Lo denuncia un rapporto della superprocura antimafia diretta da Grasso
Cosa Nostra si è trasformata in un "blocco di borghesia mafiosa"
Nella cupola mafiosa oggi siedono imprenditori, politici, burocrati, tecnici che controllano il vertice politico della Regione Sicilia

La stampa in questi giorni ha reso noto il contenuto saliente del rapporto della superprocura antimafia che ricostruisce l'attività svolta dal 1 luglio 2004 al 30 giugno 2005. Il voluminoso faldone composto di oltre 600 pagine mette a fuoco quello che noi marxisti-leninisti sosteniamo da tempo, ossia come la mafia sia parte integrante, verrebbe da dire costituente, dello Stato borghese, quello Stato che oggi si chiama seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista e si presenta con il volto orribile del neoduce Berlusconi, colui che ha ormai instaurato nel Paese quel regime neofascista e mafioso tanto voluto dalla P2 di Gelli.
I termini utilizzati dal procuratore Piero Grasso sono più tecnici che politici, ma ciò non toglie che le sue parole siano un accorato allarme sulla situazione del Paese supportato da una documentazione larghissima e circostanziata. Sarà questo il motivo per cui la sua relazione non sarà presentata ai parlamentari? Sarà questo il motivo per cui la controriforma dell'ordinamento giudiziario, imposta dal ministro fascio-leghista Castelli, ha tra le altre cose cancellato l'obbligo per la Superprocura di informare il Parlamento delle sue attività e di quelle delle altre procure antimafia?
Un intero capitolo del dossier è dedicato alle trasformazioni di Cosa Nostra siciliana con l'emersione di un vero e proprio "blocco di borghesia mafiosa" costituito "da tecnici, esponenti della burocrazia, professionisti, imprenditori e politici che o sono strumentali o interagiscono con la mafia in una forma di scambio permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni". "L'attuale analisi dell'organizzazione dell'ordinamento interno di Cosa Nostra - scrivono i magistrati - evidenza, anche nel distretto palermitano, l'acquisizione di ruoli di comando da parte di uomini d'onore di estrazione borghese e con un significativo profilo professionale e culturale, sicchè non è errato desumere da tale fenomeno i sintomi di una rapida evoluzione della struttura organizzativa verso una forma di associazione criminale governata da soggetti acculturati e propensa ad una politica di mediazione e di infiltrazione istituzionale, economico e finanziaria e, allo stesso tempo, proiettata ad assumere la fisionomia tipica dell'associazione segreta".
"Le indagini condotte dalla Dda - prosegue il rapporto - nei confronti delle famiglie palermitane hanno evidenziato l'ascesa a posizioni apicali di mafiosi che rivestono un ruolo significativo nella società civile e nelle professioni. I numerosi approfondimenti realizzati sui nessi tra l'organizzazione criminale e settori della vita economica-amministrativa nel distretto hanno reso palese un quadro di relazioni criminali e interdipendenze funzionali che ha coinvolto il vertice politico della regione autonoma siciliana".
Nell'elenco dei processi e delle indagini sull'intreccio tra mafia, politica, imprenditoria e finanza si citano, tra gli altri, il senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, responsabile della campagna elettorale del partito di Berlusconi, condannato a Palermo, in primo grado a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e il plurinquisito governatore Udc (ex-Udeur) della Sicilia Toto Cuffaro.
Non possiamo qui riassumere tutti i settori e tutti i paesi nei quali la holding mafiosa investe e fa profitti, sottolineiamo soltanto come "le indagini confermano il sistematico controllo del territorio sul quale la mafia esercita un potere illegale di imposizione fiscale in ragione di corrispettivi servizi di protezione" e "la sua capacità di infiltrazione in tutti i settori della società civile". "Questa situazione - viene ricordato - è favorita da un sistema di corruzione, agevolato dalla mancata attuazione delle riforme che dovrebbero consentire controlli e trasparenza nel mondo politico e nella pubblica amministrazione".
