Il parlamento approva la legge delega Tremonti sul fisco da capitalismo selvaggio
BERLUSCONI TAGLIA LE TASSE AI RICCHI, ALLE IMPRESE E ALLA RENDITA FINANZIARIA
Ridotte a due sole le aliquote Irpef. Cancellata la tassazione progressiva sui redditi. Cala l'Irpeg e via l'Irap. Favorite le rendite da capitale e gli evasori fiscali. Per i lavoratori poco o niente
REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO A FAVORE DEI CETI PIU' ABBIENTI. MINORI ENTRATE PER LO STATO. TAGLIO DELLA SPESA SOCIALE E ASSISTENZIALE. PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI

Dopo 15 mesi circa dalla sua presentazione, il 26 marzo 2003 il parlamento ha approvato definitivamente la legge delega del ministro per l'Economia, Giulio Tremonti per la "riforma" fiscale: 251 i voti a favore dati dai deputati della casa del fascio, 192 i voti contrari espressi dall'Ulivo e da Rifondazione.
Con questo ultimo passaggio il governo del neoduce Berlusconi realizza quella controriforma strutturale, di legislatura, su una materia così importante com'è quella fiscale, per i suoi risvolti economici e sociali e i suoi riflessi sui livelli di vita delle larghe masse popolari.
Una controriforma che poggia su una filosofia iperliberista da capitalismo selvaggio, vigente negli Usa dell'imperialista e guerrafondaio Bush; presenta connotati anticostituzionali in quanto viola l'art. 53 della Costituzione che stabilisce la progressività del sistema tributario e l'art. 81 che impone la copertura finanziaria delle leggi varate; riduce il parlamento a semplice organismo di ratifica delle decisione dell'esecutivo; favorisce in modo scandaloso una strettissima minoranza di super ricchi; incentiva gli evasori fiscali offrendo loro condoni a pioggia; offre l'impunità a chi falsifica i bilanci; costruisce un quadro organico e sistematico di norme da seconda repubblica in cui il privilegio, l'elusione e l'inadempimento fiscali diventano i principi dell'ordinamento tributario del nostro Paese. Insomma, un vero e proprio "paradiso" fiscale per la grande borghesia e per i delinquenti finanziari, mafiosi compresi.
Una controriforma che più concretamente riduce a due sole le aliquote Irpef (Imposta sulle persone fisiche) dove troviamo nella prima il 99,5% dei contribuenti, con redditi fino a 100 mila euro e un'imposta del 23%, e nella seconda l'altro 0,5% con redditi superiori a questo livello e un'imposta pari al 33% sull'eccedenza, ai quali va la stragrande parte degli alleggerimenti fiscali decisi da Berlusconi; riduce per le aziende l'Irpeg (imposta sulle persone giuridiche) al 33%; programma la cancellazione dell'Irap (Imposta regionale sulle attività produttive) a partire dal "costo del lavoro"; dimezza più della metà l'aliquota sulle rendite finanziarie, dal 27,5 al 12,5%, tra le più basse a livello europeo; aumentano le possibilità di effettuare maggiori detrazioni di Iva (Imposta sul valore aggiunto).
Una controriforma che a regime avrà costi altissimi per lo Stato: 20-23 miliardi di euro dagli sconti Irpef; 31 miliardi di euro di minor gettito dall'Irap; altrettanti miliardi di euro in meno entreranno nelle casse dello Stato dalle modifiche sull'Irpeg e sull'Iva e rendite finanziarie. Soldi che il governo dovrà trovare, non avendo a disposizione come si è detto, una sufficiente copertura finanziaria. Ciò in una situazione che vede già un calo delle entrate fiscali dal 2001 al 2002 di oltre 3 miliardi di euro come conseguenza delle misure assunte nelle leggi finanziarie di questi due anni, il peggioramento del bilancio statale sul pil (prodotto interno lordo) e l'avanzare di una recessione produttiva che è italiana e internazionale.

