Sulle pagine compiacenti del quotidiano governativo "la Repubblica"

TONY BLAIR TEORIZZA IL NUOVO ORDINE IMPERIALISTA MONDIALE

Dopo aver varato a Washington il "nuovo concetto strategico", sulla cui base la Nato aggressiva e interventista si è arrogata il diritto di ingerirsi con la forza negli affari interni di ogni paese e in ogni conflitto locale, stracciando tutte le regole del diritto internazionale, l'imperialismo occidentale cerca di far accettare questo diktat banditesco ai popoli rivestendolo di opportune giustificazioni etiche, morali e politiche, per coprirsi il più possibile il fianco dalle critiche e dalle denunce interne ed esterne al proprio campo. E chi può svolgere questo infame lavoro meglio dei socialdemocratici e dei rinnegati, che alla stessa stregua dei socialsciovinisti alla vigilia della 1° guerra mondiale, smascherati a suo tempo da Lenin, si mostrano tra i più zelanti nell'invocare il sostegno del proletariato e delle masse popolari alla guerra imperialista e alla politica aggressiva ed espansionista delle proprie borghesie nazionali?
Il capofila dei moderni socialsciovinisti, che guidano quasi tutti i governi europei della Nato che partecipano all'aggressione imperialista nei Balcani, da D'Alema, a Jospin, a Schroeder, è senza dubbio il premier laburista britannico Tony Blair, il più deciso e il più inflessibile nel portare avanti la teoria reazionaria e imperialista del ricorso alla "guerra umanitaria" da parte delle grandi potenze occidentali per imporre l'"ordine" e la "pace" in Europa e nel mondo. Una teoria che il superfalco britannico pretende di spacciare come un principio democratico, progressista e di "sinistra", addirittura come un "nuovo internazionalismo" che dovrebbe sostituire lo storico principio marxista ormai rinnegato da tutti i partiti pseudo operai d'Europa.

"Nuove regole" internazionali

Una enunciazione tra le più esplicite ed organiche di queste sue sporche tesi è quella pubblicata da "la Repubblica" del 4 maggio, dal titolo "Le nuove regole del mondo globale". Sul giornale governativo di Mauro e Scalfari, che spesso e volentieri ha fatto da megafono agli interventi guerrafondai del premier britannico, per esempio in occasione dei bombardamenti dello scorso Ramadan sull'Irak, dopo aver ribadito la sua posizione intransigente sulla prosecuzione dei bombardamenti alla Serbia fino alla sua capitolazione alla Nato ("quella del successo è l'unica strategia d'uscita che sono disposto a prendere in considerazione", ha ribadito con arroganza), Blair tira in ballo la "globalizzazione", sostenendo che non è soltanto economica, ma "investe anche la politica e i problemi della sicurezza", per dimostrare l'inevitabilità e la giustezza dell'interventismo delle grandi potenze occidentali.
"Oggi siamo tutti internazionalisti, che ci piaccia o meno", proclama il leader laburista. "Non possiamo - aggiunge - rifiutare di partecipare al mercato internazionale se vogliamo la prosperità. Non possiamo ignorare le nuove idee politiche di altri paesi, se vogliamo innovare. Non possiamo voltare le spalle ai conflitti e alle violazioni dei diritti umani in altri paesi, se vogliamo rimanere al sicuro". Dalla "globalizzazione" Blair ricava come conseguenza che "alla vigilia del nuovo millennio viviamo ormai in un nuovo mondo. Abbiamo bisogno di nuove regole per la cooperazione internazionale, di nuove forme di organizzazione delle nostre istituzioni internazionali".
Per il superfalco britannico, quindi, dopo ormai "dieci anni di esperienza dalla fine della guerra fredda", i tempi sono maturi per cambiare radicalmente quelle regole e quelle istituzioni, sulla base del nuovo scenario mondiale affermatosi: l'"emergere degli Usa come lo Stato di gran lunga più potente", ma che a suo dire "non sogna conquiste mondiali, né sta cercando di colonizzare terre", e l'ascesa della superpotenza europea, alla quale Blair rivendica di aver dato un contributo decisivo con l'accordo di St. Malo con Chirac "per migliorare l'assetto difensivo dell'Europa".
Per applicare le nuove regole che autorizzano l'uso della forza da parte degli Stati Uniti e dell'Europa è sufficiente secondo Blair che si realizzino cinque condizioni: che la guerra rimanga "il solo mezzo per affrontare un dittatore"; che siano state "esaurite" tutte le possibilità diplomatiche; che le operazioni militari si possano "intraprendere su basi di ragionevolezza e di prudenza"; che le nazioni intervenute siano pronte ad un impegno "a lungo termine", cioè ad un'occupazione militare anche permanente del territorio conquistato; che siano "coinvolti" gli interessi nazionali degli intervenenti. è sorprendente la convergenza di questi punti con quelli espressi qualche tempo prima da Antonio Cassese, giudice del Tribunale dell'Aja per i crimini di guerra, per giustificare l'aggressione alla Serbia e teorizzare l'opportunità di cambiare le regole internazionali. Segno evidente che le teorie di Blair fanno scuola anche tra i rinnegati nostrani, e che c'è tutta una corrente internazionale che lavora per riscrivere il diritto internazionale ad uso e consumo delle grandi potenze imperialiste, corrente alla quale fanno capo schiere di intellettuali borghesi prezzolati e con l'elmetto da marines, come per esempio in casa nostra i vari Cassese, Bobbio, Scalfari, Sofri ecc.

Le leggi dell'imperialismo

Altro che "nuovo internazionalismo"! Le "nuove regole del mondo globale" teorizzate dal bombardiere socialsciovinista Blair non sono altro che un camuffamento del nuovo ordine imperialista mondiale, che le potenze capitaliste uscite vincenti dalla guerra fredda vogliono imporre ai paesi e ai popoli dell'Europa e del mondo, ora che il crollo dei regimi revisionisti dell'Est e il rinnegamento del comunismo in Cina in favore della via capitalista aprono nuovi mercati e nuove vie di penetrazione alle bramosie delle potenze imperialiste occidentali. Non c'é nessuna "novità" rispetto alle leggi fondamentali dell'imperialismo già svelate da Lenin. La "globalizzazione" non contraddice, anzi conferma la tendenza del capitalismo ad espandersi come sistema mondiale sempre più interdipendente e concorrenziale, e quindi soggetto a crisi di proporzioni planetarie.
Le guerre non solo non sono scomparse, ma sono aumentate e tendono a diventare ancor più mostruose, barbare e di sterminio, come dimostrano la guerra del Golfo e l'attuale guerra nei Balcani. Le contraddizioni tra paesi imperialisti non sono finite, ma sono destinate ad approfondirsi e a sfociare in una nuova spartizione del mondo attraverso guerre commerciali e militari. Anche se al momento gli Usa e la nascente superpotenza europea vanno a braccetto nell'imporre con la forza il loro diktat ai popoli, questo non significa che prima o poi, quando il mondo sarà diventato troppo stretto per tutti e due (senza contare il Giappone, la Cina, e la stessa Russia, che hanno le loro proprie ambizioni imperialiste), non vengano alle mani per stabilire con la forza chi comanda sulla Terra.