Come Berlusconi e tutti gli anticomunisti, i trotzkisti e i riformisti
CARUSO VUOL ROVESCIARE LA "PIRAMIDE LENINISTA"
La linea del leader dei no-global napoletani condanna il movimento nel capitalismo
Redazione di Napoli

Con la speranza di stimolare il dibattito nel movimento no-global, con questo articolo ci proponiamo di criticare alcune tesi del leader dei no-global napoletani, Francesco Caruso, che ci ha regalato una sintesi della sua concezione del mondo nel libro "Vite disobbedienti - Don Vitaliano della Sala e Francesco Caruso - autobiografie parallele'', a cura di Luciano Scateni.

AMARE LA STORIA DEL PROLETARIATO NAZIONALE E INTERNAZIONALE
Vediamo subito come Caruso affronta il rapporto tra le nuove generazioni che partecipano al movimento no-global e gli insegnamenti dei maestri del proletariato internazionale. Egli afferma lapidario: "Questa generazione in movimento ha ben chiaro, a differenza delle precedenti... come la strada illuminata dai 'Grandi Maestri' finisca in un burrone... questo è sicuramente l'elemento più evidente di rottura con le forme tradizionali della mobilitazione sociale''. Liquidati Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao passa subito, per la gioia di tutti gli anticomunisti e i neofascisti, al campo politico-organizzativo auspicando, con altrettanta frettolosa e presuntuosa saccenza, la fine della lotta per il socialismo e il rovesciamento della "piramide leninista''. Evidentemente il nostro portavoce della nuova generazione desidera che le masse giovanili si liberino con un colpo di spugna e senza pensarci su due volte dell'inestimabile patrimonio di esperienza del movimento operaio nazionale e internazionale e degli insegnamenti dei maestri del proletariato internazionale che rivivono nel PMLI.
Anche se non lo cita apertamente, sembra proprio che voglia demonizzare quello che è oggi l'unico Partito in Italia che ha nel suo programma la rivoluzione e il socialismo e si ispira coerentemente alla teoria leninista come guida per l'azione. Il suo attacco muove fondamentalmente da due assunti: 1) "lo stato-nazione non esiste più, privato ogni giorno di qualcosa, eroso delle sue prerogative, smontato e smantellato pezzo a pezzo, anche il palazzo d'inverno si è disperso, frantumato in mille rivoli inafferrabili''. Ne consegue, per intenderci, che per lui lo Stato borghese, il regime neofascista, Palazzo Chigi e il governo del neoduce Berlusconi non esistono. Da qui fa discendere diverse conseguenze "proprio per questo oggi che non c'è un palazzo da assaltare, il potere da conquistare... bisogna reinventarsi e sperimentare nuovi percorsi di autorganizzazione sociale, senza restare imbrigliati nelle rigidità cadaveriche, nelle categorie di un passato morto e sepolto... all'orizzonte dell'agire collettivo e quindi dello scontro con il dominio del liberismo non si intravede più l'altra società... il movimento dei movimenti del resto non ha uno stato di cose da instaurare, non ha un ideale al quale chiedere a tutti di conformarsi, rifugge da chiunque tenti di imporlo, promuove semplicemente la tensione alla costruzione e alla diffusione, del conflitto quale motore della storia''.
Per lui l'alternativa al sistema capitalistico non esiste, così come non esiste la possibilità di uno sbocco rivoluzionario delle lotte, la questione del potere politico, il generico "conflitto'', e non la lotta di classe, è il nuovo motore della storia. Esso è per lui il totem, il dio assoluto secondo il principio trotzkista e socialdemocratico che il movimento è tutto e il fine è niente. "Non ci sono autostrade già tracciate, strade tortuose o lineari da percorrere, dobbiamo sempre e comunque camminare domandando, scoprire e tracciare qui e ora il sentiero, consapevoli anche del fatto che non c'è e mai ci sarà più un punto definitivo di approdo, ma solo un orizzonte sempre pronto ad allontanarsi man mano che ci avviciniamo''.
Tanto sfoggio di poesia per dire che per lui il capitalismo è l'unico orizzonte!
2) "Il vento di Seattle ancora prima di delineare compiutamente le sue forme e le sue ragioni, apporta uno stravolgimento epocale'' rompendo con il "vecchio'' movimento comunista, con i suoi "dogmi opprimenti, la cieca fiducia nel progresso, il grigiore del verticalismo burocratico, i pensieri imbalsamati e atrofizzati che finivano per diventare dogmi oppressivi''. Proseguendo sul sentiero del nichilismo storico filosofeggia di "orizzonti di liberazione inimmaginabili'' da rincorrere su percorsi sconosciuti. Mentre da solerte "spazzino della storia'' ha già liquidato la via dell'ottobre, ossia la via rivoluzionaria che portò il proletariato nel secolo scorso al potere su di un quarto del globo terrestre con la costruzione degli Stati socialisti, tra cui l'Urss di Lenin e Stalin e la Repubblica popolare cinese di Mao e che dischiuse prospettive concrete inimmaginabili prima di allora per la liberazione del proletariato e i popoli oppressi del mondo intero.