Per quanto riguarda i boss "vecchia maniera" il documento sottolinea come Bernardo Provenzano, Salvatore Lo Piccolo (capo del mandamento di San Lorenzo), Matteo Messina Denaro (capo del mandamento di Castelvetrano e della provincia di Trapani) siano tutti latitanti. E del resto fu lo stesso Grasso in una intervista dell'estate 2004 a sostenere che "a coprire la latitanza di Provenzano sono rappresentanti delle professioni, politici, imprenditori, forze di polizia" e a rivelare una vicenda altamente chiarificante: "abbiamo scoperto - disse - che un imprenditore riceveva da un sottoufficiale delle forze di polizia delle informazioni sulle nostre indagini. L'imprenditore era legato a Cosa Nostra e quindi le indagini nostre venivano conosciute direttamente da Provenzano".
Un'altra parte del dossier riguarda la 'ndrangheta definita "associazione criminale eversiva, tale da porre in pericolo la sicurezza del paese".
I magistrati scrivono: "non siamo più all'interno della tradizionale categoria mafia-politica, che presuppone l'esistenza di due entità diverse anche se in dialogo tra di loro, ma in una nuova dimensione, quella della mafia che tende a farsi, a proporsi, soggetto politico essa stessa. E come tale rivendica ruolo e visibilità, per contare nelle decisioni strategiche che determinano la spesa regionale, in particolare della sanità". In questo senso andrebbe inquadrato l'omicidio all'ingresso di un seggio elettorale del vicepresidente della Regione Calabria Francesco Fortugno avvenuto domenica 16 ottobre 2005 con il quale la ndrangheta "ha voluto dimostrare la propria geometrica capacità militare di colpire nei modi e nei tempi prescelti". Un delitto quindi "simbolico" e nello stesso tempo "strategico", "un concetto quest'ultimo - si precisa che non deve apparire eccessivo" poiché "fatte le debite proporzioni può in qualche modo avvicinarsi a quello del Presidente Aldo Moro". Una affermazione che può considerarsi esatta se con essa si vuole ricordare che il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro è stato un omicidio strategico di stampo mafioso compiuto dalla destra della classe dominate borghese per dare il via libera alla restaurazione del fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli.
In ogni caso di fronte a queste scottanti parole la commissione parlamentare antimafia diretta dall'ex-magistrato Centaro (Forza Italia) si è affrettata a scrivere un sua relazione, che ha tutto il sapore di una controrelazione al dossier della Dda, e che dimostra come la mafia abbia una forte influenza persino negli organi istituzionali che dovrebbero combatterla. In essa si può leggere il seguente, puerile quanto sconcertante, tentativo di giustificare e legittimare i politici mafiosi: "È importante notare che l'onorevole Cuffaro ha tenuto a sottolineare di essere ben consapevole di pericoli derivanti dall'influenza della mafia sugli apparati della pubblica amministrazione e sulla politica e che esiste la precisa volontà della classe dirigente di fare in modo che ciò non avvenga più, o almeno che tale fenomeno venga ridotto il più possibile".
Ma se il governatore siciliano viene presentato quale esempio di "elevata sensibilità nella lotta alla mafia" il caso di omissione che ha sollevato più indignazione è quello di Marcello Dell'Utri. Per il deputato Giuseppe Lumia dei Ds: "È scandaloso che Centaro non dedichi nemmeno una riga per parlare della condanna a dell'Utri. Del resto questa relazione è tutta tesa a minimizzare il sistema di collusione tra mafia e politica, riducendo tutto quel che avviene, in Sicilia e Calabria, a fatti locali di tipo eversivo. Nemmeno dopo l'omicidio Fortugno - ha aggiunto - questo governo ha voluto affrontare un salto di qualità e mettere la lotta alla mafia tra le priorità da affrontare e del resto, nella sua relazione sulla giustizia, il Ministro Castelli non ha mai citato, nemmeno per sbaglio, la parola mafia". Duro anche Giovanni Russo Spena (Prc): "Questa non è una relazione ma un liberi tutti dove la mafia è messa in dissolvenza. Sfumata, e dove, per trovare il filo conduttore bisogna ricordare l'esortazione del Ministro delle 'grandi opere' Lunardi a convivere con Cosa Nostra e a considerarla come parte organica dello sviluppo del Mezzogiorno".

1 febbraio 2006