Nonostante l'elettorato abbia sfiduciato il neoduce
Ciampi rilancia Berlusconi affidandogli l'incarico di formare un "nuovo governo"
Va buttato giù dalla piazza

La crisi nella maggioranza di "centro-destra" apertasi dopo la batosta elettorale delle regionali si è consumata velocemente, con una crisi di governo "pilotata" che Berlusconi ha condotto sbrigativamente e fuori da tutte le regole costituzionali, da lui sprezzantemente definite un' "inutile liturgia", e si è conclusa con un "nuovo governo" che lo vede ancora saldamente in sella. Un "Berlusconi-bis", rimpastato quel tanto che basta a tacitare i malumori dei suoi alleati di AN e UDC con qualche ministro e una manciata di sottosegretari in più e qualche giro di poltrone; ma anche rafforzato abbastanza nel suo "nocciolo duro" rappresentato dall'asse privilegiato con la Lega di Bossi, attraverso il ripescaggio di Tremonti e il mantenimento di Calderoli al ministero-chiave delle Riforme istituzionali, da consentire al neoduce di continuare nell'attuazione del suo programma neofascista, presidenzialista e federalista fino alla fine della legislatura.
La crisi nella Casa del fascio, provocata dal crollo elettorale del 3-4 aprile, era stata aperta per primo dal partito di Fini, che con un articolo sul "Secolo d'Italia", poi sconfessato per ragioni "diplomatiche", si interrogava sulla possibile "fine del berlusconismo". Ai fascisti di AN si univano ancora una volta i democristiani dell'UDC a chiedere una "discontinuità" nel governo, con un ridimensionamento del cosiddetto "asse del nord" tra Berlusconi e Bossi, anche a livello di ministeri, e una politica di governo più caratterizzata in senso "sociale", cioè verso i redditi familiari, le imprese e il Mezzogiorno. L'UDC insisteva anzi per l'apertura di una crisi formale di governo, non contentandosi dell'offerta di Berlusconi di un mini-rimpasto di governo, con al massimo un passaggio parlamentare che gli rinnovasse la fiducia della maggioranza.
Di fronte alla sordità del premier, che si rifiutava di riconoscere la gravità della sconfitta elettorale e pretendeva di tirare dritto con qualche ritocco di facciata agitando anzi lo spauracchio delle elezioni anticipate, Follini, non seguito in questo da Fini, finiva per ritirare tutti i ministri UDC dal governo, promettendo solo un "appoggio esterno" a Berlusconi in parlamento. A questo punto è iniziato un estenuante braccio di ferro tra il neoduce e i suoi alleati democristiani, con Fini che rimaneva alla finestra a guardare.

Il golpe bianco di Berlusconi
Per dichiarare la crisi, Berlusconi, spalleggiato da Bossi, pretendeva che Follini gli firmasse un documento che lo blindava come presidente del Consiglio, garantendolo da eventuali imboscate e "ribaltoni". Ma Follini non abboccava e alla fine il neoduce, non potendo dilazionare ulteriormente un "chiarimento" politico della crisi di fatto che si era venuta a creare, è sembrato rassegnarsi e si è impegnato con Fini e Follini a salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni e aprire formalmente la crisi.
Senonché, dopo essersi consultato di nuovo con Bossi, si è rimangiato tutto, e a Ciampi ha detto di non volersi più dimettere, ma di volersi solo presentare in parlamento, sfidando implicitamente Fini e Follini a farlo cadere e a provocare le elezioni anticipate con le loro stesse mani. Si trattava di un vero e proprio golpe bianco, una violazione di tutte le regole e consuetudini istituzionali, un atto d'imperio col quale il neoduce si comportava come se il premierato di stampo mussoliniano previsto dalla costituzione neofascista approvata in prima lettura dal parlamento nero fosse già pienamente in vigore.
Ciononostante Ciampi, comportandosi come Vittorio Emanuele III con Mussolini, ha chiuso tutti e due gli occhi e glielo ha lasciato fare, raccomandandogli solo di presentarsi "senza indugio" in parlamento. L'atto di forza del neoduce non è riuscito del tutto, perché a quel punto anche Fini, sentendosi ridicolizzato dalla mossa a sorpresa di Berlusconi, ha minacciato di ritirare i ministri di AN dal governo, e alla fine il neoduce ha dovuto cedere e accettare di recarsi in parlamento solo per dichiarare la crisi.
Cosa che però ha fatto ancora una volta a modo suo, cioè con piglio arrogante e ducesco, ostentando insofferenza come se la procedura costituzionale prevista per le crisi di governo fosse un odioso e sorpassato rituale, un'inutile perdita di tempo, destinata ben presto ad essere spazzata via dalla controriforma neofascista a cui manca solo l'ultimo timbro in parlamento per essere finalmente varata. Infatti nel suo discorso in Senato del 20 aprile non ha nemmeno detto di essere venuto ad annunciare le sue dimissioni, ma solo per un "atto di chiarimento politico". La pesante sconfitta elettorale della Casa del fascio, dovuta in massima parte al suo stesso partito, era stata per lui solo un "segnale di disagio", e la crisi nella maggioranza solo "una fase di difficoltà" destinata ad essere presto superata "rafforzando la compagine di governo".
"Nei paesi europei dove il sistema istituzionale già lo consente - ha quindi concluso il neoduce squadernando la sua concezione mussoliniana del potere - il Premier eletto direttamente dal popolo adegua la squadra di governo ogni volta che si presenta la necessità sotto la sua diretta responsabilità, senza lunghe ed estenuanti crisi politiche e verifiche parlamentari. Così si fa nelle più avanzate democrazie occidentali. Per conseguire questo risultato, il sistema costituzionale del nostro Paese richiede invece una serie di passaggi formali, a partire naturalmente dalle formali dimissioni del governo. La riforma costituzionale di questa maggioranza adeguerà il nostro sistema di governo alle moderne democrazie. Ma ora, dovendo dar vita ad un nuovo governo, non mi posso sottrarre al passaggio attraverso una formale crisi di governo".

