Ispirate dalle teorizzazioni degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi
Indecenti proposte di legge Pd per il "contratto unico d'inserimento"
Libertà di licenziamento nei primi 36 mesi dall'assunzione. Prevista una modesta liquidazione di fine rapporto. Salario minimo orario deciso dal governo
No ad una riunificazione del "mercato del lavoro" con meno diritti per tutti

Da quando i due economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi pubblicarono nel 2008 un libro da titolo: "Un nuovo contratto per tutti" sia al Senato che alla Camera sono state presentate una serie di proposte di legge che si ispirano alle teorizzazioni dei suddetti economisti. La cosa curiosa è che queste proposte di legge sono tutte di marca PD, e portano la firma di differenti deputati e senatori del partito di Bersani. Il senatore Pietro Ichino, famigerato per aver anticipato Brunetta nella odiosa campagna mistificatoria contro i pubblici dipendenti, definiti da lui "fannulloni" e "nullafacenti, è stato il primo a presentare (addirittura) due disegni di legge sull'argomento, il ddl n.1481/09 firmato da 34 senatori, e il ddl n. 1873/09 sottoscritto da 53 senatori ambedue denominati "Contratto di lavoro dipendente"; gli ha fato seguito Marianna Madia che assieme a un centinaio di deputati PD ha presentato il progetto di legge n.2630/09 denominato "Contratto unico d'inserimento formativo" (Cuif); Infine, è arrivato per ordine di tempo il ddl n.2000/10 con il titolo "Contratto unico d'ingresso" (Cui) proposto dal senatore Paolo Nerozzi e da altri 44 colleghi di partito.
Tutte queste proposte di legge partono da un dato che è davanti a tutti, innegabile, profondamente ingiusto e non più tollerabile. Nel corso degli anni si è assistito a un proliferare di contratti di assunzione precari, se ne contano ben 44, che hanno portato a una estrema frammentazione del "mercato del lavoro". In pratica un "mercato del lavoro" spaccato in due: da un lato le norme relative all'assunzione a tempo indeterminato, sindacalmente tutelato quanto meno nelle aziende sopra i 15 dipendenti dove agisce lo Statuto dei lavoratori, dall'altro le norme relative alla miriade di contratti precari senza o quasi tutele e senza o quasi diritti, previdenziali compresi.

Il precariato in Italia
A questo proposito sono riportati dei dati, per esempio nel ddl Nerozzi , dove si legge che a seguito dell'approvazione della legge 30 del 2003 nel nostro Paese sono proliferate, fonte Istat, ben 48 forme di prestazione lavorative (si sono dimenticati però di citare il "pacchetto Treu" del 1993 che a questa devastante evoluzione spalancò la strada). Forme che hanno eroso le possibilità di essere assunti con lavoro stabile e "che ormai raggiunge solo una quota residuale" e creato "un mercato di lavoro parallelo, strutturalmente precarizzato e sottratto al sistema legale di protezione". Si citano 5-6 milioni di lavoratori italiani che a tutt'oggi operano con contratti flessibili. Più alcuni milioni che operano nel sommerso, integralmente o parzialmente irregolari. Più altri 3 milioni di lavoratori, addetti alle cooperative, alle ditte di pulizia, ai servizi alla persona, alla sanità privata in condizioni di grave debolezza negoziale e perciò con condizioni di lavoro di supersfruttamento.
La precarietà significa anche bassi salari. Si cita l'esistenza di una larga area di lavoratori economicamente dipendente, integralmente sottratta alla contrattazione collettiva e dunque priva di parametrazione salariale. Si citano le stime della Banca d'Italia secondo cui le retribuzione medie dei lavoratori sono ferme al livello più basso di 15 anni fa e le stime dell'OIL secondo cui il salario lordo di un lavoratore italiano è oggi più basso del 32,3% rispetto alla media dell'Europa dei 15 paesi più sviluppati. Si citano le crescenti differenze salariali che si sono determinate tra lavoratore giovane e lavoratore adulto e tra le lavoratrici e i lavoratori.
Tutte le suddette proposte di legge, a parole e sulla carta, si propongono di trovare delle forme di riunificazione del "mercato del lavoro", o come affermano, superare la forma duale di esso e di una graduale e progressiva riunificazione delle tutele contrattuali e sindacali. Tutte propongono il contratto di lavoro a tempo indeterminato con un percorso lungo e accidentato per accedervi. Ma le proposte avanzate, ammesso che siano efficaci per conseguire questi obiettivi, suscitano fortissime obiezioni e risultano inaccettabili perché comporterebbero tale riunificazione, meno diritti per tutti, a partire dalla tutela principale dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori che verrebbe, di fatto, "congelato" nei primi tre anni di assunzione.

