Per l'esplosione di una piattaforma petrolifera
Catastrofe ecologica nel Golfo del Messico
11 operai morti. Le responsabilità della BP e di Obama per i ritardati e inefficaci interventi

Il libro nero dei crimini del capitalismo si è arricchito di un nuovo capitolo.
Dal 20 aprile scorso milioni di litri di petrolio stanno inquinando irreversibilmente l'Oceano Atlantico. La perdita proviene da un pozzo sottomarino, situato a 1.500 metri di profondità, nel Golfo del Messico, a 42 chilometri da Venice, in Louisiana, che è andato distrutto a seguito dell'esplosione e dell'affondamento di una piattaforma "offshore", la Deepwater Horizon, di proprietà della multinazionale petrolifera inglese, BP.
Si tratta di una catastrofe enorme, non solo per l'ennesima strage di operai sacrificati sull'altare del massimo profitto capitalistico (11 i corpi carbonizzati nell'esplosione), ma anche per gli incalcolabili danni ambientali.
Le poche immagini subacquee disponibili mostrano una conduttura spezzata da cui fuoriesce a flusso ininterrotto un geyser scuro di greggio che secondo gli esperti non ha subito alcuna variazione dal momento dell'incidente ad oggi.
Dopo i primi sopralluoghi, la NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration) ha alzato le stime diffuse dalla BP, da 2.000 barili a 5.000 barili/giorno (c.a. 675 tonnellate) mentre i media riferiscono di quantità ancora maggiori: il 2 maggio il Wall Street Journal parlava di 25.000 barili al giorno (ossia 3.375 tonnellate!). Cifre spaventose, se moltiplicate per la durata dello sversamento, che lo quantificano fin qui in almeno 90mila tonnellate!
Per comprendere meglio la portata del disastro ambientale che è in atto basta dire che la BP ha dichiarato per la Deepwater una produzione potenziale di 150.000 barili al giorno, equivalenti a 20.250 tonnellate, mentre furono "appena" 42mila metri cubi di petrolio riversati nel golfo dell'Alaska dalla petroliera Exxon Valdez, uno tra i più grandi disastri petroliferi in mare, che provocò l'inquinamento di 2.000 km di coste e migliaia di animali morti.

Avvelenati l'Oceano, la Louisiana e l'intero Golfo del Messico
È sempre difficile valutare, monitorare, prevedere le conseguenze a lungo termine. In particolare, gli effetti sull'ecosistema pelagico. Le sostanze tossiche rilasciate dalle decine di migliaia di tonnellate di petrolio hanno un impatto devastante sia sulle comunità del plancton (organismi che vivono nella colonna d'acqua) che su altre specie. A ciò bisogna aggiungere gli effetti tossici dei disperdenti (ne sono stati usati almeno 400.000 litri fino al 1° maggio) tra cui è confermato l'uso del Corexit (2-butossietanolo), vietato in California perché causa infertilità e malformazioni (o morte) dei feti. L'uso di questi solventi può ridurre l'impatto sugli uccelli (che vengono "soffocati" dal catrame) ma aumenta quello sulla fauna e flora marina. Vengono utilizzati il più delle volte per tranquillizzare l'opinione pubblica (gli uccelli incatramati fanno sensazione), in parole povere per nascondere l'immondizia sotto il tappeto.
Per quanto riguarda gli effetti sulla terraferma, essi dipendono ovviamente dalla dimensione del territorio colpito. La melma oleosa si è da giorni posata sulle coste della Louisiana e rischia di insinuarsi nel delta del Mississippi. Pesci morti in superficie e catrame sulle spiagge anche nel Chandeleur, sottolinea l'organismo International Bird Rescue, commentando l'emergenza nella quale si trovano i bellissimi atolli che sono l'area di sosta preferita degli uccelli migratori. Lungo la fascia costiera del Golfo del Messico ci sono oltre 2 milioni di ettari di zone umide, con oltre 400 specie a rischio, tanto che il governatore della Louisiana ha dichiarato che la marea nera minaccia almeno 14 Aree protette. Inoltre, da metà aprile a metà giugno, nell'area contaminata è in corso la riproduzione del tonno rosso e dei cetacei (come le focene, varie specie di delfini, balenottere, capodoglio e capodoglio pigmeo o cogia). Tra le specie in pericolo di estinzione ci sono anche varie specie di rettili (tartarughe e alligatori), lontre, pellicano bruno (il simbolo della Louisiana) e decine di specie di uccelli migratori, canori e limicoli.
