Le navi della pace erano dirette a Gaza con aiuti umanitari
Blitz dei sionisti imperialisti alla flottiglia internazionale dei pacifisti
19 civili morti, decine di feriti. Il popolo palestinese protesta unito in piazza. Dure reazioni della Turchia e dei Paesi arabi
L'Italia rompa le relazioni diplomatiche con Israele

Alle prime ore del 31 maggio i soldati sionisti hanno lanciato un blitz contro le sei navi della Freedom Flotilla, il convoglio organizzato da diverse organizzazioni pacifiste per trasportare tonnellate di aiuti umanitari alla popolazione della striscia di Gaza, costretta a vivere da quattro anni circa sotto un criminale assedio, e rompere l'illegale embargo imposto dal regime di Tel Aviv.
Nel corso dell'aggressione al convoglio pacifista, sul quale erano imbarcati circa 600 passeggeri di oltre 40 nazionalità, i soldati sionisti hanno ucciso 19 persone, almeno 26 i feriti. È questo il grave, seppur ancora provvisorio, bilancio di un attacco lanciato mentre le navi si trovavano a 75 miglia al largo della costa di Gaza, in acque internazionali. Si è trattato di atto di pirateria compiuto in violazione del diritto internazionale, un atto di terrorismo di Stato del quale il regime sionista imperialista di Tel Aviv deve essere chiamato a rispondere.
La spedizione era stata preparata da una serie di organizzazioni pacifiste, dall'associazione turca IHH (Insani Yardim Vakfi) all'European Campaign to End the Siege on Gaza (ECESG), dalla Greek Ship to Gaza Campaign alla Swedish Ship to Gaza Campaign e al Free Gaza Movement, con l'appoggio di un coordinamento di organizzazioni non governative (Ong) di 42 paesi, fra i quali Stati Uniti, Turchia, Grecia, Malesia, Belgio, Svezia, Indonesia e Irlanda.
Il convoglio era composto da varie imbarcazioni partite a metà maggio dai porti di Irlanda, Turchia e Grecia cariche di materiali da costruzione, impianti di desalinizzazione dell'acqua, impianti fotovoltaici, generatori, materiale per la scuola e farmaci; un carico di 10 mila tonnellate di aiuti per la popolazione di Gaza, tutto materiale che per il governo sionista non dovrebbe entrare nella striscia di Gaza. E infatti da Tel Aviv avevano minacciato di bloccare il convoglio, anche con la forza come già avvenuto in passato. Il piano sionista prevedeva di dirottare le navi verso il porto di Ashdod, a sud di Tel Aviv, e il controllo del carico.
Le navi cariche di aiuti si erano trovate nei porti di Cipro da dove il 30 maggio il convoglio composto da 6 unità, dopo "ispezioni rigorosissime, sia sulla merce che veniva trasportata che sulla lista dei passeggeri" sostenevano gli organizzatori, partiva alla volta di Gaza. Il piano di viaggio prevedeva una sosta a circa 20 miglia dalla costa, al limite delle acque territoriali palestinesi, dove era schierata la marina sionista. Che non ha atteso l'arrivo delle navi e lanciato il blitz in acque internazionali. Sulla nave più grande, la turca "MaviMarmara", i pacifisti si sono difesi dall'attacco dei soldati sionisti che hanno sparato e ucciso.
Al termine dell'aggressione il convoglio è stato dirottato verso i porti israeliani di Haifa e Ashdod.
Dura le reazione della Turchia e dei paesi arabi. Una nota diffusa dal ministero degli Esteri turco afferma che "questa azione deprecabile, condotta in acque internazionali in grave violazione del diritto internazionale, può causare danni alle nostre relazioni a cui sarà impossibile rimediare". Il governo di Ankara rompeva le relazioni con Tel Aviv, richiamava in patria il suo ambasciatore e chiedeva l'immediata consegna dei cittadini turchi rimasti feriti mentre migliaia di manifestanti protestavano davanti il consolato di Israele a Istanbul.
La protesta esplodeva nelle piazze palestinesi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. "Questi atti criminali ribadiscono la necessità di rompere definitivamente l'assedio contro la Striscia di Gaza" sosteneva il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal. Nella città di Gaza il primo ministro palestinese Ismail Hanyeh invitava la popolazione a dar vita a una "giornata della collera" contro "i crimini sionisti". Proteste degli studenti palestinesi si svolgevano anche nella città di Haifa mentre gli arabi israeliani lanciavano un appello allo sciopero generale di protesta contro il raid sionista.
"L'atto inumano del regime sionista contro il popolo palestinese e il fatto di impedire aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza non è un segnale di forza ma di debolezza di questo regime", sosteneva il presidente iraniano Ahmadinejad, che aggiungeva: "tutto ciò mostra che la fine del regime sionista e fantoccio è più vicina che mai". E sollecitava gli sforzi internazionali per salvare la nazione palestinese affermando che "il sostegno al popolo palestinese è come sostenere la pace e la libertà di tutte le nazioni".
Anche Siria e Libano invitavano "la comunità internazionale a prendere quanto prima misure pratiche per metter fine ai crimini israeliani, che potrebbero portare il Medio Oriente in guerra con ripercussioni che andranno ben oltre i confini regionali" mentre Hezbollah definiva l'attacco israeliano contro la flottiglia di aiuti umanitari "un premeditato crimine contro l'umanità. Questo crimine mostra al mondo la brutalità di Israele".
La Lega araba convocava una riunione straordinaria registrando tra le altre la condanna dell'Egitto e della Giordania. A Amman si svolgeva anche una manifestazione di protesta.
Manifestazioni che si registrano nel pomeriggio stesso del 31 maggio in molte parti del mondo dal Pakistan alla Bosnia, in Europa, tra le quali oltre una ventina in diverse città italiane.
E mentre dalla Casa Bianca spiccava il silenzio di Obama, a Roma il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, definiva "grave e inaccettabile" il raid israeliano e chiedeva un'inchiesta "che accerti la verità". Vigilando, sottolineava il ministro per le politiche Europee, Andrea Ronchi, "affinché non si verifichino strumentalizzazioni anti-israeliane". Non correva questo pericolo il ministro Frattini cui non passava nemmeno per la testa di muovere passi ufficiali e convocare l'ambasciatore sionista per chiedere spiegazioni, al contrario di altri paesi europei. E lasciava al sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, definire la spedizione della flotta pacifista "una voluta provocazione" che aveva provocato "la reazione inevitabile israeliana". Parole infamanti che tentavano di giustificare il massacro compiuto dai soldati sionisti. Mentre l'ennesimo crimine sionista richiede che l'Italia rompa le relazioni diplomatiche con Israele per isolare il regime di Tel Aviv.

1 giugno 2010