure varate dal governo Prodi per il contrasto del "lavoro nero" e in materia di sicurezza sul lavoro. Cancellare il libro paga e il libro matricola: ecco un esempio della "semplificazione della gestione del rapporto del lavoro" di cui ciancia il ministro.
Sacconi ama parlare di confronto con le "parti sociali" (le associazioni padronali e i sindacati) per condividere con esse scelte e decisioni "per modernizzare legislazione del lavoro e relazioni industriali". Ma nasconde accuratamente di aver operato, in questi anni, sia con il precedente governo Berlusconi dove ricopriva la carica di vice-ministro del lavoro, sia con l'attuale esecutivo, era divenuto ministro del Welfare, in modo sistematico per dividere i sindacati e per isolare e marginalizzare la Cgil, in questo mettendo in pratica un punto non secondario del "piano di rinascita democratica" della loggia P2 di Gelli. Sono figli di questa strategia piduista i numerosi accordi separati siglati da quando Berlusconi è tornato a Palazzo Chigi, senza e contro la volontà della Cgil. Tra questi il più noto e più gravido di conseguenze negative per i lavoratori (citato con evidenza nel piano di Sacconi) è quello del 22 gennaio 2009 per la controriforma padronale e corporativa del modello contrattuale. Poi ratificato e rafforzato nell'accordo del 15 aprile dello stesso anno per definire più nel dettaglio le modalità di applicazione. Ambedue, senza essere stati sottoposti all'approvazione delle lavoratrici e dei lavoratori, hanno introdotto norme che riducono ruolo e importanza del contratto nazionale del lavoro, danno la possibilità alle imprese di derogare da esso in modo peggiorativo e predisposto anche la parziale defiscalizzazione del lavoro straordinario (tra l'altro in un momento di grave crisi produttiva e di cassa integrazione a valanga) e degli aumenti salariali aziendali legati alla produttività e agli utili. Una conseguenza di questi fu poi l'accordo separato per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici che recepiva i contenuti della controriforma contrattuale, siglato da Federmeccanica, Fim e Uilm, ma non dalla Fiom con una posizione di netto dissenso.

Relazioni industriali da terza repubblica
A cavallo delle cose fatte e da portare a termine il piano cita la legge sull'arbitrato che contiene una vera e propria controriforma del diritto del lavoro, assai criticata anche da costituzionalisti e giuslavoristi di orientamento democratico come un passo indietro di cent'anni, come un grimaldello per distruggere le basi su cui poggiano l'insieme dei diritti sul lavoro, a partire dall'aggiramento dell'art.18 dello "Statuto dei lavoratori" per facilitare i licenziamenti senza reintegro. Come è noto già nel marzo di quest'anno in parlamento la maggioranza berlusconiana aveva approvato il disegno di legge n. 1167-B che traduceva in legge il collegato della Finanziaria 2010. Ma il testo non fu firmato dal presidente della Repubblica e rinviato alle Camere perché manifestatamente anticostituzionale. Proprio in questi giorni il Senato sta discutendo il "nuovo" testo presentato dal ministro. Ce ne occuperemo in seguito.
Per Sacconi la "riforma" degli assetti contrattuali di tipo concertativo e neocorporativo, e con un ruolo centrale degli "enti bilaterali", unitamente all'estensione dell'istituto dell'arbitrato, è funzionale a "liberare il lavoro dal conflitto collettivo e individuale". A ciò si aggiunge il disegno di legge sulla regolamentazione del diritto di sciopero nei trasporti tramite cui si intende mettere paletti alti circa la titolarità per la dichiarazione degli scioperi e vincoli ancor più rigidi di quelli già in vigore per le modalità di indizione.
L'attacco più brutale contenuto nel piano, da sferrare nei prossimi mesi, è allo "Statuto dei lavoratori". Il ministro ha infatti intenzione di presentare, entro l'anno, un disegno di legge per sostituirlo di sana pianta con un fantomatico "Statuto dei lavori". Si tratta di superare una normativa vecchia che "riflette un'immagine del lavoro del 1970", si legge nel piano, "l'attuale centralismo regolatore riflette assetti di produzione propri della vecchia economia dominati dalla grande fabbrica industriale", aggiunge. Contiene tutele "rigide" e ingessanti" applicate "in modo indifferenziato a tutti i datori di lavoro di qualunque territorio o settore produttivo". E conclude strumentalmente, sostenendo che la legge 300 copre solo una parte dei lavoratori, quelli occupati nelle aziende sopra i 15 dipendenti.
Insomma, ciò che è un pregio dello "Statuto dei lavoratori", ossia un pacchetto essenziale di diritti nei luoghi di lavoro certi, esigibili per legge e di tipo universalistico, per Sacconi sono un difetto da eliminare con norme flessibili, differenziate e negoziabili ogni volta con sindacati accomodanti, attraverso gli "enti bilaterali" e "l'arbitrato". Il contratto individuale, di fatto, in luogo di quello collettivo, indipendente da "formalismi e qualificazioni giuridiche", la "sussidiarietà verticale" e la "flessibilità negoziata" sono le parole d'ordine liberiste e filopadronali del nuovo "Statuto dei lavori" in gestazione. Non occorre essere degli scienziati della materia per capire che l'indebolimento, quando non la demolizione, di tutele di legge delle condizioni di lavoro dei lavoratori, frutto di lotte di generazioni di operai sfruttati e oppressi, non può non comportare dei peggioramenti disastrosi, come la pratica ha dimostrato, per esempio con la cancellazione della scala mobile, oppure la liberalizzazione del "mercato del lavoro". Anche perché i rapporti di forza tra il singolo lavoratore e il suo datore di lavoro sono impari a favore del secondo. Altro che modernizzazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali, questo è solo imbarbarimento da capitalismo selvaggio!

Consensi e dissenso
Non meraviglia quindi che la Confindustria abbia accolto con favore i contenuti del "piano per il lavoro" presentato da Sacconi. Meraviglia poco, ormai, che i sindacati complici, la Cisl e la Uil di Bonanni e Angeletti, abbiano salutato come un'occasione per il futuro la proposta del ministro. Diversa la posizione della Cgil, ma non si sa per quanto ancora visti i nuovi approcci tra il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani.
In una nota di fine di luglio i segretari confederali, Danilo Barbi e Fulvio Fiammoni, hanno giudicato il piano "un documento che non contiene nessuna proposta di creazione di nuova occupazione" e che determina una impresa "svincolata da obblighi sociali, il lavoro sempre meno considerato come valore sociale, un ruolo del sindacato relegato ad una concezione di bilateralità che deve gestire il ritirarsi dello Stato, fino a gestire il collocamento... Il tutto nell'ottica di una continua derogabilità di diritti che vengono ormai definiti post-moderni". "Non ci siamo, è la conferma di un impianto controriformatore - si legge nel testo - dello statuto dei diritti dei lavoratori che non condividiamo".

6 ottobre 2010