Nominati dai presidenti delle Camere
Nella Commissione antimafia i pregiudicati Pomicino e Vito
Il presidente Forgione (PRC) si dimetta
Ci risiamo, alla faccia del "rinnovamento" che avrebbe dovuto portare il cambio di maggioranza: nella nuova Commissione parlamentare bicamerale antimafia, recentemente insediata a sette mesi dalle elezioni sotto la presidenza di Francesco Forgione (PRC), siedono ben due pregiudicati condannati per corruzione, oltre ad alcuni parlamentari indagati per corruzione o rapporti con la criminalità organizzata.
Si tratta dell'ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, attualmente deputato della nuova DC di Rotondi alleata alla Casa del fascio e di Alfredo Vito, deputato di Forza fascisti, entrambi condannati per corruzione politica con sentenze passate in giudicato: il primo, detto a Napoli "il vicerè", più volte ministro nei governi DC-PSI ai tempi di Tangentopoli, condannato a un anno e otto mesi per una tangente Enimont, e a due mesi con patteggiamento nel processo per i fondi neri dell'Eni; il secondo, detto anche "mister centomila preferenze" per la macchina fabbricavoti che era riuscito a mettere in piedi a Napoli come boss democristiano, condannato a due anni di reclusione quale reo confesso di aver intascato 22 mazzette. Quest'ultimo riuscì ad evitare il carcere restituendo 5 miliardi e promettendo ai giudici di non occuparsi più di politica, salvo poi cambiare idea iscrivendosi a FI e facendosi di nuovo eleggere in parlamento.
Completano il quadro i forzafascisti Carlo Vizzini, indagato per la maxitangente Enimont (300 milioni di finanziamento illecito da parte della Ferruzzi) e salvato dalla condanna grazie alla prescrizione, e il senatore Franco Malvano, ex questore di Napoli, avversario della Iervolino alle comunali di Napoli, indagato nel 2005 per concorso esterno in associazione camorristica: il procedimento si concluse con l'archiviazione, ma resta agli atti quel che disse di lui il boss pentito Luigi Giuliano, secondo il quale Malvano era stato "nelle mani della camorra" per diverso tempo.
È in questa bella compagnia che la nuova Commissione bicamerale dovrebbe indagare sul fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso o similare? Secondo Forgione e i parlamentari dell'Unione ciò non presenta alcun problema ed è perfettamente legale. Contestato da alcuni giovani studenti anticamorra durante il suo intervento agli Stati generali dell'antimafia organizzati a Roma dall'Associazione "Libera" di don Luigi Ciotti, il presidente della commissione ha infatti risposto tranquillamente che "non esiste un limite di mandato per i parlamentari, che dunque possono far parte anche di una commissione antimafia". Del resto il deputato di Rifondazione trotzkista è stato uno dei più accaniti avversari dell'emendamento che nel luglio scorso fu presentato da alcuni parlamentari nel tentativo di vietare ai deputati e senatori pregiudicati, inquisiti o implicati in affari di mafia di far parte della commissione; emendamento che fu poi bocciato a stragrande maggioranza dai parlamentari di entrambi gli schieramenti.
A chi come Nando Dalla Chiesa dalle colonne de "l'Unità" critica la scandalosa composizione della commissione, Forgione ribatte con l'accusa di "spargere veleni" per "delegittimare l'istituzione", e si scaglia contro il "clima pericoloso che si respira in vari settori dell'informazione e dei cosiddetti movimenti, per cui destra e sinistra sono uguali, la politica è tutto scambio e inciucio". Si è anche distinto per aver dichiarato, dopo la sua elezione avvenuta a grande maggioranza anche con molti voti della Casa del fascio, che "va superata la dimensione giudiziaria della lotta alla mafia". Frase che ha indignato per la sua ambiguità anche l'"Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili", che l'ha stigmatizzata con un comunicato di protesta.
Né può valere da attenuante la scusa, addotta dai partiti dell'Unione, che essendo Pomicino e Vito stati presentati dai propri partiti, nessuno può farci nulla, neanche il presidente della commissione. Falso, perché se è vero che i componenti della commissione sono proposti dai rispettivi partiti, la loro nomina spetta per legge ai presidenti delle Camere di appartenenza, nel caso specifico a Bertinotti, che comunque ha avuto l'ultima parola e avrebbe potuto rifiutarsi. Invece non solo non lo ha fatto, ma ha avuto anche l'arroganza di troncare ogni polemica dichiarando nella trasmissione "Porta a porta", a proposito della presenza dei due pregiudicati: "La Commissione antimafia c'è e - per favore - lavori. Accantonerei ogni altra questione". Imitato seduta stante dal suo compare Marini, che ha aggiunto con altrettanta iattanza: "Sono stati eletti e quindi finiamola".
Del resto, che cosa aspettarsi dall'ambizioso servo delle istituzioni borghesi Bertinotti e dal suo protetto Forgione, visto che la presidenza dell'Antimafia è stata data al PRC come "premio" di consolazione per essersi visto soffiare quella della Commissione difesa del Senato, a cui aveva candidato la "pacifista" Lidia Menapace (recentemente convertita all'interventismo più acceso) e assegnata invece all'IdV Sergio De Gregorio, eletto con i voti della Casa del fascio?
Ammesso e non concesso che Bertinotti non avesse potuto opporsi alla nomina dei due pregiudicati, e nemmeno protestare energicamente sollevando il caso scandaloso anziché coprirlo, restava pur sempre la strada delle dimissioni di Forgione, che in nessun caso avrebbe dovuto accettare di presiedere una commissione inquinata e delegittimata. Ma figurarsi se il partito della Rifondazione trotzkista, dopo aver già perso una più succulenta presidenza di commissione, rinunciava anche a quella di consolazione! E in nome di che cosa poi? Per l'affermazione di un "astratto principio" di rigore morale e di coerenza politica? E invece è proprio quello che Forgione dovrebbe fare, se avesse un briciolo di dignità: dimettersi. Altrimenti significa coprire in nome di un carrierismo opportunista la sfida arrogante della Casa del fascio a tutti quelli che si rifiutano di piegarsi all'invadenza delle mafie nella società, nella politica e nelle istituzioni.

6 dicembre 2006