Le immagini satellitari evidenziano che una grande chiazza di greggio sta andando alla deriva verso sud, in direzione della "Corrente Loop", che potrebbe trascinarne le propaggini e portarle verso le Keys della Florida, secondo alcune previsioni i danni irreversibili agli ecosistemi non saranno limitati alle coste del Messico, degli Usa, di Cuba, isole caraibiche e Stati centro-americani, ma il globo intero, visto che la Corrente del Golfo non tarderà a trascinare i blocchi e le fiumane di petrolio greggio fino al Polo Nord, sulle coste del Nord Europa e quelle dell'Africa, ossia in tutto l'Atlantico. Una prospettiva terrorizzante, visto che dopo oltre vent'anni gli effetti dell'incagliamento della Exxon Valdes sono ancora evidenti, come la progressiva scomparsa delle aringhe, e le sostanze tossiche rilasciate ancora in circolazione.
Nonostante tutto questo, la BP continua, con impareggiabile arroganza, a minimizzare su responsabilità e conseguenze di questa catastrofe, promette di pagare i danni per continuare indisturbata le estrazioni nel golfo, come se il denaro potesse sostituire il mare, la terra e le specie perdute. Ma quale cifra può bastare per risarcire l'umanità dell'inquinamento subdolo e permanente della catena alimentare, che farà sì che in futuro mangeremo pesci o verdure con tracce di quel petrolio sparso nel mare? Le trivelle vanno fermate subito e occorre porre fine al più presto all'epoca dei combustibili fossili.

Tragedia annunciata. Crimine contro l'umanità
Intanto la Bp va condannata per crimini contro l'umanità, perché non ha fatto assolutamente nulla per evitare il disastro.
Gli operai superstiti, a caldo, hanno denunciato che non ha funzionato nessuno dei meccanismi di sicurezza. Lo confermano le prime indagini tecniche che segnalano gravissimi problemi strutturali e di equipaggiamento della piattaforma "offshore". Non solo è stata trovata una perdita nel sistema idraulico che doveva fornire energia a delle cesoie che sarebbero dovute entrare in azione tagliando e sigillando il pozzo in caso di incidente, ma le cesoie avevano troppa poca energia per riuscire a tagliare i tubi e persino una delle batterie del sistema che doveva automaticamente chiudere il pozzo era esaurita. È emerso anche che l'intero sistema d'emergenza avrebbe subito delle profonde modifiche negli ultimi anni, di cui la BP sostiene di non essere a conoscenza fino a due giorni dopo l'incidente. Menzogne! Smentite da un inquietante "particolare", ossia che il pozzo aveva fallito un test di sicurezza appena due ore prima dell'incidente: la catastrofe dunque era stata annunciata e si sarebbe potuta evitare se solo la holding del petrolio avesse deciso di sospendere l'estrazione.
"Risulta - sostiene la commissione d'inchiesta - che le compagnie non sospesero le operazioni e questo ha significato la morte di 11 operai e una catastrofe ambientale nel golfo... La BP - proprietaria del pozzo - la Transocean - proprietaria della piattaforma - la Halliburton, che costruì la struttura di cemento che alloggia il pozzo - hanno ignorato l'esito di alcuni controlli chiave nelle ore immediatamente precedenti l'esplosione del 20 di aprile, test che indicavano carenze nel sistema di sicurezza".
