Nel vertice di Roma
Bush e Berlusconi riconfermano il patto d'acciaio tra gli Usa e l'Italia in camicia nera
I nuovi Hitler e Mussolini manterranno le truppe di occupazione in Iraq

La visita dell'Hitler di Washington, Bush, a Roma il 4 e 5 giugno è servita a riconfermare il patto d'acciaio tra gli Usa e l'Italia in camicia nera. Uniti e decisi nel perpetuare la politica di aggressione imperialista nel mondo, Bush e Berlusconi hanno riconfermato altresì che i due rispettivi paesi manterranno le truppe di occupazione in Iraq.
Sono questi i risultati della due giorni romana del presidente americano. La conferenza stampa finale di Villa Madama ha sintetizzato l'evento: un monologo a due voci con solo quattro domande concesse ai giornalisti rigorosamente selezionati (due per parte americana, due italiana). Niente e nessuno doveva o poteva turbare gli "esportatori della democrazia". L'attacco è per Bush: "Il presidente Berlusconi è un mio amico. Mi piace sempre conversare con lui. Ascolto i suoi consigli, mi fido del suo giudizio. Lo prendo in parola". Come è stato per la preparazione della terza bozza di risoluzione Onu sull'Iraq: "Nei giorni scorsi - ha affermato l'Hitler di Washington - il primo ministro è venuto nello Studio Ovale e ha chiesto garanzie sul pieno trasferimento di sovranità al governo iracheno. Allora c'era qualche dubbio in proposito ma io gli ho assicurato che non solo era nostra intenzione, ma anche che i suoi desideri sarebbero stati accolti nella risoluzione". Visibilmente soddisfatto il neoduce Berlusconi ha chiosato: "Anche se non facciamo parte del Consiglio di sicurezza, colpa che non può certo essere attribuita a questo governo".
Bush è poi partito lancia in resta insistendo sulla sua teoria imperialista della "guerra al terrorismo": "è la guerra del ventunesimo secolo, non ci tireremo indietro. I terroristi vogliono che ci arrendiamo. Ma io mi rifiuto categoricamente di arrendermi, non voglio assolutamente arrendermi. Per fortuna c'è qui un fortissimo alleato". E Berlusconi rincara ducescamente la dose: "Insieme si può vincere, si deve vincere; e si vincerà". A tal proposito il premier italiano ha ribadito che l'Italia resterà a fianco degli Usa e i soldati italiani resteranno nel paese del Golfo: "Le truppe italiane resteranno in Iraq fino a quando il nuovo governo, che sarà eletto nel mese di gennaio prossimo, riterrà che le truppe degli altri paesi possano essere utili al mantenimento dell'ordine e alla costruzione della democrazia".
Per gli stessi motivi l'Italia invierà altre truppe in Afghanistan se serviranno.
Nessun imbarazzo neppure sulle criminali torture, da sempre un mezzo politico americano per distruggere il nemico: ad un Bush che si scalda, "certo anch'io sono rimasto disgustato dalle immagini che ho visto", ecco Berlusconi che sentenzia: "la differenza fra le dittature e le democrazie è che in dittatura le torture sono segrete e continuate, in democrazia sono denunciate e i responsabili vengono colpiti". Ma l'assenza di torturatori e torture non dovrebbe essere nel dna delle democrazie borghesi? Il fatto è che qui si esula dalla democrazia borghese, siamo al fascismo bello e buono.
Nel suo monologo Berlusconi ha spiegato perché "siamo amici dell'America": "perché è stata patria genorosa per i nostri emigranti", "perché grazie a lei ci siamo potuti difendere dall'Urss che aveva i missili puntati sulle nostre città", perché è la "patria della democrazia" con il "rispetto dei diritti e mercato aperto". Un inno alla patria del capitalismo e dell'imperialismo.
Tuttavia il neoduce è voluto tornare sulla natura dell' "amicizia" Italia-Usa, per far comprendere come l'imperialismo italiano non sia succube di Washington e come intenda giocarsi le proprie carte nello scacchiere mondiale: "Non siamo alleati che danno sempre ragione - ha precisato Berlusconi - ma amici leali che quando c'è da farlo muovono critiche". Un discorso ripreso nell'intervista rilasciata a "la Repubblica" del 7 giugno: "Nessuno pensa che quando parliamo della vicinanza agli Usa sono in gioco interessi globali, importanti, la necessità di non divaricare la politica europea da quella americana. Ma soprattutto nessuno pensa che è il più grande mercato di esportazioni per i nostri prodotti. Oggi siamo in una fase di simpatia che rende questo mercato sommamente favorevole ai nostri prodotti. Una posizione prioritaria rispetto a prodotti che prima ci battevano come i vini francesi o i prodotti agricoli spagnoli. Insomma, chi governa deve guardare a 360 gradi". E chi attualmente regge le sorti dell'imperialismo italiano e interpreta i voleri dei suoi monopoli è uno stretto alleato degli Usa e non un "Signorsì, signore", come in modo fuorviante e riduttivo lo definiscono i rimbambiti e rinnegati della "sinistra" borghese nostrana.