PARTE DELLA CONTRORIFORMA SOCIALE
E dove potrà trovare questi denari il governo se non tagliando drasticamente la spesa sociale, assistenziale e previdenziale? Se non riducendo pesantemente il personale del pubblico impiego? Basta pensare ai tagli previsti dalla Moratti nella scuola. Se non privatizzando i servizi pubblici e svendendo il patrimonio statale? Se non sforbiciando i finanziamenti per sostenere l'occupazione e il Mezzogiorno? Con buona pace dei vari Pezzotta e Angeletti che non avranno nemmeno le briciole promesse dal famigerato "patto per l'Italia".
La controriforma fiscale di Berlusconi-Tremonti non può non avere (e infatti ce l'ha) un collegamento di carattere finanziario e di politica economica e sociale con le leggi delega recentemente approvate sulla scuola e sul "mercato del lavoro", e con l'altra legge delega in via di approvazione in parlamento sulle pensioni: tutte facenti parte di un'unica controriforma sociale generale.
Le misure fiscali approvate alla fine di marzo sono tutt'uno con quelle varate da due anni a questa parte dal governo, in particolare nel "piano dei primi 100 giorni" e nelle Finanziarie del 2001 e 2002. Tra cui, l'abolizione dell'imposta di successione sui grandi patrimoni, la depenalizzazione del falso in bilancio, lo "scudo fiscale" per incentivare, con una penalizzazione irrisoria pari al 2,5%, il rientro in Italia di capitali illecitamente esportati all'estero, l'applicazione sistematica e continuativa di sanatorie e condoni (12 solo nella Finanziaria 2003), la prima modifica delle aliquote Irpef e del sistema delle detrazioni trasformate in deduzioni, la riduzione dell'Irpeg dal 36 al 34%.
C'è un Berlusconi generoso con le aziende private alle quali oltretutto intende ridurre anche le contribuzioni previdenziali di 5 punti sui nuovi assunti, e un Berlusconi vessatorio, per esempio con il sistema cooperativo al quale ha tolto ogni facilitazione e aggravato il carico fiscale.
Insomma si tratta di una controriforma da seconda repubblica, che cambia nella sostanza i principi della prima parte della Costituzione vigente (che Berlusconi di recente, davanti alla platea degli industriali, ha definito in modo falso e strumentale "sovietica") e azzera il precedente sistema fiscale venutosi a determinare negli anni che, almeno sul piano formale, era improntato a criteri di progressività secondo il dettato "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva". Anche se sia chiaro, in tutta l'era democristiana, nella pratica, le tasse le pagavano prevalentemente i lavoratori dipendenti, mentre i redditi da capitale, di impresa, fondiari, da lavoro autonomo hanno sempre potuto godere di un trattamento privilegiato e di un'impunità scandalosi, grazie a una vasta area di elusione ed evasione fiscali. Oggi più di ieri, però, il fisco è congegnato e gestito in maniera sfacciata, senza furbizie e ipocrisie per assecondare e servire gli interessi economici e sociali della classe dominante borghese.

L'IMPOSTA PERSONALE SUL REDDITO
Centrale in questa controriforma fiscale iperliberista, risulta la modifica strutturale e sostanziale dell'Irpef. Nell'ultima legge finanziaria, come si è detto, fu approvato un primo modulo di detta modifica. In quella occasione non è stato modificato il numero delle fasce di reddito e delle aliquote, cinque erano e cinque rimasero, ma solo le cifre e le percentuali come segue: fino a 15.000 euro si attua un'imposta del 23%; da 15.000 a 29.000 il 29%; da 29.000 a 32.600 il 31%; da 32.600 a 70.000 il 39%; oltre 70.000 euro il 45%. Da notare che nel vecchio sistema la tassazione della prima fascia di reddito (10.329 euro) era del 18% perciò 5 punti meno.
