Lo rivela un'indagine dell'università Tsinghua di Pechino
Il 92% dei cinesi si dichiara "infelice"
Almeno 30 mila operai muoiono ogni anno per supersfruttamento. Molti altri si suicidano nelle fabbriche

Nella Cina che sta per diventare la seconda economia capitalista mondiale ben il 92% della popolazione si dichiara "infelice", il che la dice lunga su come è costruito il cosiddetto "miracolo cinese"; sul supersfruttamento dei lavoratori e i sacrifici imposti alle masse popolari.
Un cinese su dieci ha dichiarato di "essere infelice" nel test effettuato nel corso di una recente indagine dell'università Tsinghua di Pechino e pubblicata sul China Daily, la versione inglese del giornale del partito revisionsita cinese. I ricercatori hanno scelto un campione rappresentativo di centomila cinesi, a Pechino, Shanghai, Shenzhen e in dieci villaggi rurali, dal quale estrapolare i dati riferiti ai quasi 1,5 miliardi di abitanti. L'università ha avviato la ricerca dopo la pesante catena di suicidi tra gli operai della Foxconn di Shenzhen e ha rilevato che il il 92% degli intervistati si è dichiarato infelice; un altro 57% della popolazione si è dichiarata "estremamente scontenta" e il 70% si considera "spaventato dalle difficoltà della vita". Un 39% ha affermato di essere consumato dall'insonnia mentre otto salariati su dieci hanno affermato di essere dipendenti dai farmaci. Solo il 3% ha detto di essere "soddisfatto".
Le ragioni dell'infelicità stanno nei salari insufficienti, nelle condizioni di lavoro insopportabili, nella concorrenza professionale spietata, nelle disuguaglianze sociali esplosive e nei pesanti mutui contratti per la casa. Sono almeno 500 milioni i migranti dalle zone rurali che soffrono di "sradicamento", 600 milioni i residenti metropolitani che soffrono di "solitudine", 700 milioni gli anziani che denunciano "abbandono e assenza di assistenza medica", 300 milioni gli studenti colpiti da "ansia da prestazione e paura della disoccupazione", 400 milioni gli operai che soffrono di "espulsione dalla famiglia e trattamento disumano". Alcune delle conseguenze di tali condizioni sono, secondo una stima dell'Organizzazione mondiale della sanità, i 3,5 milioni di tentati suicidi all'anno e 300 mila vittime.
Cresce l'economia capitalista cinese, crescono i miliardari e crolla l'indice di felicità del paese che negli ultimi dieci anni è sceso al 2,17, rispetto ad un massimo di 5; il dato è tra i più bassi del mondo e pone la Cina all'ultimo posto sia tra le potenze economiche che tra le nazioni in via di sviluppo.
Un'altra indagine ha individuato che i "tre anelli deboli" del successo economico della Cina capitalista sono i giovani, le donne e gli operai migranti. I giovani, ha affermato un ricercatore, "sono costretti a giocarsi la vita con il gaokao, l'esame di ammissione all'università. Ormai si fonda sulla corruzione ma chi fallisce è condannato e ogni anno, in giugno, si registrano centinaia di suicidi". Le donne "sono l'unica categoria che in Cina, negli ultimi trent'anni, non ha ottenuto maggiori diritti. Nascono indesiderate, vivono abbandonate e costrette a sopportare ciò che resta della famiglia. Non è un caso se il nushu, la lingua segreta delle mogli infelici, sta tornando di moda". Per quanto riguarda gli operai, ha sottolineato un docente di Economia del lavoro all'università di Shanghai, ce ne sono almeno 30 mila che muoiono ogni anno a causa del karoshi, la sindrome da superlavoro cronico". Una patologia dovuta al lavoro con turni di 12 ore al giorno, a mangiare e dormire in ufficio, o dentro la fabbrica, che dimezza l'attesa di vita. Tremende condizioni di lavoro che, ha sostenuto il docente, "investe in particolare i cinesi tra i 20 e i 35 anni, specie se dipendenti delle multinazionali straniere" che hanno delocalizzato le produzioni in Cina.
I capitalisti cinesi non sono certo da meno tanto che sono diventati un numero record i miliardari sotto i 30 anni.

22 settembre 2010