Col pretesto di svuotare le carcere dai disperati
Colpo di spugna su corrotti, corruttori, concussori, voto di scambio politico mafioso
Cgil, Cisl e Uil denunciano l'esclusione dei reati contro i lavoratori. Salvati i "furbetti del quartierino"
Il governo cede a Forza Italia
Due giorni dopo la prima approvazione alla Camera, il 29 luglio anche il Senato ha definitivamente approvato a tempo di record il disegno di legge n.241 2006, "Concessione di indulto", già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 luglio e in vigore dal 1° agosto, che prevede uno sconto di pena di tre anni per chi ha commesso reati fino al 2 maggio 2006.
I sì sono stati 245, i no 56, gli astenuti 6. I due terzi dell'assemblea previsti dalla Costituzione necessari per l'approvazione di questa tipologia di provvedimenti, occorrevano 216 voti, sono stati garantiti dal sì trasversale e compatto di Forza Italia, dell'Udc e dell'Unione.
Alla proposta di legge si è opposto il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, autosospesosi per protesta, e il suo partito Italia dei Valori, che conta cinque senatori. Contro il provvedimento si sono schierati anche la Lega Nord, parte di Alleanza Nazionale e tre senatori dell'Ulivo: Gerardo D'Ambrosio, Valerio Zanone e Domenico Fisichella.
Secondo i calcoli del governo, grazie all'indulto dovrebbero tornare in libertà moltissimi detenuti definitivi: fino a 20 mila persone delle 38.086 che in carcere stanno scontando una condanna passata in giudicato.
Spacciato dalla maggioranza come un provvedimento a favore delle migliaia di "disperati" che affollano le carceri in seguito a condanne per reati minori, in realtà la legge va ben oltre perfino il "segno di clemenza" imposto alle Camere dal papa nero Wojtyla nel corso della passata legislatura.
Si tratta infatti di un odioso colpo di spugna giudiziario perpetrato dal governo borghese di "centro-sinistra" per salvare dalle patrie galere soprattutto i tangentisti, corrotti, corruttori e concussi, con alla testa "l'avvocato degli affari sporchi Berlusconi" Cesare Previti, che esce subito dagli arresti domiciliari, ivi incluso chi è stato condannato o accusato di reati finanziari, societari, tributari, fiscali e contro la pubblica amministrazione, come ad esempio i "furbetti" del quartierino, i protagonisti della tangentopoli bancaria, come Fazio e Consorte; e ancora Tanzi, Tonna e Cragnotti, che hanno rovinato migliaia di piccoli risparmiatori con i fallimenti di Parmalat e Cirio, e perfino chi è accusato di voto di scambio con la mafia.
Previti deve scontare cinque anni per una sentenza passata in giudicato. Con l'indulto la pena si riduce a due anni e quindi scattano i previsti provvedimenti alternativi come ad esempio l'affidamento ai servizi sociali, ossia libero senza aver fatto nemmeno un giorno di cella!
Tant'è vero che l'ex magistrato Gerardo D'Ambrosio, ora senatore dell'Ulivo e membro della Commissione Giustizia alla Camera, nell'annunciare la sua contrarietà al provvedimento ha commentato che l'indulto: "Non aiuta i poveri disgraziati, ma solo i delinquenti che si dedicano al crimine per scelta". In aula aveva presentato anche un emendamento che mirava a diminuire lo sconto di pena da tre anni a un anno che però il Senato ha respinto.
Dunque, arrivato a Palazzo Chigi con la promessa solenne di farla finita con le "leggi ad personam", Prodi e il suo governo invece sono riusciti in pochi mesi a fare ciò che Berlusconi non è riuscito a fare in 5 anni annullando di fatto anche quelle poche condanne a carico degli altrettanti pochi tangentisti che sono finiti nelle grinfie della magistratura.
Altro che "guerra totale all'evasione fiscale" come promesso in campagna elettorale. Altro che "la serietà al governo del Paese". Questo provvedimento è peggio dell' "indultino", della depenalizzazione del falso in bilancio e di tutte le altre leggi e leggine varati ad hoc dal passato governo!
È un provvedimento di chiaro stampo fascista, classista e antioperaio perché salva i grandi criminali a livello politico e padronale e si accanisce contro gli operai e tutto il movimento anticapitalista e antimperialista.