Come denuncia Greenpeace, "la piattaforma Deepwater Horizon è stata affittata dalla BP alla Transocean, alla modica cifra di 500.000 US$ al giorno. Con quella stessa cifra la BP avrebbe potuto acquistare, e utilizzare, un sistema di bloccaggio del pozzo "a distanza" (azionabile con un sistema acustico, dalla superficie)". "Perché - si chiedono gli ambientalisti - questo utile congegno, obbligatorio in Norvegia e in Brasile, non è stato utilizzato in una piattaforma assolutamente all'avanguardia (come sostiene la stessa BP)?" La risposta - si spiega in un documentato dossier - è che "l'uso di questo congegno è stato a lungo dibattuto negli USA, almeno dal 2000. Ma, dopo forti pressioni della lobby petrolifera, nel 2003 lo US Mineral Management Service concludeva che questi sistemi non sono raccomandati perché tendono a essere troppo costosi". Insomma per lo Stato americano la sicurezza è un optional troppo costoso, anche per la più grande holding petrolifera del mondo, che solo nel primo quadrimestre 2010 ha fatto profitti per quasi 6 miliardi di dollari, e per attività di lobby al Congresso USA ha speso non meno di 3,5 milioni di dollari!

Il governo e le autorità statunitensi al servizio dei pescecani del petrolio devono pagarla cara
"Le autorità Usa hanno dato via libera ad una serie di trivellazioni petrolifere, in particolare in Alaska e nel Golfo del Messico, senza tutti i permessi necessari richiesti dalla legge in vigore", scrive il New York Times, in particolare "l'agenzia federale, il Minerals Management Service (Mms), avrebbe autorizzato trivellazioni senza il via libera del National Oceanic Atmospheric Administration (Noaa), l'agenzia responsabile per la protezione delle specie minacciate e per i mammiferi marini, e in alcuni casi nonostante il Noaa avesse avvertito del potenziale impatto del pozzo sull'ambiente". Mms avrebbe in particolare "ignorato, a diverse riprese, i pareri dei suoi biologi sui rischi in Alaska e nel Golfo causati dalle trivellazioni della BP".
Sotto accusa è dunque il governo degli Stati Uniti e personalmente il presidente Obama. Come per la falsa riforma della sanità che non ha osato toccare i monopoli privati che speculano sulla salute della popolazione, così egli non ha mosso un dito per recidere la stretta relazione che esiste tra i petrolieri e l'agenzia federale che rilascia i permessi che ha anche il compito di non autorizzare e bloccare le nuove trivellazioni né per far rispettare la moratoria alle estrazioni petrolifere "offshore" negli USA. Eppure, "il presidente dell'energia pulita", conosceva bene i precedenti. Nel 1969 esplodeva la piattaforma Santa Barbara (California): in dieci giorni, furono rilasciate in mare 12-13.000 tonnellate di petrolio. Almeno 10.000 uccelli furono uccisi. Dieci anni dopo era la volta della Ixtoc 1, della compagnia di Stato messicana PeMex: 450-480.000 tonnellate di petrolio furono rilasciate in mare nell'arco di oltre 9 mesi, nel Golfo del Messico. Per quanto si trattasse del maggior rilascio di petrolio in mare mai registrato, con danni anche negli USA, la PeMex non volle mai pagare. Migliaia di tartarughe marine furono sgomberate con gli aerei dalle spiagge messicane, gravemente contaminate. Senza contare i pesanti rilasci di petrolio che furono causati dalle 30 piattaforme danneggiate o affondate dall'uragano Katrina, nel 2005: proprio in Louisiana.
Dopo oltre due settimane dalla calamità (il boia Bush ce ne mise una per realizzare quanto accaduto a New Orleans) tutto ciò che Obama è stato capace di proporre al Congresso è "una tassa supplementare sul greggio per contrastare gli effetti economici ed ambientali della marea nera che dal Golfo del Messico minaccia le coste americane". Se dovesse essere approvata le compagnie petrolifere vedrebbero aumentare dell'uno per cento l'attuale tassazione sul barile destinata a coprire gli eventuali danni ambientali, il cosiddetto Oil Spill Liability Trust Fund. In pratica, ciò si tradurrebbe in un aumento di un centesimo di dollaro al barile (la tassa passerebbe da 8 a 9 cents). Bazzecole.