Accecato dal mito del movimentismo e dello spontaneismo bernesteniano, nel capitolo dal titolo "Lenin a testa in giù'' al nostro eroe anticomunista non resta che suonare il requiem anche per il più importante e decisivo mezzo organizzativo del proletariato, il Partito: "il rischio di produrre le logiche dell'avanguardia novecentesca è dietro l'angolo'' avverte Caruso e per esorcizzare questo rischio sentenzia: "Non ci sarà più il Grande Partito, il soggetto rivoluzionario, il faro della rivoluzione e di certo non saremo noi a rimpiangerli: gli orfani piagnucolanti perso il riferimento rassicurante, non ritrovano la direzione e la prospettiva e si sentono persi, finendo per pregare alla moda di chierici perché qualcosa o qualcuno risusciti il cadavere... mettersi questo in testa significa anche rinunciare... alla speranza di rinvigorire le identità sopravvissute alla sconfitta e non più attuali...'' Traduzione: la preoccupazione di Caruso è di decretare prematuramente defunta la prospettiva di costruire un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista. Le sue idee vanno ad aggiungersi al coro della classe dominante borghese che negli ultimi due secoli mille volte, ad ogni tornante della storia, aveva brindato in un delirio di onnipotenza: "evviva, il comunismo è morto e non risorgerà mai più!'', salvo essere puntualmente e clamorosamente smentita.

IL MOVIMENTO E' TUTTO IL FINE E' NIENTE
Non contento il nostro capetto tenta goffamente di demolire il concetto stesso di avanguardia: "Proprio perché rifuggiamo dalle tentazioni avanguardiste, della Tradizione Marxista-Leninista dobbiamo sperimentare una dinamica possibile di superamento in avanti delle classiche dicotomie della sinistra `novecentesca'. Per noi reimpostare una virtuosa dialettica tra spontaneità e (auto) organizzazione significa rompere il verticismo, l'avanguardismo, con il Partito che guida le masse... di qui il rovesciamento della piramide leninista... abbiamo scelto di rovesciare la medaglia e riformulare le nostre determinazioni politiche, riconfigurare le nostre coordinate e categorie... di qui l'irruzione e lo sforzo di costruire e valorizzare il movimento, ove per nascita e valorizzazione del movimento intendiamo la costruzione di una (non) identità aperta e in movimento - e bene sì, non stropicciate gli occhi, il movimento per lui deve essere "una (non) identità - che sussume le pregresse identità collettive... i più svegli cercano di adattarsi al rovesciamento della piramide, di leggere e anticipare le tendenze: ma il movimento si troverà sempre un passo avanti. E non aspetta nessuno''.
Tutto un gioco di parole per attaccare quel fondamentale principio organizzativo marxista-leninista che è sempre stato la bestia nera della borghesia, dei trotzkisti e di tutti gli individualisti, il centralismo-democratico, secondo cui l'individuo è subordinato all'istanza, la minoranza alla maggioranza, l'istanza inferiore a quella superiore, tutto il Partito al Comitato centrale e sostituirgli il suo opposto: il verticismo e il protagonismo anarchico della attuale dirigenza della rete no-global.
Crede forse che si possa sorvolare sul fatto che da quando è il leader dei no-global napoletani ha promosso una sola vera assemblea generale del movimento, due anni fa? Crede forse che si possa dimenticare che le decisioni della democraticissima rete no-global campana vengono prese da un piccolo gruppo di autodelegati?
Riassumiamo: egli ritiene che il movimento no-global debba ripartire da zero, rigettare tutti gli insegnamenti della storia, distruggere tutte le bussole che possono orientarci verso la vittoria, essere privo di scopo e di struttura, "camminare domandando'' senza sapere qual è la meta e senza farsi ossessionare dalla necessità di mettere a fuoco chi sono gli amici e chi sono i nemici, poiché secondo lui questi ultimi sono solo fantasmi inafferrabili sia a livello internazionale, che a livello nazionale e locale.
