BOBBIO, DA FASCISTA A MARINE

Tra i tanti interventi degli intellettuali borghesi guerrafondai in appoggio alla criminale aggressione imperialista nei Balcani quello del filosofo "liberale" Norberto Bobbio è senz'altro da annoverare tra i più perfidi in assoluto. Soprattutto perché, a differenza di tanti suoi più stupidi colleghi pennivendoli con l'elemetto, apologeti delle bombe intelligenti e della "guerra umanitaria", egli non si limita a fabbricare cavillose quanto inconsistenti giustificazioni "morali" alle barbare devastazioni e ai massacri dei bombardieri della Nato. Troppo navigato per non rendersi conto della debolezza intrinseca delle tesi di chi pretende di santificare la spaventosa pioggia di missili e bombe sulla Serbia in nome di un principio "umanitario", Bobbio cerca di superare questa contraddizione trovando una giustificazione a questa guerra a prescindere da ogni considerazione morale, una giustificazione in sé, oggettiva, inoppugnabile, che derivi la sua legittimazione direttamente dalla forza dei fatti e dalle leggi della storia.
Il suo intervento - una lunga intervista al quotidiano diessino l'Unità del 25 aprile - prende lo spunto dalla polemica tra il giudice del Tribunale dell'Aja, Antonio Cassese, e il filosofo del diritto Danilo Zolo, suo ex allievo, di cui abbiamo parlato su Il Bolscevico n. 17. Bobbio sembra inizialmente prendere le distanze dalla tesi di Cassese, secondo cui la contraddizione tra la "guerra umanitaria" e le regole del diritto internazionale da essa violate andrebbe risolta... cambiando il diritto internazionale: "A rigore la valutazione sulla legalità di un atto si dovrebbe fondare sulla legge che c'é e non in base a una legge che non c'è ancora", dice il filosofo torinese. Anche perché, argomenta ineccepibilmente Bobbio, "ogni Stato, compreso quello nazista, definito addirittura `Stato criminale', ha sempre giustificato le proprie guerre"; e quindi "la ragione o il torto non dipendono da ciò che è giusto o ingiusto in astratto, ma dalla conformità al diritto stabilito".
Ma poi il suo ragionamento prende tutta un'altra strada. La teoria della "guerra umanitaria", continua Bobbio, ricorda la vecchia dottrina della guerra come crociata, della "guerra santa", dottrina superata e abbandonata da tempo. E d'altra parte - si chiede - "l'unico modo di difendere i diritti umani è, da parte di uno Stato, la guerra?" E allora, come se ne esce? E allora, conclude con una stupefacente capriola logica Bobbio, "la verità è che la guerra per una superpotenza come gli Stati Uniti, che rappresentano ormai un potere senza rivali, non ha bisogno di essere legalmente giustificata. Potremmo dire, con Zolo, che il principio di legalità vale per tutti gli Stati tranne gli Stati Uniti (Zolo lo diceva in senso accusatorio, Bobbio invece lo riconosce come dato di fatto insindacabile, ndr). Vale per tutti gli Stati che riconoscono di essere uguali agli altri di fronte al sistema internazionale, ma non vale per gli Stati Uniti che sono, orwellianamente, `più uguali degli altri', e che hanno acquisito una specie di diritto assoluto che li pone totalmente al di fuori dell'ordine internazionale costituito".
Ecco dove va a parare il filosofo "liberale": non c'é bisogno di trovare nessun aggettivo che giustifichi moralmente questa guerra, perché gli Usa sono al di sopra di ogni giudizio morale e dell'ordine internazionale. Ecco tagliato il nodo gordiano e superata "brillantemente" la contraddizione in cui si impantanano i vari Cassese e tutti gli apologeti delle "guerre sante", o "umanitarie" che siano: la legge del più forte è sufficiente in sé a legalizzare tutte le sue espressioni, compresa la guerra! Peccato per lui che questa tesi di stampo nietschiano sia già stata usata a suo tempo dai nazisti!
Naturalmente Bobbio si rende conto di prestare il fianco a facili critiche, e allora cerca di puntellare la sua tesi con altri argomenti che non siano la pura e semplice enunciazione della legge della Jungla. E così si inventa, hegelianamente, una sorta di "necessità storica" di questa presunta superiorità a-morale dell'imperialismo Usa, così come il filosofo tedesco la vedeva per la Germania della metà dell'Ottocento: "Non possiamo non dirci, e non essere, filoamericani. Assolutamente non lo possiamo - proclama infatti Bobbio - perché gli Stati Uniti hanno guidato e dominato la storia del ventesimo secolo. Fortunatamente per l'Europa, dobbiamo aggiungere. L'hanno guidata e dominata, e ancora la tengono in pugno". Gli Stati Uniti, aggiunge, "non solo hanno vinto, ma hanno vinto dalla parte giusta (la prima guerra contro gli imperi centrali, la seconda contro Hitler e Mussolini, la terza contro Stalin e i suoi eredi). Per quanto mi riesca difficile condividere il principio hegeliano secondo il quale `ciò che è reale è razionale', non si può negare che qualche volta la storia abbia dato ragione a Hegel".
Dunque anche il "grande vecchio" della "sinistra" del regime neofascista indossa l'elmetto, e segnatamente quello a stelle e strisce dei marines. E lo fa in modo tanto più disgustoso quanto più cerca di "nobilitare" filosoficamente la sua scelta di marciare al passo dell'oca con i guerrafondai. Non ce ne meravigliamo affatto, visto che per tutta la sua vita ha sempre messo la sua cultura e il suo intelletto al servizio dell'anticomunismo e del potere borghese, per giustificarlo moralmente e renderlo più accettabile alle masse: che fosse il regime fascista di Mussolini, davanti al quale si prosternò per mendicare carriera e stipendio, il regime neofascista oggi dominante, a cui ha reso lo sporco servigio dell'equiparazione del comunismo al nazismo in vari scritti e interventi, fino all'attuale esaltazione dell'imperialismo americano e della sua politica di dominio e di guerra.
Da fascista a marine: così conclude degnamente la sua carriera il "maestro" dei rinnegati del comunismo e dei trotzkisti nostrani.