Da oltre un anno 3 milioni di lavoratori pubblici non possono rinnovare le RSU nei luoghi di lavoro
Il governo Berlusconi nega democrazia e contrattazione collettiva nel pubblico impiego
CISL e UIL silenti. CGIL: "Vogliamo votare". USB: "Voto subito ma con regole democratiche"

Nel suo disegno infame iperliberista e neocorporativo di distruzione dei diritti fondamentali sindacali, contrattuali e del lavoro nel nostro Paese, il governo del neoduce Berlusconi procede di pari passo sia nei settori privati, sia in quelli pubblici. Nei primi attraverso la forsennata azione del ministro del welfare, Maurizio Sacconi, nei secondi per mano del tronfio, arruffone e arrogante, Renato Brunetta, ambedue ex craxiani passati al servizio della "casa del fascio". A loro va aggiunto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che con le sue leggi finanziarie mena fendenti in ogni direzione.
In questo contesto, particolarmente devastante è stata la controriforma del pubblico impiego attuata d'imperio dal ministro Brunetta. Nell'ottobre del 2009 il Consiglio dei ministri approvò infatti un Decreto legislativo che con un colpo solo demoliva il contratto nazionale di lavoro, cancellava di fatto la contrattazione collettiva e di conseguenza assestava un colpo mortale al ruolo e alla funzione dei sindacati, introduceva meccanismi salariali cosiddetti meritocratici tendenti a dividere i lavoratori "premiandone" solo una minima parte, trasformava i dirigenti in aguzzini, prevedeva norme poliziesche e sanzioni punitive davvero abnormi, che possono arrivare anche al licenziamento e perfino al carcere.
Misure drastiche, pesantissime per le condizioni di vita e di lavoro per 3 milioni di dipendenti della pubblica amministrazione e dei lavoratori di scuola e università. Ulteriormente aggravate dai provvedimenti assunti nella legge finanziaria 2010 con i tagli cosiddetti lineari del 10% alla spesa in tutti i ministeri, il blocco di tre anni delle retribuzioni, il che comporta in pratica il blocco della contrattazione fino al 2013, il blocco del turn-over e di conseguenza la riduzione del personale a tempo indeterminato, il licenziamento dei precari.

La promessa mancata
Non è tutto. I lavoratori pubblici, in tutti i comparti, da oltre un anno aspettano di poter rinnovare le Rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro (RSU). La "riforma" Brunetta fece slittare questa importante scadenza di 12 mesi, con la scusa della ristrutturazione dei comparti (dagli attuali 12 a 4) e con la promessa che le elezioni si sarebbero svolte entro e non oltre il 30 novembre 2010. I tempi sono scaduti e una nuova data non è stata ancora fissata, se mai lo sarà. Su questo campo si gioca una partita importantissima, densa di conseguenza per il presente e per il futuro sindacale e contrattuale per i lavoratori pubblici.
Ecco alcune cifre per capire di più: le elezioni delle RSU coinvolgono almeno 22.500 posti di lavoro tra Pubblica amministrazione (P.A.) e istituzioni scolastiche; interessano tre milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno diritto al voto; si svolgono in aziende e ospedali del Servizio sanitario nazionale (SSN), in tutti i comuni ed enti locali, in tutti i ministeri, agenzie, istituzioni scolastiche, università, enti di ricerca e istituti di alta formazione.
Ancora. Le tornate elettorali del 2006-2007 hanno visto la straordinaria partecipazione dell'80% degli aventi diritto (quasi 2 milioni di lavoratori) con punte del 90-100% in amministrazioni quali agenzie, scuole e sedi universitarie; un'affluenza questa pari al doppio degli iscritti al sindacato nei due comparti (pubblici e scuola). Sono stati eletti circa 90 mila rappresentanti sindacali unitari in tutta la pubblica amministrazione e nel comparto della conoscenza.

La riduzione dei comparti
Dopo aver traccheggiato colpevolmente per mesi e mesi, l'ARAN (l'agenzia governativa con delega alle trattative sindacali nel pubblico impiego) il 16 settembre 2010 ha presentato un sua proposta di riformulazione dei comparti così accorpati, così suddivisi. 1) Comparto del personale delle Agenzie Fiscali, dei Ministeri, degli Enti pubblici non economici, delle Istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione e delle università. 2) Comparto del personale delle Autonomie Locali. 3) Comparto del personale della Scuola e delle Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale. 4) Comparto del personale delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale.
Il metodo decisionista, antidemocratico e fascista in voga oggi è prendere o lasciare. Ma siccome i sindacati, soprattutto la Cgil e i non confederali, hanno avuto da ridire su tali accorpamenti, sulle conseguenze circa i diritti contrattuali acquisti, su come questi verranno spalmati nei nuovi comparti (ma il rischio è che vengano cancellati e basta) e poi c'è da capire se ciò comporterà un taglio consistente sul numero dei delegati da eleggere, tutto si è fermato e tutto è stato rimandato non si sa a quando.
Solo in autunno, va detto, la Cgil si è data una sveglia e ha messo in campo delle iniziative per rivendicare, entro i tempi stabiliti lo svolgimento delle elezioni delle RSU. In particolare ha lanciato una campagna di sensibilizzazione da parte della FP CGIL con la seguente parola d'ordine: "RSU 2010 Diritti al voto. Difendiamo il diritto di voto dei lavoratori pubblici. Difendiamo la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo votare".
Il 24 settembre scorso a Roma sul tema ha tenuto un'Assemblea nazionale dei delegati. I segretari generali della FP e della FLC, Rosanna Dettori, e Domenico Pantaleo, con la presenza del neosegretario generale della CGIL, Susanna Camusso, hanno tenuto l'8 novembre scorso una conferenza stampa dove in sintesi è stato detto che non può esserci alcuna giustificazione "tecnica" né tanto meno di "opportunità" che porti alla sospensione delle elezioni. Inoltre, la difesa del contratto e delle democrazia nei luoghi di lavoro dell'amministrazione pubblica e nelle istituzioni della conoscenza passa attraverso il rinnovo delle rappresentanze sindacali. Infine, eleggere le rappresentanze dei lavoratori significa: ribadire la centralità del contratto e della contrattazione e significa riaffermare con forza il valore dell'esercizio della democrazia nei luoghi di lavoro".

