Cogliendo l'occasione dell'80° Anniversario della morte
Lenin calunniato dalla borghesia e dai suoi servi trotzkisti
"La Repubblica'', "Liberazione'' e "il manifesto'' vomitano veleno
L'obiettivo è riabilitare la socialdemocrazia e cancellare il comunismo

L'80° anniversario della scomparsa del grande maestro del proletariato internazionale è stata l'occasione ricercata dalla borghesia e dai suoi servi trotzkisti per chiudere i conti con Lenin. Così facendo costoro hanno definitivamente gettato la maschera e dato indirettamente ragione a noi marxisti-leninisti, che da sempre abbiamo sostenuto la continuità storica, ideologica e politica tra Lenin e Stalin legati indissolubilmente come gli anelli di una catena. L'attacco portato da sempre dalla reazione e dai falsi comunisti a Stalin era rivolto anche a Lenin, alla Terza Internazionale, alla via dell'Ottobre, alla dittatura del proletariato, all'esperienza storica del movimento comunista internazionale, fino a Marx e Engels. Insomma un attacco all'ideologia stessa del comunismo e alle sue radici.
In questa operazione di calunnia della figura di Lenin si sono distinti i quotidiani la Repubblica, Liberazione e il manifesto, che nelle rispettive edizioni del 21 gennaio hanno dedicato pagine intere, fino a dei veri e propri inserti. Tutti, più o meno espliciti, con lo stesso obiettivo: riabilitare la socialdemocrazia e cancellare il comunismo.
La Repubblica nel suo inserto "Diario'' apre con un significativo quanto eloquente: "Lenin. Il peccato originale del comunismo''. Una intervista stomachevole a Martin Amis, scrittore romanziere inglese, considerato uno dei padri spirituali del New Labour del guerrafondaio Tony Blair passato armi e bagagli nel campo dell'imperialismo, di cui ricordiamo l'ultima perla, un pamphlet su Stalin dal titolo "Koba il terribile'' pervaso di falsità, menzogne e calunnie del peggiore stampo fascista. "Ottant'anni dopo la sua morte, - esordisce Amis - Vladimir Lenin non è stato ancora denunciato abbastanza. Bisognerebbe condannare leninismo e comunismo con la stessa forza con cui abbiamo condannato nazismo e fascismo. E soltanto la sinistra può farlo (...) Per me, e per gran parte della storiografia odierna su cui mi sono documentato per questo libro, non possono esserci dubbi: Stalin era la logica continuazione di Lenin''. E poi sulla rivoluzione d'Ottobre: "bisogna ricordare che la Russia dell'inizio del secolo non era più un rigido sistema totalitario, si stava democratizzando, stavano esplodendo il progresso, le riforme sociali, le libertà civili, oltre a un'incredibile ondata di creatività artistica, senza uguali nel resto del mondo. L'Ottobre rosso è calato su tutto questo come una saracinesca. Lenin si limitò a distruggere. L'innesto del comunismo nella Russia del 1917 è stata una tragedia di cui quel paese porta ancora le conseguenze''. Il delirio velenoso dell'uomo chiamato in causa da la Repubblica per sparare a zero su Lenin e il comunismo si conclude naturalmente con un inno alla socialdemocrazia: "il Labour, la socialdemocrazia, la sinistra europea, hanno un'identità ben precisa: quella di un progresso graduale per tutti, di una difesa ragionata dei più deboli, di una solidarietà umana portata avanti con mezzi di pace e non di guerra, di pari opportunità e pari regole per tutti, poiché è questa la vera uguaglianza. Essere di sinistra, oggi, ha ancora un significato molto preciso. Ma con il comunismo e con Lenin non c'entra proprio niente''. Ci mancherebbe.
Andando avanti nella lettura dell'inserto di Repubblica, e non è stato cosa facile, credeteci, incontriamo le "attente analisi'' di due noti storici borghesi e anticomunisti, Massimo Salvadori e Roj Medvedev. Per il primo "Quel che Lenin e Stalin condivisero furono l'idea del diritto dei bolscevichi a detenere il monopolio assoluto del potere e a distruggere ogni opposizione, l'odio diretto in primo luogo verso i socialdemocratici (arieccoci, ndr) accusati di tradimento in quanto restavano fedeli ai principi della democrazia borghese, della divisione dei poteri, del pluralismo culturale e denunciavano la dittatura di una élite di partito (...) Quel che conta, per il giudizio storico, è il fatto che fu proprio grazie al sistema creato da Lenin che Stalin poté fare quel che fece. è sotto questo profilo sostanziale che Stalin fu l'autentico erede di Lenin''. Per il secondo "Il leninismo è annegato nella sua utopia. Marx e Lenin avevano concepito una ideologia troppo complessa, una società ideale che prescindeva dalla realtà. è l'errore che il capitalismo non ha commesso''. Che coraggio e faccia tosta. Questa testa d'uovo che ha sponsorizzato la famigerata perestrojka gorbacioviana vive tuttoggi a Mosca dove i frutti della sua "società ideale'' capitalista sono lì in bella vista.