Inoltre è stata introdotta una esenzione chiamata "no-tax area" di 3.000 euro per tutti, e un'altra esenzione di 4.500 euro per i lavoratori dipendenti, di 4.000 euro per i pensionati e di 1.500 euro per i lavoratori autonomi. Nella precedente normativa l'esenzione operava attraverso le detrazioni sui redditi fino a 12 milioni di vecchie lire (6.197,4 euro).
Il terzo pilastro dell'Irpef berlusconiana è rappresentato dall'introduzione di un complicatissimo sistema di deduzioni in luogo di quello fondato sulle detrazioni che, a detta di Tremonti, dovrebbe garantire il mantenimento di una certa progressività impositiva. Nella ipotesi prospettata, le deduzioni complessive dovrebbero decrescere sui redditi a mano a mano che questi crescono, fino ad annullarsi per quelli sopra i 26.000 euro l'anno.
Saranno, come nel passato, i lavoratori dipendenti a pagare le tasse fino all'ultimo euro e a versare il grosso della imposta personale. Mentre per i lavoratori autonomi e i redditi d'impresa la "riforma" cancella il principio della capacità contributiva come base dell'imposizione fiscale. Con l'estensione del concordato preventivo triennale e degli studi di settore per determinare l'imposizione, l'importo della tassazione per questi soggetti non sarà basata perciò sull'accertamento dell'effettiva capacità contributiva, ma su un reddito normale presunto frutto della contrattazione.
Le famiglie mono-reddito risultano assai penalizzate, usufrendo di minori deduzioni rispetto alle altre.
L'affermazione demagogica e truffaldina del governo di avere, colla Finanziaria 2003, attuato "la più grande riduzione fiscale in Italia da decenni", privilegiando in particolare le categorie più povere, rappresenta una balla gigantesca; specie dopo l'approvazione della legge delega che tra le altre cose, porta a compimento la "riforma" delle aliquote Irpef riducendole da cinque a due, ma si potrebbe dire una sola perché in quella più alta troviamo solo un pugno di ricchissimi. I quali con un colpo si vedono tagliare le tasse di ben 12 punti percentuali (da 45% a 33% per i redditi oltre i 100.000 euro) che in termini monetari sono una barca di quattrini. In queste condizioni non c'è sistema di deduzioni e di detrazioni che possa salvaguardare un serio e coerente principio di tassazione progressiva.
Secondo uno studio di esperti in materia sulla delega, posto che complessivamente a regime gli sconti Irpef ammontino a 21,5 miliardi circa, due terzi di queste risorse (14.300 milioni di euro) andranno al 10% dei più abbienti che percepiscono un reddito superiore a 30 mila euro; mentre l'80% dei contribuenti si dovrà accontentare del 10% del complesso dei benefici (2.300 milioni di euro). Quel 10% di famiglie più ricche vedranno aumentare le proprie risorse da un minimo dell'8% ad un massimo del 16% per lo 0,5 di famiglie ricchissime.
Alle panzane di Berlusconi aveva già dato un colpo demolitore lo Spi-Cgil, attraverso uno studio del Cer (Centro europa ricerche) dal quale emergeva che dal complesso del taglio delle tasse varato nella Finanziaria, per un totale di 5, 8 miliardi di euro, andavano sottratti 2,7 miliardi provenienti da sgravi approvati dai precedenti governi e non attuati dall'attuale esecutivo, più 1,7 miliardi di euro di fiscal-drag prodotti dall'inflazione e dal rigonfiamento artificiale del prelievo fiscale, perciò da restituire ai contribuenti.
Il sindacato dei pensionati Cgil ha ben chiarito che per i redditi più bassi c'è poco o nulla; anche perché in Italia vi sono circa 4 milioni di persone considerate "non capienti", ovvero non in grado di pagare e che perciò materialmente non beneficeranno del sistema delle deduzioni.