Votare ma con regole democratiche
Anche i sindacati non confederali chiedono che si vada al voto senza ulteriori rinvii. Su ciò si è espressa l'USB (Unione Sindacale di Base) che per le RSU rivendica "Un voto ma vero". In sostanza affermano, non a torto, che le regole per le elezioni della RSU ispirate all'accordo interconfederale del luglio del 1993 e tradotte in legge nel 1998 per il pubblico impiego sono antidemocratiche, modellate sugli interessi dei "sindacati maggiormente rappresentativi", CGIL, CISL e UIL e finalizzate a garantire loro il monopolio della rappresentanza e dell'agire sindacale nei luoghi di lavoro.
Il principio di "sindacato maggiormente rappresentativo" in base agli iscritti su base nazionale, insieme a quello di "sindacato firmatario del contratto nazionale di lavoro" determinano di fatto una condizione di monopolio per i sindacati confederali e mettono in una situazione assolutamente sfavorevole i sindacati considerati "non rappresentativi" ai quali viene impedito di usufruire dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro. Ed è per questo che rivendicano un regolamento per le elezioni che preveda: il diritto di assemblea, contrattazione, informazione e indizione di referendum per ciascun eletto; il diritto di voto e candidatura per tutti i lavoratori precari indipendentemente dalla tipologia contrattuale; l'elezione delle RSU per ogni livello di contrattazione, compreso quello regionale e nazionale; il diritto di assemblea e permessi durante la campagna elettorale per tutte le associazioni sindacali presentatrici di liste.
Strano, ma non più tanto, l'atteggiamento silente o quasi dei vertici di CISL e UIL. Questi sindacati storicamente hanno sempre sostenuto la concezione del sindacato degli iscritti e non di tutti i lavoratori, più ad uso alla cogestione che al conflitto contrattuale. E più che per convinzione, hanno subìto l'evoluzione della rappresentanza sindacale aziendale per elezione, dai Consigli di fabbrica alle odierne RSU. Il loro modello è più vicino ai rappresentanti sindacali aziendali (RSA) nominati dalla struttura, o alle Commissioni interne elette sulla base di soli candidati iscritti ai sindacati. Non è strano il loro comportamento opportunista se si tiene conto che questi, divenuti complici di governo e Confindustria, negli ultimi due anni hanno contribuito in modo determinante a controriformare in senso liberista e corporativo il diritto al lavoro, il modello contrattuale e le relazioni sindacali.

Il ritorno a una rappresentanza sindacale non elettiva
Un sindacato che fonda la sua azione sulla concertazione sistematica, sugli enti bilaterali (azienda e sindacati), sull'arbitrato per affrontare le controversie del lavoro. Un sindacato che riduce ai minimi termi il contratto nazionale e quindi l'unità salariale e normativa dei lavoratori, che punta a far divenire prevalente il salario variabile, da contrattare a livello aziendale in base a produttività e redditività non ha bisogno della partecipazione e meno che mai del controllo dei lavoratori "rappresentati". Tende di più, semmai, ad abbandonare progressivamente le RSU per tornare a una rappresentanza sindacale non più su base elettiva ma su nomina interna all'organizzazione.
Questa deriva rappresenterebbe un pauroso ritorno indietro da evitare, da impedire con forza. Le elezioni delle RSU nel pubblico impiego vanno fatte e subito. Anche se c'è un problema più generale sempre più urgente che riguarda la definizione di nuove regole di rappresentanza e democrazia sindacali che superino il vecchio concetto di "sindacato maggiormente rappresentativo" che evitino il monopolio dell'agire sindacale nelle mani delle burocrazie e che, viceversa, metta nelle mani dei lavoratori e dell'Assemblea generale il potere sindacale e contrattuale, dia loro il diritto di eleggere i loro rappresentanti senza vincoli e condizionamenti esterni.

9 dicembre 2010