Stando così le cose è prevedibile che a breve l'opinione pubblica mondiale verrà narcotizzata fino alla prossima catastrofe e non c'è da stare sicuri neanche che pagherà i danni ambientali che la marea nera sta causando e causerà? Dopo il disastro della Exxon Valdes, la Exxon Mobil era stata inizialmente condannata a pagare 287 milioni di dollari di danni e 5 miliardi di dollari come ammenda (anche per risarcire i danni ambientali). Dopo due decenni di appelli e perizie in tribunale, il 25 giugno 2008, la Corte d'Appello decise che Exxon doveva pagare soltanto 500 milioni di dollari.
Intanto i pescatori (soprattutto di ostriche e gamberi) si stanno attrezzando per organizzare una "class action" (azione legale collettiva) per chiedere a BP almeno 5 miliardi di dollari. Altri ingenti danni economici potrebbero essere richiesti dal settore turistico che rischia di crollare e provocare altri licenziamenti di massa.

Fermare subito la gigantesca marea nera
Attualmente la priorità assoluta è trovare un sistema rapido ed efficace per fermare l'espandersi della gigantesca marea nera, anche perché sul Golfo del Messico incombe la stagione dei tifoni e degli uragani che rallenteranno le operazioni. Non deve assolutamente ripetersi la vicenda del pozzo della piattaforma Ixtoc 1 esploso nel giugno 1979 che venne chiuso solo nel marzo 1980!
Un rischio concreto perché nello stupore del mondo intero ogni giorno che passa governo e BP dimostrano di non sapere che pesci prendere! Dopo il fallito tentativo di chiudere le valvole della testa di pozzo con un robot filoguidato (ROV, remote operated vehicle), ha provato con la cosiddetta "Cupola di contenimento", detta "top hat", cioè una sorta di struttura a coperchio di acciaio e cemento armato, che è stata disegnata per aspirare il petrolio dal pozzo sottomarino e trasportare questa massa su una petroliera che si trova in superficie. I primi tentativi con il "siringone" sono falliti perché la condotta che sta perdendo petrolio è da tagliare in almeno tre punti e le perdite di petrolio, che fuoriesce anche da fessurazioni nel fondo marino, possono essere bloccate solo scavando un altro pozzo (a circa mezzo miglio di distanza dicono gli esperti) per "togliere pressione" al pozzo in perdita.
Tecnici di tutto il mondo stanno provando a dare consigli e a trovare soluzioni per limitare i danni: protesi di solventi che portino in superficie il greggio, aggreganti che lo mandino a fondo, "salsicce" galleggianti, natanti succhia-greggio, incendi controllati, campane, cupole, detriti. Qualcuno ha proposto di congelare le tubature con azoto liquido per creare un tappo di ghiaccio, altri di costruire una serie di mura di acciaio intorno alla piattaforma, e non mancano le idee stravaganti come quella di riempire il mare di capelli o di fieno o quella di "sparare" rifiuti direttamente sul fondale.
L'ipotesi certamente più folle, che ha avuto guarda caso vasta risonanza mediatica e un primo tetro consenso del presidente Obama, è quella di "esplosioni nucleari controllate" che è stata prospettata in un articolo del quotidiano russo Komsomoloskaya Pravda, il quale tra l'altro ci informa che ai tempi dell'Unione Sovietica (socialimperialista) "questo metodo è stato usato almeno 5 volte la prima per spegnere i pozzi a gas di Urt Bulak, il 30 settembre 1966. La carica usata fu da 30 chilotoni, una volta e mezza quella di Hiroshima, e fu fatta esplodere a 6 chilometri di profondità". Questa esplosione sotterranea dicono i tecnici nucleari e della Nasa farebbe in modo di spingere le rocce facendo loro chiudere la falla. Purtroppo però il metodo, almeno ufficialmente, non è stato mai testato sott'acqua e anche un bambino comprende i rischi, non solo di aggiungere al petrolio l'ancora più micidiale e irreversibile inquinamento radioattivo, ma anche di provocare un grande maremoto, come quello che ha devastato l'Indonesia. Giusto quello che mancava alla martoriata Louisiana e agli altri Stati del Golfo già stuprati dall'imperialismo americano.

19 maggio 2010