Il Ddl Nerozzi
Se è vero che tutti i ddl presentati da deputati e senatori PD si ispirano alle teorie di Boeri-Garibaldi, quello di Nerozzi ne è un'applicazione "fotocopia". Due le richieste principali: un contratto unico d'ingresso; un salario minimo legale per tutti coloro che non hanno il contratto nazionale. Il "cui", secondo i proponenti, dovrebbe diventare la forma tipica delle nuove assunzioni e avere carattere di lavoro fisso. Prevede però due fasi: una d'ingresso che dura 36 mesi e l'altra, se il rapporto va a buon fine, di stabilità. È chiaro che in questa prima lunga fase il padrone detiene un potere di ricatto enorme sul lavoratore che può licenziare liberamente, senza "giusta causa", basta che indichi generici motivi economici o organizzativi. Si sterilizza, di fatto, l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, anche se rimane formalmente in vigore per il licenziamento disciplinare e discriminatorio che ovviamente non sarà utilizzato. In caso di licenziamento entro questo periodo è prevista un'indennità tutto sommato misera nella misura di cinque giorni di paga per ogni mese lavorato, indennità che può raggiungere un massimo di 6 mesi di paga nei primi tre anni d'ingresso lavorativo.
Il contratto unico, proposto da Nerozzi non elimina tutte le forme di lavoro precarie. Rimangono ammessi i contratti a tempo determinato e i collaboratori coordinati continuativi (co.co.co.) sia pure, si afferma, con alcune restrizioni: Per il contratto a tempo sarebbe previsto solo per alcune fattispecie e con un contenuto minimo di qualificazione e di retribuzione sotto i 25 mila euro l'anno. Circa i co.co.pro essi possono essere utilizzati solo per le retribuzioni sopra i 30 mila euro annui. Sotto questo tetto salariale deve essere considerato un contratto unico d'ingresso. Molte le perplessità su queste proposte: il tetto delle 25 mila euro rischia di allargarne l'utilizzo a tutti gli impiegati dato che la loro retribuzione netta media annua è pari a 1.300-1.400 euro che perciò rischiano una precarizzazione generalizzata e indiscriminata; non si capisce poi come un co.co.co. che supera i 30 mila euro possa essere annoverato tra i "contratti unici" visto che è considerato legalmente un lavoratore autonomo (anche se nella realtà non lo è) e non può perciò diventare subordinato.
Il ddl Nerozzi prevede infine l'introduzione di un "salario minimo legale" per tutti tramite un'intesa tra le "parti sociali" entro sei mesi presso il ministero del Lavoro che stabilisca un compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporto di lavoro. In assenza di accordo sarà il Cnel a proporre una cifra poi approvata dal governo.

