LA RPD DI COREA ESCE DAL TRATTATO SULLA NON PROLIFERAZIONE NUCLEARE
L'ambasciatore di Pyongyang presso l'Onu: "non ci sentiamo sicuri, gli Usa ci minacciano"
UN MILIONE DI COREANI MANIFESTANO IN PIAZZA CONTRO GLI IMPERIALISTI AMERICANI
La Repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc) ha comunicato il 10 gennaio la decisione di ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Nel comunicato ufficiale del governo di Pyongyang che riporta la decisione nordcoreana si denunciano gli attacchi alla sovranità nazionale e alla sicurezza del paese causa la politica ostile degli Stati Uniti. L'ultimo atto ostile, denuncia il governo nordcoreano, è l'aver istigato l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) a lanciare il 6 gennaio un ultimatum alla Rpdc affinché rimetta i sigilli alla centrale nucleare di Yongbyon, situata a nord della capitale, e faccia rientrare i propri ispettori nel paese; in caso contrario l'Aiea ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di adottare sanzioni contro la Rpdc. Nella relazione dell'Aiea, sottolinea il comunicato di Pyongyang, non vi è alcuna parola contro gli Usa che non solo hanno violato il Tnp ma anche l'accordo Rpdc-Usa del 1994 nel quale si impegnavano a fornire petrolio in cambio della chiusura della centrale di Yongbyon.
La Rpdc in altre parole dovrebbe accettare incondizionatamente il diktat americano sul proprio disarmo e rinunciare al diritto di autodifesa.
Con l'amministrazione Bush gli Usa hanno inserito la Rpdc nel cosiddetto "asse del male" e dichiarato apertamente che contro di essa potrebbero scatenare un attacco nucleare preventivo. In seguito hanno bloccato le forniture di petrolio previste dall'accordo del 1994. Ai primi di gennaio Pyongyang cacciava gli ispettori dell'Aiea che vigilavano sulla centrale di Yongbyon e chiedeva il rispetto dell'accordo del '94 e un nuovo negoziato con gli Usa che prevedesse anche la stipula di un trattato di non aggressione. La risposta americana era affidata all'ultimatum dell'Aiea. Perciò, spiega il governo nordcoreano, per proteggere la sovranità del paese annuncia l'immediato ritiro dal Tnp e dagli impegni assunti con gli Usa nell'accordo del 1993.
Pyongyang sostiene che il ritiro dal Tnp è una legittima misura di autodifesa contro le manovre degli Usa e afferma che in ogni caso non ha intenzione di produrre nuove armi nucleari e che gli impianti riattivati serviranno alla produzione di energia elettrica. Il comunicato si conclude con la disponibilità nordcoreana a trovare una soluzione negoziata al problema nucleare e alla ripresa delle verifiche sul rispetto dell'impegno a non costruire armi nucleari se gli Usa abbandonano la loro politica ostile.
La decisione del governo nordcoreano era spiegata dall'ambasciatore di Pyongyang all'Onu che affermava: "Non ci sentiamo sicuri. Gli Usa ci minacciano". L'ambasciatore definiva non sincera la dichiarata disponibilità degli Usa a dialogare con la Rpdc, che non comprenderebbe comunque la definizione di un trattato di non aggressione, e affermava che Pyongyang avrebbe considerato l'adozione di sanzioni economiche contro il proprio paese dalla comunità internazionale o dagli Usa come "una dichiarazione di guerra".
Contro l'imperialismo americano e a sostegno della posizione del governo un milione di coreani manifestavano a Pyongyang l'11 gennaio. Contemporaneamente l'ambasciatore nordcoreano a Pechino annunciava che il suo paese avrebbe ripreso anche i test missilistici.
A Russia e Cina che premevano per la ripresa dei negoziati con gli Usa rispondeva l'ambasciatore nordcoreano a Vienna ribadendo che: "la condizione posta dal nostro governo è soltanto la ripresa del dialogo e l'abbandono da parte di Washington di ogni politica ostile nei confronti del popolo coreano".

16 gennaio 2003