A camere già sciolte, infischiandosene dei rilievi di incostituzionalità di Ciampi
La Casa del fascio riapprova la legge Pecorella
Grazie ad essa sarà cancellato il processo di appello a Berlusconi per il caso Sme. Benefici anche a Previti, Mannino (Udc) e Formigoni (Fi)
"È la coda velenosa di una legislatura nella quale la maggioranza di governo ha fatto praticamente terra bruciata della giustizia penale". Questo l'amaro quanto appropriato commento con cui Nello Rossi, vicesegretario dell'Associazione nazionale magistrati, riassunse il giudizio di tutta la magistratura dopo la prima approvazione il 12 gennaio scorso della legge sull'inappellabilità delle sentenze di assoluzione di primo grado, detta anche legge Pecorella dal nome dell'avvocato personale di Berlusconi, nonché deputato di Forza fascio e presidente della Commissione giustizia della Camera, che l'ha scritta e presentata.
Una legge che si aggiunge infatti sul filo di lana di fine legislatura alle tante altre varate in questi cinque anni dalla Casa del fascio appositamente per cancellare i processi al neoduce e ai suoi amici, primo fra tutti Previti, e per completare il progetto piduista dell'assoggettamento della magistratura al potere esecutivo. Ancora una volta il neoduce si è fatto scudo di un principio apparentemente "garantista" all'unico scopo di mettere i bastoni tra le ruote al magistrati che si occupano delle sue innumerevoli pendenze giudiziarie per reati di corruzione e finanziari. Principio che nella formulazione della legge Pecorella si può sostanzialmente riassumere così: l'imputato può ricorrere in appello per una sentenza di condanna, il pm non può fare altrettanto per una sentenza di assoluzione. Può solo ricorrere in Cassazione (quello che finora era il terzo grado di giudizio, e solo per questioni di legittimità e di forma), ma solo se vengono prodotte nuove "prove decisive" non emerse in primo grado.
Dopo essere stata approvata a gennaio con i soli voti della Casa del fascio, infischiandosene altamente dei severi giudizi e delle proteste di magistrati e insigni giuristi, la legge era stata però rinviata da Ciampi alle Camere per manifesta incostituzionalità, e sembrava destinata a essere cancellata dall'imminente scioglimento delle Camere. Ed è questo uno dei motivi principali per cui Berlusconi ha fatto fuoco e fiamme per strappare al Quirinale altre due settimane di prolungamento dei lavori parlamentari, senza le quali l'impresa di riapprovare il provvedimento, per quanto con modifiche puramente posticce, non gli sarebbe potuta riuscire. Invece Ciampi glie l'ha data vinta, grazie anche alla capitolazione dei rimbambiti leader dell'Unione che si sono arresi al suo diktat senza neanche combattere, e così il neoduce è riuscito a mettere in saccoccia anche quest'ennesima vittoria parlamentare che gi tornerà molto utile.
Grazie ad essa riuscirà infatti ad evitare il processo di appello per la vicenda Sme, mentre il suo amicone e sodale Previti forse riuscirà a portare "nuove prove" in Cassazione facendo rifare il processo Imi-Sir per cui è stato condannato. Anche altri imputati "eccellenti" ne trarranno insperati vantaggi, come per esempio il palazzinaro romano Gaetano Caltagirone (due processi, per corruzione di magistrato e turbativa d'asta), e come il governatore della Lombardia, il forzafascio Formigoni, che eviterà il giudizio d'appello per corruzione a favore di Paolo Berlusconi per la vicenda della discarica di Cerro Maggiore.
Ciampi ha creato un problema al premier respingendogli la Pecorella, ma gli ha anche offerto la soluzione, dandogli il tempo di "modificarla" e riapprovarla, sia pure all'ultimo tuffo. Tra i diversi rilievi di incostituzionalità mossi da Ciampi alla legge, quello principale riguardava la Cassazione, che con le nuove regole sarebbe stata trasformata da giudice di legittimità a giudice di merito, costringendo la corte a "procedere al controllo della legalità dell'intero processo, riconsiderandone ogni singolo atto". Il che tra l'altro comporterà un vertiginoso aumento dei procedimenti pendenti, portando la Cassazione alla paralisi e pregiudicando gravemente il diritto costituzionale all'efficienza e alla durata ragionevole dei procedimenti giudiziari. Altri rilievi importanti riguardavano la disparità incostituzionale introdotta tra accusa e difesa e la mancanza di tutela per le parti lese, che usufruirebbero solo di due gradi di giudizio nelle cause penali contro i tre ancora previsti nelle cause civili.
Fosse stato per Berlusconi avrebbe fatto riapprovare il testo così com'era, infischiandosene delle modifiche richieste da Ciampi. E ci ha anche provato, se non fosse che il clima di smobilitazione, evidenziato da ripetute mancanze del numero legale a causa di defezioni nella maggioranza lo ha costretto, sia pure a malincuore, a ricorrere a forzature meno sfacciate, facendosi dare per esempio una mano da Casini e Pera per tagliare i tempi del dibattimento. È grazie soprattutto a quest'ultimo che il Senato nero ha riapprovato definitivamente la Pecorella addirittura a Camere già sciolte, il 14 febbraio, ricorrendo per l'occasione a una clausola che consente la prosecuzione dei lavori per le leggi rinviate dal capo dello Stato al parlamento. E di fatto la legge è stata riapprovata anche infischiandosene dei rilievi di Ciampi, come pretendeva il neoduce, visto che quello più importante - lo stravolgimento del ruolo costituzionale della Cassazione da corte di legittimità a corte di merito - è stato totalmente ignorato, e l'unico accolto è stato in pratica quello sulle parti civili, che ora potranno ricorrere in appello, ma solo per ottenere risarcimenti. In compenso l'UDC, quale "prezzo" per aver rivotato la legge, ha fatto inserire una clausola appositamente studiata per cancellare il processo d'appello per mafia di Calogero Mannino, il cui nome è stato inserito nelle sue liste elettorali. La norma transitoria che applica la Pecorella anche ai processi già in corso, infatti, è stata estesa anche alle sentenze di assoluzione in primo grado che sono state riformate con una condanna in appello e rinviate di nuovo in appello dalla Cassazione, com'è nel caso dell'ex ministro democristiano.

22 febbraio 2006