Il giornale diretto da Ezio Mauro è tornato sull'argomento Lenin il 26 gennaio. Nella pagina dei commenti spicca quello di Mario Pirani, ex PCI, che dopo aver riconosciuto ai trotzkisti nostrani dei "passi avanti'' nella denuncia del leninismo e del binomio Lenin-Stalin conclude la sua filastrocca con un attacco diretto al comunismo, alla sua ideologia, ai suoi fini: "Ciò che è peculiare nel comunismo è l'idea di poter costruire una società perfetta, di organizzare un corpo sacerdotale (il partito) preposto a preparare e dirigere questo avvento, dotato in nome di una finalità `buona' di una capacità di condanna e di auto assoluzione perfetta. Qui è il cuore del crimine, nel fine e non nei mezzi usati, compresa la violenza. Questo rende inaccettabili sia Lenin che Stalin''. Inaccetabile Lenin lo è anche per il rinnegato e sessantottino pentito Paolo Mieli, che ammaliato dall'ultime uscite anticomuniste di Bertinotti, nella rubrica delle lettere al Corriere della Sera del 26 gennaio risponde ad un lettore: "quanto all'uscita dalle leggi della `democrazia rappresentativa', lascerei perdere una volta per tutte. E non mi darei pena per il fatto che l'addio a questo tema comporta la definitiva sepoltura di Lenin e del suo lascito politico. Meglio così: finiamola con l'attualità di Lenin' e consegniamo una volta per tutte quel leader rivoluzionario al lavoro esclusivo degli storici''.
Forte dell'intervista al segretario del PRC Bertinotti apparsa su "il manifesto'' dello stesso giorno, secondo il quale "non solo Lenin, ma tutti i grandi leader del movimento operaio del '900'' sono "morti e non solo fisicamente. Oggi sarebbe grottesco richiamarsi all'uno o all'altro'', il quotidiano della rifondazione trotzkista Liberazione ha giocato le sue carte nel "celebrare'' Lenin. L'apertura dell'inserto speciale è di Rina Gagliardi e il titolo tutto un programma: "Lenin giovane rivoluzionario''. E l'aggettivo comunista? Una dimenticanza, o una significativa scelta? Una scelta, argomentata dal fatto che "il XX secolo è davvero alle nostre spalle, ora che, forse, il tempo dei dogmi e degli ismi è definitivamente tramontato, siamo nelle condizioni per cercare di capire 'ciò che è vivo e ciò che è morto' del nostro passato. Ciò che è attuale da ciò che si è rivelato caduco''. E per costei, luxemburghiana e trotzkista incallita, morto e caduco è il comunismo di Lenin e Stalin.
Un'altra chicca ce la offre Rossana Rossanda a cui Liberazione concede l'ultima pagina dello speciale su Lenin. "Il rovesciamento d'un potere - afferma, parlando della rivoluzione d'Ottobre e dell'instaurazione del socialismo in Russia -, se non è mediato dallo stato di diritto, apporta comunque un danno irreparabile in chi lo compie''. Le stesse tesi e denunce della socialdemocrazia. Che non ha mai messo in discussione lo stato di diritto della borghesia e rifiuta la nuova società socialista fondata sulla dittatura del proletariato. Per cui secondo la Rossanda "Lenin, se mi è permessa una espressione casareccia, è fritto''.
L'altro quotidiano trotzkista il manifesto celebra a suo modo Lenin con la suricordata intervista a Bertinotti mentre all'interno si affida al filosofo borghese sloveno Slavoj Zizek che si sente "rabbrividire al ricordo delle parole con cui Lenin liquidò la critica che i menscevichi e i socialisti rivoluzionari facevano del potere bolscevico nel 1922''. "Vladimir Ilic Lenin è morto il 21 gennaio 1924, - sentenzia Zizek - ottanta anni fa, e ci chiediamo se l'imbarazzato silenzio che circonda il suo nome non significhi che è morto due volte, che è morta anche la sua eredità. Effettivamente la sua insensibilità nei confronti delle libertà personali è estranea alla nostra sensibilità liberale e tollerante''. E con questo il pranzo de il manifesto è servito.
Dulcis in fundo il settimanale del PdCI la Rinascita della sinistra, che nell'edizione del 23 gennaio dedica due pagine all'80° della scomparsa di Lenin. Valga per tutto la conclusione del pezzo firmato dal direttore Gianfranco Pagliarulo: "In queste pagine - si legge - non ci sogniamo neppure di fare un bilancio della vita, del pensiero, delle opere. Semplicemente, lo mettiamo in agenda. Come un punto col quale misurarsi per l'elaborazione di un nuovo pensiero critico e per rafforzare la lunga fase di resistenza in cui siamo ancora, tutti, immersi''. Ogni commento ci pare superfluo.