Il Ddl Ichino
La proposta di legge Ichino ha al suo centro il "contratto di transizione" che comprende un periodo di prova di sei mesi indipendentemente dal tipo di lavoro e tipo di professionalità richiesti, poi un periodo d'ingresso che può durare assai di più dei 3 anni proposti da Boeri-Garibaldi e infine, la stabilità del posto di lavoro, se arriverà per chi ci arriverà.. Si attiva con contratto collettivo tra un gruppo imprese e uno o più sindacati che si impegnano in un percorso per le assunzioni a tempo indeterminato con il massimo di flessibilità. Sarebbe questa la decantata flexsecurity. Nel lungo periodo d'ingresso, l'art.18 si attua solo per licenziamenti disciplinari e discriminatori, mentre per motivi economici e/o organizzativi aziendali il licenziamento è consentito liberamente. Il lavoratore non si può opporre, non può ricorrere al giudice per fare valere le sue ragioni. Nello schema Ichino è prevista però un'indennità di disoccupazione al pagamento della quale le imprese devono concorrere. Non è chiesta l'abolizione delle vigenti forme di lavoro precario ma solo misure per renderne più costoso l'uso. Alle aziende che hanno sottoscritto questo tipo di accordo viene anche richiesto un impegno per rioccupare il lavoratore "licenziato per motivi economici". Solo un cieco non vede che, in questa logica, i vantaggi dei padroni sono assai superiori di quelli dei lavoratori. La parte forte del rapporto di lavoro diventa più forte, e quella debole più debole.

La proposta di legge Madia
Il ddl legge per il "Contratto unico d'inserimento formativo" (Cuif) primo firmatario il deputato PD Marianna Madia, ma sottoscritto anche da Cesare Damiano ex ministro del welfare del governo Prodi, assomiglia molto alla proposta di legge Nerozzi. Per esempio per il periodo di ingresso pari a 36 mesi prima di raggiungere la stabilità per chi ci riesce, periodo nel quale l'impresa ha ampia facoltà di licenziare con i soliti motivi economici e/o organizzativi. Solo dopo i tre anni infatti si recupera l'applicazione piena del'art.18 dello "Statuto dei lavoratori". Le particolarità del ddl Madia stanno negli incentivi da dare alle imprese che fanno formazione.
Il ddl Madia prevede l'assorbimento dell'apprendistato, la cancellazione di alcune delle forme di precariato regolate dalla legge 30 e la reintroduzione delle causali per il contratto a termine e per l'uso dei contratti a progetto. Anche in questo caso si pensa inoltre di istituire "il salario minimo nazionale previsto unicamente per i soggetti ai quali non si applicano i Ccnl".
A fronte di ben quattro disegni di legge di marca PD tutti sullo stesso argomento c'è da registrare la posizione di Stefano Fassina, responsabile di Economia e Lavoro dello stesso partito il quale afferma in modo disarmante che la linea del "Contratto unico" non è la linea del PD (sic!), che si deve puntare al "diritto unico del lavoro", che è attraverso l'universalità del welfare che si riunisce il "mercato del lavoro", cercando di accorciare le distanze tra chi ha un contratto a tempo indeterminato e chi galleggia nella precarietà. Una posizione questa presentata ai parlamentari PD delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. Articolata nei seguenti punti: eliminare le tipologie contrattuali diverse dal contratto di lavoro dipendente (co.co.co., collaborazioni a progetto, contratti a chiamata, ecc.) con un compenso inferiore a 30 mila euro all'anno; introdurre i limiti di durata (massimo tre anni) per il contratto a tempo determinato; graduale convergenza dei diritti sociali per tutte le tipologie contrattuali. In particolare l'universalità dell'indennità di disoccupazione; introdurre il salario minimo per i lavoratori esclusi dai contratti nazionali di lavoro; più oneri sociali sui contratti a tempo determinato e sui contratti precari residui. Per Fassina è questa la via da percorrere per superare il "dualismo del nostro mercato del lavoro all'insegna di una realistica flex-security".
In conclusione, alla buon'ora e senza un minimo di autocritica, il PD si sta ponendo il quesito di come ridurre i contratti precari, come superare il dualismo del "mercato del lavoro" e come ricomporne la frammentazione. Ma la proposta, nelle sue diverse varianti, del "contratto unico d'inserimento" è da respingere con fermezza perché, nella logica dello scambio peraltro non conveniente e deleterio, rischia di ridurre i diritti anche a coloro che ancora ce l'hanno. Una proposta simile, se non identica, va ricordato, fu respinta risolutamente in Francia a colpi di scioperi generali e manifestazioni di piazza. Non si capisce perché i nostri lavoratori e i nostri giovani dovrebbero accettarla in Italia!

12 maggio 2010