Come San Paolo sulla via di Damasco
BERTINOTTI SI CONVERTE SULLA VIA DEL GOVERNO
Oltre che un trotzkista e un imbroglione politico, Bertinotti è anche un prete mancato. Da tempo lo denunciamo da queste colonne, fin da quando cominciò a confessare ai media la sua simpatia a questo papa nero e la sua attrazione verso il cristianesimo e il soprannaturale.
Una volta spinta Rifondazione nell'Unione di monsignor Prodi e sulla via del governo sembra ormai essersi convertito, come San Paolo, già persecutore del cristianesimo, si convertì in seguito a una folgorazione sulla via di Damasco.
Ciò appare evidente leggendo l'intervista che costui ha concesso a "Panorama" in edicola dal 25 febbraio, che riportiamo integralmente qui di seguito.
L'intervista al settimanale di Berlusconi, tra l'altro, è stata esaltata dal coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi dalle colonne de "Il Giornale" della famiglia di Berlusconi del 28 febbraio con queste parole: "Con Bertinotti mi sono sentito fratello leggendo la sua intervista e trovandomi seduto vicino a lui nella Basilica d'Assisi e scambiandoci alcune parole sul significato dell'esistenza e sulla fede". Ed ha aggiunto.
"A questo livello, non contano più gli steccati politici e ideologici, conta solo la persona, la sua libertà che si mette drammaticamente in gioco di fronte al Mistero".
Destra e "sinistra" uniti nel "Mistero". Chissà che esultanza in cielo e più concretamente in Vaticano!
Ma deliziamoci con le parole ispirate di Fausto Bertinotti raccolte dal giornalista Stefano Brusadelli sotto il titolo "Il rosso e la fede"
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Segretario, è vero che è sempre più attratto dal problema della fede?
Questo interesse per me c'è sempre stato. Da 30 anni, nella mia mazzetta, c'è l'Osservatore romano. Ricordo che una volta, alla fine degli anni Settanta, fui invitato in un paesino dell'Appennino all'assemblea nazionale dei preti operai. Io dovevo tenere la relazione sulla militanza politica mentre Bruno Manghi, un sindacalista cattolico della Cisl, doveva farla sulla militanza religiosa. Andando su in macchina insieme ne parlammo, e alla fine, scherzando ma non troppo, Manghi mi disse che forse avremmo fatto bene a scambiarci le relazioni.

Suo padre era cattolico?
Mio padre era un socialista d'antan, ateo e anticlericale. Come molti della sua generazione, in trincea aveva visto i preti benedire la guerra. Ma rispettava chi credeva, e mi trasmise questo rispetto.

Ma in lei c'è più che un rispetto...
Per la mia formazione due letture sono state fondamentali: la Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani e le Lettere di Paolo di Tarso.

Perché San Paolo?
Lui ci insegna la critica all'ordine vigente, la necessità di trascendere l'esistente: "Siamo uomini in questo mondo, non di questo mondo".

Dove ha cominciato ad apprezzare i cattolici in carne e ossa?
Nel sindacato, e nelle Acli, che quando ero in Cgil avevano un rapporto intenso con noi. Ricordo con emozione alcuni momenti di dialogo. Per esempio, una piccola organizzazione che riuniva i giovani operai cattolici, si chiamava Gioc; e, soprattutto, il confronto che nell'atmosfera conciliare ci fu a metà degli anni Sessanta tra marxisti e cattolici, entrambi eterodossi nei loro schieramenti. Personaggi come Pietro Ingrao e Lucio Lombardo Radice da una parte, padre Ernesto Balducci e Raniero La Valle dall'altra. Poi fui affascinato anch'io da dom Franzoni, e dall'esperienza della sua Comunità di San Paolo negli anni Settanta.

Con le gerarchie, invece, c'era minore simpatia?
Non dimenticherò mai un episodio accaduto a Torino nel Natale del 1969. I metalmeccanici in lotta avevano messo su una tenda davanti alla stazione di Porta Nuova. Faceva un freddo polare. A sorpresa, arrivò ed entrò nella tenda a portare la sua solidarietà l'arcivescovo, Michele Pellegrino.

Lei si è sposato in chiesa?
Mi sono sposato in chiesa per omaggio alla famiglia di mia moglie. Ma nostro figlio non è battezzato.

E lei, è battezzato?
Sì, sono battezzato.

A chi dà l'8 per mille?
Allo Stato.

Frequenta le chiese?
La logica di quel rispetto reciproco che mi ha insegnato mio padre ha avuto uno sviluppo: frequento le cerimonie religiose. E non senza un coinvolgimento emotivo.

Lei si definisce ateo?
Sarei così prudente da evitare una risposta conchiusa. Se me lo avesse chiesto a venti oppure a trent'anni, avrei risposto senza esitazioni: sì.

E oggi?
Oggi, pur non essendo credente, eviterei risposte così definitive.

E' il segno di un'incertezza?
Non è il segno di chi ha oggi un'incertezza, ma di chi non vuole negarsi la ricerca.

Le è capitato, come a Ingrao, di sentire il fascino della scelta monastica?
Sì. Per citare ancora Ingrao, poiché ho un atteggiamento di ricerca molto simile al suo, bisogna saper stare nel gorgo, cioè fare, e lottare; e nello stesso tempo saper prendere le distanze da quel che si fa. Per vedere con distacco, dubitare, riflettere sui destini ultimi. Questa è la tentazione monastica rispetto alla militanza, in questo senso anche io ne avverto il fascino.