"Le reti sono il terreno, lo spazio e i luoghi del nostro tempo, il terreno connettivo al passo con il conflitto. Luoghi politici reali, in antitesi ai non luoghi della produzione di dominio''. Sì, ha scritto proprio "non luoghi'', ha dimenticato il "campo di concentramento'' costruito dal neoduce Berlusconi nel centro di Genova durante il G8? Ma non solo i nemici sono "non luoghi'' e "non identità'' ma anche noi antimperialisti dovremo avere le stesse caratteristiche: "per avere il suo passo, questo movimento ci impone proprio la rimozione di quello che siamo e del dove siamo, collocandoci altrove, ci chiede e ci dice di... destrutturare le identità primarie dentro un quadro più generale, nella costruzione di un nuovo processo di liberazione sociale'' - pare proprio che il nostro stregone voglia che chi entra nelle "reti'' venga bendato e fatto girare velocemente su se stesso affinché dimentichi chi è, da dove viene, perché è lì e dove vuole andare.
"La rete è aperta, connettibile in tutte le dimensioni, è a molteplici entrate, priva di struttura, è estesa e orizzontale e i suoi principi sono l'eterogeneità e la connessione''. Domanda: come mai tra le tante bellissime caratteristiche di questa rete ultrademocratica ci manca il luogo e il metodo con cui si esprime la sovranità popolare: l'assemblea generale? Dove e chi controlla che la linea degli autodelegati, di un Caruso o un De Cristofaro (PRC), corrisponda realmente agli interessi di lotta di chi partecipa al movimento? Cosa significa che "non esiste l'organizzazione dei disobbedienti intesa come sintesi politica, come luogo della definizione della strategia complessiva'' se non volere che questa sintesi e questa strategia gli venga imposta da qualcuno al vertice o dall'esterno?
E' singolare poi che un movimento in tale misura cieco, senza memoria, senza strumenti e obiettivi definiti e in tale misura "poco organizzato'' (sue testuali parole), secondo lui debba inglobare, sbriciolandoli, organizzazioni e movimenti. Senza un luogo decisionale collettivo e sovrano a cosa mira quell'appello a "destrutturare e stravolgere le soggettività organizzate'' se non a dissolvere tutti in una manipolabile poltiglia? Alle nostre orecchie il suo discorso suona così: "tutti dietro al movimento, chi è avanti vada indietro chi è indietro vada avanti, i cadaveri viventi (cioè noi) stiano in silenzio e gettino in mare le loro vecchie e inutili insegne e bandiere, il comandante della nave sono io, non so qual è la rotta ma mi lascio volentieri sospingere da questo vento d'oltreoceano che spira verso il porto di Napoli, lì ci attendono degli emissari del sindaco che vogliono affittare la nave per le prossime elezioni''.

UNA STRATEGIA RIFORMISTA, BORGHESE E FILOISTITUZIONALE
La storia ci insegna che chi getta nel fango la lotta per il socialismo non può proporre altro che la illusoria, logora e storicamente impossibile prospettiva di riformare il sistema capitalistico per mezzo di una conciliatoria e fuorviante "terza via''. A furia di "camminare domandando'' nel pensiero del nostro eroe abbiamo svelato l'arcano: egli propaganda, dietro una fraseologia solo apparentemente più "radicale'' di altri dirigenti no-global, i marci inganni riformistici di Porto Allegre rilanciando, insieme alla dirigenza del PRC, la proposta di "un esodo costituente per definire nuovi istituti di partecipazione politica, sociale e culturale'' e affermando che "la costruzione di un altro mondo possibile passa necessariamente di qui, dall'impegno in prima persona a contestare ma anche a progettare e costruire qui e ora forme alternative di produzione, di consumo, di commercio, di socialità, ma anche e soprattutto di vita... nonché nello sperimentare dei percorsi di democrazia partecipativa''.
Una "democrazia partecipativa'' che avrebbe il compito di esercitare il controllo delle "moltitudini'' sull'operato degli Stati, delle imprese e sul mercato, da realizzarsi essenzialmente con il dialogo e la partecipazione alle istituzioni borghesi. Una formula che Caruso spaccia per "democrazia diretta'' e per "democrazia sostanziale'' ma che in realtà è il trucco e il nuovo inganno con cui il PRC tenta da un lato di recuperare il consenso e di coinvolgere le masse nelle istituzioni rappresentative borghesi dall'altro di stringere alleanze con la "sinistra'' borghese con la quale già governa regioni e città. Del resto non ci si poteva aspettare niente di meglio da un incallito collaborazionista, filoistituzionale come Caruso che non disdegna il dialogo e lo scambio di piaceri con la giunta napoletana della democristiana Iervolino.
Non dimentichiamo infatti che egli rappresenta proprio quella parte dei centri-sociali che per primi hanno teorizzato e praticato il dialogo e la collaborazione con le istituzioni borghesi. Anzi per coprire il tradimento del PRC e la sua ormai ultradecennale condivisione della politica antipopolare delle giunte di "centro-sinistra'' addirittura definisce "rosa e fiori'' la controriforma scolastica della Iervolino degli anni '90 rispetto alla controriforma Moratti, nascondendo che essa è stata processo di privatizzazione della scuola. Non dimentichiamo che quando parla della lotta dei disoccupati per il lavoro a Napoli e delle altre mille ingiustizie e disuguaglianze del Sud, le istituzioni locali non sono mai il bersaglio.