Un "Berlusconi-bis" in 72 ore
Subito dopo, facendo seguire alle parole i fatti, il neoduce ha condotto la crisi a passo di carica, come una formalità da sbrigare in fretta, chiedendo addirittura a Ciampi, dopo aver ricevuto da lui l'incarico a formare il "nuovo" governo, di "sbrigarsi" a fare le consultazioni perché tanto lui aveva già la nuova lista dei ministri in tasca. Ciampi non solo non l'ha mandato a quel paese, ma gli ha chiesto quasi scusa per la procedura obbligata, e gli ha semplicemente consigliato di prendersi "un giorno di riflessione in più". Consiglio che del resto Berlusconi ha del tutto ignorato, chiudendo la crisi in sole 72 ore e con più o meno la lista dei ministri che aveva in mente all'inizio.
Gli è riuscito anche di tenere duro sul ministero delle Riforme alla Lega, che AN e UDC volevano toglierle. Anzi, per soprammercato ha calato pure l'asso Tremonti, che va ad affiancare Fini alla vicepresidenza del Consiglio: una vera beffa per il leader fascista, che la scorsa estate aveva minacciato la crisi di governo pur di estromettere dalla finestra l'allora ministro dell'Economia, che oggi rientra dalla porta con grande giubilo della Lega, che tramite lui rafforza l'asse privilegiato con Berlusconi. Ciò è stato possibile al neoduce sfruttando abilmente sia l'autoisolamento dell'UDC che le difficoltà di Fini alle prese con le faide interne ad AN tra i suoi "colonnelli" per la spartizione delle poltrone ministeriali.
Allo stato dei fatti sono perciò del tutto infondate ed illusorie le dichiarazioni trionfanti dei leader opportunisti e rimbambiti del "centro-sinistra", che danno un giudizio scioccamente falsato e riduttivo del "Berlusconi-bis": un "governo degli sconfitti", secondo Prodi. Un "governo della disperazione", secondo Fassino. Un "governo fotocopia di un fallimento", a detta di Rutelli. Un "governo di trombati", per Pecoraro Scanio, e così via.

Ciampi copre gli strappi costituzionali del neoduce
In cuor loro i leader della "sinistra" borghese non vogliono neanche accorciare la vita a questo "nuovo" governo, ma sperano che duri fino alla fine della legislatura, logorando la maggioranza che lo sostiene e dando loro invece tutto il tempo per prepararsi alle elezioni del 2006, raccattando magari per strada qualche transfuga dell'UDC. Anche il presidente della Confindustria, Montezemolo, dopo aver forse nella prima fase spinto avanti Follini e Casini, ha chiesto ai leader dell'Unione di lasciar governare il "Berlusconi-bis", perché data la pesante situazione economica il Paese ha bisogno di un "governo che governi".
Inoltre i partiti dell'Unione si sentono appagati e garantiti dall'apparente ruolo di Vittorio Emanuele Ciampi in "difesa" della Costituzione, fingendo di non capire che la sua è solo una difesa a parole (quella che ha fatto per esempio a Milano il 25 Aprile), mentre nei fatti lascia passare senza fiatare i ripetuti golpe bianchi e gli strappi costituzionali del neoduce Berlusconi, che di fatto anticipano e attuano la costituzione neofascista, presidenzialista e federalista.
Eppure che questa visione consolatoria delle situazione politica sia totalmente falsa lo dimostra chiaramente lo stesso discorso con cui Berlusconi ha presentato il suo governo-bis alla Camera, in cui ha ribadito con forza e arroganza che egli intende sfruttare questo anno fino in fondo per completare il suo programma, in particolare facendo approvare la controriforma costituzionale in tempi tali da far cadere il referendum nella seconda metà del 2006, cioè dopo le elezioni politiche, come ha sempre detto.
Tutto ciò a ulteriore conferma di quanto sarebbe miope e suicida concedere tregua al neoduce Berlusconi e al suo governo neofascista. Occorre invece buttarlo giù con la lotta di piazza, e subito, prima che abbia il tempo di arrecare altri devastanti e irreparabili danni al Paese.

27 aprile 2005