Non solo. C'è anche il caso che qualcuno paghi persino di più di quello che versava con il vecchio sistema Irpef. Tanto è vero che nella "riforma" è prevista la clausola di salvaguardia "per evitare che un contribuente sia penalizzato dall'avvento delle nuove regole". Una restituzione che in ogni caso avverrà l'anno successivo al versamento delle tasse.
Il progetto fiscale approvato non prevede più la restituzione del fiscal-drag; il che incide ulteriormente sulla perdita del potere d'acquisto dei salari rimasti assai al di sotto, in questi ultimi anni, della crescita dell'inflazione reale.

AUMENTANO LE TASSE LOCALI
Vi sono almeno tre aspetti della delega fiscale e più in generale della politica finanziaria del governo Berlusconi che avranno effetti estremamente negativi e già si fanno sentire: il primo è l'abolizione dell'Irap che senza una tassa sostitutiva rischia di tagliare pesantemente le entrate per le regioni; il secondo è il drastico taglio dei trasferimenti finanziari statali a favore degli enti locali. Ambedue questi aspetti comportano una drastica riduzione delle entrate per regioni e comuni da dove passano, è importante sottolinearlo, il 70% delle spese dello "Stato sociale", sanità, assistenza, abitazione sociale, educazione, ecc.
Questa situazione inevitabilmente porta due conseguenze: la riduzione dei servizi sociali e pubblici (e la loro parziale o totale privatizzazione) e l'incremento della tasse e tariffe locali (es. Ici, tassa dei rifiuti, asilo nido, trasporti urbani, assistenza domiciliare, ecc.) e delle addizionali Irpef. Cosicché a conti fatti, per i ceti medio-bassi, gli sgravi della "riforma" Irpef sono vanificati in gran parte quando non vengono annullati del tutto.
A proposito delle addizionali Irpef regionali e comunali, e questo è il terzo aspetto, le misure fiscali berlusconiane hanno creato confusione e iniquità. Infatti, col nuovo calcolo Irpef diventa difficile stabilire chi deve pagare le addizionali e a quanto ammontano; se si tiene conto che in questo caso la "no-tax area" non agisce e che il reddito imponibile Irpef sul quale si calcola l'importo delle addizionali risulta adesso modificato.
Inoltre, se è vero che nella Finanziaria il governo aveva bloccato l'aumento delle addizionali Irpef è anche vero che alcune regioni, segnatamente il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, le Marche, l'Umbria e la Puglia che coprono il 41 per cento della popolazione italiana, avevano varato degli incrementi nel 2002 da riscuotere nel 2003 creando disparità di prelievo fiscale tra regione e regione e in gran parte annullando, per le sopracitate regioni, i vantaggi Irpef annunciati.

RENDITE FINANZIARIE
La delega conferma i forti sconti promessi da Berlusconi per le rendite finanziarie e i conti correnti bancari tassati con un unica aliquota del 12,5%, la stessa in vigore per i titoli di Stato, invece che del 27,5% pagato sinora. Un regalone ai possessori di capitali.
Altro che riduzione delle tasse per tutti, come la propaganda di regime presenta la "riforma" berlusconiana sul fisco! Cantano vittoria la Confindustria e le altre associazioni padronali, cantano vittoria i possessori di patrimoni e gli speculatori in borsa, cantano vittoria gli evasori fiscali. Ma la grande massa dei lavoratori dipendenti, dei pensionati dei disoccupati, dei ceti meno abbienti, ma anche una parte del "ceto medio" non ha niente di che rallegrarsi. Per loro c'è una prospettiva economica e sociale peggiore perché aumenta l'ingiustizia sociale, non si riduce sostanzialmente il carico fiscale, mentre le prestazioni sociali e previdenziali saranno elargite, attraverso assicurazioni private, a pagamento per chi se le può permettere. Tutti gli altri ne sono esclusi.
Ecco un'altra validissima ragione per buttare giù il governo del neoduce Berlusconi!