E a questo punto diventano troppe le convergenze con Bertinotti per non pensare che vi sia un'unità di intenti tra i due: entrambi coprono le istituzioni locali di "centro-sinistra'', entrambi rigettano la storia e la prospettiva del socialismo, entrambi spingono per la rottura definitiva con il Partito leninista e con il concetto di avanguardia, entrambi odiano il PMLI, entrambi mitizzano lo spontaneismo e il movimentismo, entrambi propagandano l'inganno riformista e pacifista della "democrazia partecipativa'' come "nuovo mondo'' e "nuova democrazia'', entrambi sono impauriti dall'astensionismo, entrambi infine si disinteressano della opposizione e della lotta, quanto mai prioritaria, per buttare giù il governo del neoduce Berlusconi e il regime neofascista.
Sappiamo che per il gruppo dirigente di Rifondazione questo movimento rappresenta soltanto un'occasione d'oro per ridare fiato al partito a livello politico ed elettorale, condizionare a proprio vantaggio la "sinistra'' DS in vista di accordi di governo, stringere i rapporti con la socialdemocrazia e il trotzkismo internazionale. Non vorremmo che il "concetto di disobbedienza sociale che - scrive Caruso - viaggia attraverso la costruzione del consenso'' si trasformi in consenso elettorale.

LA "DISOBBEDIENZA SOCIALE''
Per Caruso "la disobbedienza si può identificare con quell'insieme di comportamenti antiproduttivi, che si collocano sul terreno dell'insubordinazione e del sabotaggio dei meccanismi di comando e dominio'' essa "si pone l'obiettivo di destrutturare la norma primordiale che è alla base della legittimità dello stato e dell'ordine costituito, cioè la necessità stessa di disobbedire alle leggi. è la mitizzazione dei "comportamenti antiproduttivi'', come il boicottaggio delle merci e dei marchi delle multinazionali, che non intaccano in nessun modo la globalizzazione imperialista, i suoi Stati e i suoi governi anzi rischiano di agevolare l'espansione di un monopolio nei confronti di un altro e di trasformare il movimento in un arma nelle mani dell'imperialismo europeo e di quello italiano che come quello americano ambiscono al dominio dei mercati.
Dire poi che "disobbedire alle leggi dello Stato mette in discussione la stessa legittimità del `dominio''' è soltanto un'altra illusione riformista dal punto di vista strategico e una provocazione avventurista dal punto di vista tattico. Disobbedire alle leggi dello Stato borghese, specie lo Stato fascista, in certi casi è necessario e utile, certo però queste scelte tattiche non possono diventare scelte strategiche, e dunque ad esse non può essere attribuito un potere "destrutturante'' che non hanno.
Grave e disarmante è poi dichiarare conclusa la fase delle grandiose manifestazioni antimperialiste1 : "passate le stagioni dei vertici e dei suoi controvertici, passate le stagioni delle grandi adunate... ebbene terminato tutto ciò'' (e già dimenticavamo i nemici si sono dissolti) "dobbiamo pensare a categorie altre dall'agire...''.
Insomma le forme di lotta della disobbedienza "sociale'' vengono presentate come "nuove'' e "creative'' quando in realtà sono sempre esistite come pratica del pacifismo e della non violenza e in genere adottate dalla piccola borghesia in contrapposizione alle forme classiche di lotta del movimento operaio e popolare. Si tratta di forme o "linguaggi'' come le definiscono i disobbedienti più individuali e di piccolo gruppo che di massa, più di testimonianza che di lotta, più rivolte a creare consenso che ad infliggere duri colpi al nemico di classe. L'utopia di Caruso è che le pratiche della disobbedienza possano rimuovere gli effetti più perversi della globalizzazione nel nome "del bene dell'umanità'', inventargli nuove regole, una nuova etica, "umanizzarla''. Questo vana speranza deriva dal mettere in discussione solo l'attuale politica economica dell'imperialismo, il neoliberismo, ma non l'imperialismo stesso che la alimenta e che Caruso non nomina mai. La sua linea pacifista, movimentista e riformista e in ultima analisi borghese non può andare bene al proletariato, non solo in riferimento alla questione generale e centrale della conquista del potere politico da parte del proletariato, che resta la madre di tutte le questioni, ma anche della lotta politica, economica e sociale per la conquista e la difesa dei propri diritti e bisogni immediati. Di certo condanna il movimento no global nel capitalismo.
 

NOTE 
1 E un primo assaggio di questa linea è stata la mancata contestazione del vertice Ue sui trasporti che si è svolta a Napoli nel luglio di quest'anno.