Quanto pesano, nel suo fare politica, i valori religiosi?
Premetto che per me la politica deve avere una fondazione laica, mondana. E deve essere aconfessionale, legittimata solo dal popolo. Ma questo non vuol dire che non debba interrogare altre dimensioni. Come, appunto, quella religiosa.

Il mondo cattolico le appare oggi come un interlocutore chiuso o aperto?
La fine del '900, con il crollo dei regimi comunisti e la restaurazione capitalista, ha avuto l'effetto di riaprire una grande questione che sembrava chiusa, cioè la possibilità di cambiare il mondo. Oggi, anche per i cattolici, costruire un altro mondo è possibile. Basta ascoltare le parole di Giovanni Paolo II.

Ama questo Papa?
Dalla voce di questo Papa, che è passato per fasi diverse a testimonianza del fatto che tutte le forze vive subiscono cambiamenti, arriva oggi una parola di pace. In questo senso il ruolo di Giovanni Paolo II è enorme, la sua parola contro la guerra è stata un passaggio fondamentale per evitare che il conflitto iracheno divenisse scontro di civiltà.

Solo luci in Giovanni Paolo II?
No, perché questo straordinario Pontefice è anche di un'intransigenza dottrinaria che a me pare talvolta escludere dalle sue parole e dalle sue riflessioni tanti problemi e drammi del nostro tempo. Penso all'aborto, alla fecondazione, più in generale a tutta la condizione femminile.

Ha mai incontrato il Papa?
Una sola volta, per i saluti formali in occasione della sua visita alla Camera dei deputati, nel 2002. Altre volte mi sono trovato nella stessa sala con lui. Ma non c'è mai stata un'occasione di confronto, di conversazione.

Le piacerebbe avere l'occasione?
Sono un dirigente di un partito comunista. E so che un tale incontro porrebbe un problema al Pontefice nel sistema delle relazioni politiche.

Insisto: le piacerebbe?
Penso che una conversazione con il Pontefice, con il capo di quella Chiesa che ha voluto interpretare la sua parola contro la guerra, sarebbe umanamente una grande opportunità. Sorvegliata, naturalmente, dalla consapevolezza del ruolo che si riveste, e che, lo ripeto, a me sembra poter essere ancora una ragione d'impedimento.
E' vero che lei frequenta anche alti ecclesiastici?
Sì, ma è bene non nominarli. La discrezione è d'obbligo, quando si coinvolgono persone che hanno responsabilità nella Chiesa, o negli ordini.

Potrà però fare nomi di religiosi che non facciano parte delle alte gerarchie, e con i quali intrattiene rapporti...
Luigi Ciotti, anzitutto. Nei suoi confronti nutro molta ammirazione. Poi Alex Zanotelli, un grande missionario. Giulio Girardi, un salesiano, con cui collaborammo quando scrisse Lotta operaia e coscienza di classe. E, naturalmente, Franzoni, con cui non ho perso i contatti. Ma l'elenco sarebbe lungo. Dovrebbe comprendere tanti personaggi del mondo del volontariato, dell'associazionismo. E non vorrei dimenticare i francescani di Assisi: per me la marcia pacifista Perugia-Assisi è ogni anno un appuntamento fisso, un po' come il 1° maggio a Torino.
Ha parlato di una sfera della politica che deve interrogare anche quella religiosa. Per lei qual è la risposta a questo interrogare?
Il senso di un forte contatto. Religione e politica, almeno per come le intendo io, sono entrambe ricerca di liberazione. Liberazione ultraterrena per la religione, e terrena per la politica; ma si tratta sempre dell'idea di liberazione. Oggi poi, come dicevo, si è aggiunto a legarci il grande tema della pace.

Perché un cattolico dovrebbe scegliere di iscriversi a Rifondazione?
Perché è la forza che attraverso la pratica della non violenza sa parlare meglio degli altri la lingua degli ultimi, i quali solo attraverso questa pratica possono esprimersi compiutamente.

Il nuovo corso di Rifondazione è segnato dalla scelta non violenta. Anche questo viene dalla sfera religiosa?
Qui vorrei chiarire che la scelta della non violenza è per Rifondazione una scelta non di natura morale, ma politica. Che nasce, per la precisione, dai tragici fatti del G8 di Genova. Lì si capì che solo scegliendo di non rispondere con la violenza alla violenza repressiva il movimento sopravvisse, e vinse.

Rifondazione potrebbe diventare una forza di governo. E i paesi occidentali potrebbero essere nuovamente chiamati a inviare missioni armate nelle zone di crisi. Esiste una condizione nella quale potrebbe dare il suo assenso?
No. Almeno in Europa bisogna trasformare la guerra in tabù. Come l'incesto, o lo stupro. Tutt'al più, se si tratta di fare vere azioni di interposizione, mandiamo la polizia, non più l'esercito.

Ci sarà, nella sua relazione al congresso di Venezia, un capitolo dedicato alla ricerca religiosa?
Di più: spero che questa ricerca attraversi tutta la relazione, senza ridursi a esserne solo un capitolo.

2 marzo 2005