È vero che lo sconto di pena non è applicabile ai reati di terrorismo (compresa l'associazione eversiva), strage, banda armata, schiavitù, prostituzione minorile, pedo-pornografia, tratta di persone, violenza sessuale, sequestro, riciclaggio, associazione mafiosa e usura (reato quest'ultimo che in un primo momento era stato incluso nell'indulto salvo poi accorgersi che ciò era in pieno contrasto con la legge antiusura ndr); ma è altrettanto vero che la legge, tra l'altro scritta in un linguaggio tecnico a dir poco incomprensibile, salva chi ha violato l'articolo 416-ter del Codice penale sul voto di scambio (che punisce chi chiede i voti alla mafia in cambio di denaro) ossia tutti quei capibastone politici come ad esempio Dell'Utri accusati di reati politico-mafiosi che grazie all'Ulivo la faranno franca.
Dell'indulto, giustamente, non potrà beneficiare chi è accusato di produzione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, ma esclude dalla "clemenza" anche chi è finito ingiustamente dentro per consumo di queste sostanze. Ossia le migliaia di giovani, vittime della droga, finiti in manette in base alla legge fascista Fini che mette sullo stesso piano produttori, trafficanti e spacciatori e i consumatori. Un'impostazione ideologica che evidentemente l'Ulivo condivide in pieno.
Così come non avranno alcun beneficio le migliaia di operai, giovani, studenti e no-global protagonisti delle lotte anticapitaliste e antimperialiste, vedi ad esempio Napoli e Genova 2001, ingiustamente accusati o processati per "devastazione e saccheggio" perché tali reati non sono inclusi nel provvedimento.
I padroni, invece, accusati di reati contro i lavoratori, di sfruttamento del lavoro nero, violazione della 626 per la tutela della salute e la sicurezza nei posti di lavoro, e che perciò sono i primi responsabili delle centinaia di migliaia di morti e infortuni sul lavoro all'anno, la faranno franca specie in caso di patteggiamento della pena.
Tra l'altro questa è la prima volta nella storia della nostra Repubblica che i reati contro il lavoro vengono depenalizzati.
Una odiosa disparità di trattamento che i segretari Cgil Cisl Uil competenti in materia di salute e sicurezza del lavoro hanno giustamente denunciato il 2 agosto con una dichiarazione congiunta in cui fra l'altro si legge che: "Il provvedimento sull'indulto comporta un rilevante sconto di pena anche per le violazioni delle norme in materia di salute e sicurezza del lavoro (oltre quelli già previsti per motivi sostanziali e di rito quali il patteggiamento e il rito abbreviato).
Considerando che gli omicidi colposi da infortunio sul lavoro e da malattie di origine professionale non vengono per lo più sanzionati con pene superiori a quelle previste dall'indulto ciò implica di fatto che questa tipologia di reati risulterà nella stragrande maggioranza impunita. Analogamente per quanto riguarda le pene pecuniarie, escludendo quelle superiori ai 10.000 euro, il provvedimento sembra interessare in maniera particolare proprio i reati commessi a violazione delle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Per non parlare poi dei lavoratori colpiti dalle patologie dell'amianto, ad esempio, che vedono pregiudicate, con la cancellazione della pena, anche le concrete possibilità di risarcimento.
Per questi motivi il sindacato valuta particolarmente grave la non esclusione dal provvedimento di indulto dei reati contro i lavoratori".
La sconcertante verità che sta dietro alle violente polemiche che hanno accompagnato l'iter della legge riguarda proprio l'estensione dell'indulto ai reati di corruzione e concussione contro lo Stato. Su questo punto, il governo, pur di portare a casa il provvedimento si è letteralmente calato le brache davanti a Berlusconi e a Forza Italia che, senza l'estensione dei benefici a favore dei tangentisti avrebbero votato contro facendo così mancare il "quorum" necessario per l'approvazione di questa legge che, secondo quanto scritto sulla Costituzione, ha bisogno dei voti favorevoli dei due terzi dell'aula parlamentare.
Del sovraffollamento delle carceri all'Ulivo non interessa un bel niente. Perché se il problema da risolvere era questo si doveva varare non un indulto generalizzato ma procedere con l'immediata abrogazione di tutte le sanzioni previste dalla legge Bossi-Fini che ogni anno, secondo i dati del ministero, portano in carcere 11.500 persone che non hanno commesso nessun reato o delitto se non quello di entrare clandestinamente in Italia. Inoltre, se la pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento nella vita sociale dei detenuti, perché, in alternativa all'indulto non si è pensato di abrogare anche le pene introdotte da Fini-Giovanardi contro i tossicodipendenti e gli alcoldipendenti, che sono il 30% dei detenuti, in modo da trasferirli dalle celle nelle comunità terapeutiche per il recupero?

6 settembre 2006