LA CRISI IDRICA IN SICILIA
CAUSE, RESPONSABILITA' E PROPOSTE DEL PMLI
Documento dell'Organizzazione palermitana del PMLI

Dopo un anno di mandato, non avendo alzato un dito per predisporre un piano contro la pesante crisi idrica in Sicilia, che si protrae da mesi, il presidente della regione, il polista Cuffaro, chiede aiuto al neoduce Berlusconi e al Consiglio dei ministri. Dopo l'incontro, Scajola, il ministro degli interni, dichiara che ci vorranno "due, tre o quattro anni perché le opere siano pronte'' e intanto, consapevole del fatto che la mancanza d'acqua, nei prossimi mesi, potrà essere motivo di altre rivolte e manifestazioni, che metteranno a dura prova l'ordine pubblico nell'isola, ne approfitta per minacciare la popolazione siciliana stremata dalla siccità: "Nessuna protesta può legittimare l'uso della violenza e quindi la violenza non sarà tollerata'.
Il messaggio di Scajola, nel perfetto stile neofascista di Berlusconi, ribalta la realtà e tratta le vittime di una situazione insostenibile e intollerabile come potenziali criminali da reprimere. è bene ricordare che sinora ad aver usato violenza durante le manifestazioni per l'acqua sono state le "forze dell'ordine'', che hanno caricato e manganellato, senza motivo, gli inermi manifestanti palermitani durante pacifici sit-in e blocchi stradali. La dichiarazione di Scajola ci fa capire quant'è insignificante il livello di considerazione e di interesse del governo del neoduce Berlusconi nei confronti dei problemi delle masse popolari siciliane.

I numeri della crisi idrica in Sicilia
Secondo i tecnici dell'Eas, l'Ente Acquedotti Siciliano, le piogge dell'ultimo mese non hanno migliorato la situazione disastrosa degli invasi, e "nemmeno c'è speranza che le eventuali precipitazioni dei prossimi giorni possano aumentare le scorte'.
La zona più colpita è quella di Agrigento, nella cui provincia l'acqua arriva ogni tre settimane, praticamente una volta al mese. Colpite pesantemente le attività commerciali del centro storico dove numerosi commercianti, specie ristoratori e parrucchieri, sono stati costretti a comprare l'acqua dagli autobottisti per evitare la chiusura. Si teme che la crisi possa aggravarsi ulteriormente nei mesi estivi, quando in città la popolazione aumenta di almeno ventimila abitanti. L'Ausl 1 di Agrigento, il 15 maggio, ha inviato una nota al prefetto, ai responsabili degli acquedotti e all'assessore regionale alla sanità, Ettore Cittadini, in cui denuncia che "la scarsa quantità di acqua erogata in provincia pone reali problematiche di ordine igienico sanitario. Risulta indifferibile l'adozione di provvedimenti idonei al ripristino di condizioni accettabili di approvvigionamento idrico'.
A Caltanissetta ed Enna, è emergenza idrica permanente ed in alcune zone della provincia nissena la gente riceve acqua ogni dieci giorni. A Erice, in provincia di Trapani, all'inizio di giugno, la popolazione, che da giorni non ne riceveva una goccia, ha occupato per alcune ore il Comune.
A Palermo dal 20 marzo i turni di erogazione sono stati allungati sino ad essere portati a tre giorni, ed in alcuni quartieri della periferia e del centro storico, a causa dei continui guasti delle condutture, l'acqua non è arrivata anche per sette giorni. Ormai è normale per gli abitanti più poveri del centro storico dover fare file interminabili per rifornirsi alle fontanelle pubbliche. Il capoluogo detiene un triste record: in alcuni condominii di Villabate, nella provincia, l'acqua non arriva dal settembre del 2001. I disagi anche a Palermo rasentano la crisi sanitaria. In alcuni quartieri come Partanna-Mondello e Stadio negli scorsi mesi è arrivata, per diversi giorni, nei rubinetti solo fanghiglia, nella quale è stata riscontrata un'alta concentrazione di colibatteri fecali. I tecnici dell'Amap hanno effettuato dei rilievi ed accertato che "la rete idrica della zona Stadio risulta pericolosamente inquinata dalla rete fognaria''. Anche alcuni dei pozzi che riforniscono d'acqua il quartiere periferico di Borgo Nuovo sono inquinati, a causa della vicinanza della discarica cittadina di Bellolampo. Le sezioni siciliane delle associazioni ambientaliste lanciano l'allarme sul rischio inquinamento di tutte le falde acquifere cittadine, e questo problema, denunciano, è destinato ad allargarsi a tutte le province, qualora non si intervenga immediatamente con programmi di monitoraggio e protezione delle acque. La carenza d'acqua pone anche problemi di protezione civile. Spesso negli ultimi mesi i Vigili del Fuoco del capoluogo sono rimasti senz'acqua per fronteggiare gli incendi, provvedendo con le cisterne dei condominii vicini. Chiediamo: quali sono i piani di intervento per eventuali incendi nel centro storico, dove i condominii sono sprovvisti di cisterne?
A metà maggio la popolazione palermitana dei quartieri periferici e del centro storico ha organizzato blocchi stradali e sit-in, per diversi giorni, mettendo in ginocchio la gestione dell'ordine pubblico. All'inizio di giugno è scoppiata una nuova ondata di proteste. Sono scesi in strada gli abitanti del quartiere Zisa e persino quelli dei quartieri residenziali, paralizzando la città per due giorni di seguito.
è allarme anche nelle campagne siciliane. Dal rapporto dell'INEA - Istituto Nazionale Economia Agraria -, per il maggio 2002, si rileva che i consorzi di bonifica siciliani sono impossibilitati a garantire l'acqua necessaria a tutte le colture. Il Consorzio di Bonifica di Ragusa a causa della siccità, che da due anni colpisce il territorio consortile, ha invitato i propri utenti a presentare richieste di irrigazione solo per la coltivazione di agrumi, vite ed ulivi. Nell'agrigentino al momento non si riesce a predisporre una programmazione della distribuzione dell'acqua per le irrigazioni. La stessa situazione si verifica nel catanese. Le organizzazioni degli agricoltori siciliani hanno occupato per diversi giorni le piazze dei comuni della provincia di Enna e Caltanissetta, richiedendo, in primo luogo, l'intervento della protezione civile per la distribuzione di foraggio agli animali che rischiano la morte per fame e sete.

La condizione delle condotte e delle dighe
Il dipartimento ambiente e territorio della Cgil denuncia che "Se avessimo dighe efficienti, invasi non interrati e collaudati, che evitano lo svuotamento in mare per ragioni di sicurezza, anche questa siccità sarebbe stata affrontata facilmente'.
I geologi, gli ingegneri idraulici, i sindacati da anni denunciano che il problema della carenza d'acqua in Sicilia è principalmente politico e nasce da una pessima gestione delle risorse idriche dell'isola. In una intervista rilasciata all'edizione palermitana del quotidiano "la Repubblica'', Domenico Pumo, docente di irrigazione e drenaggio presso la facoltà di Agraria di Palermo, fornisce le cifre sulla quantità d'acqua che cade ogni anno in Sicilia. Dalla media degli ultimi trenta anni risulta che in Sicilia cadono circa 720 millimetri di pioggia, pari a 18.500 milioni di metri cubi. Una parte si disperde nell'atmosfera, 4.600 milioni di metri cubi confluiscono nei corsi d'acqua superficiali e 1.700 milioni si infiltrano nel sottosuolo ad alimentare le falde, le sorgenti ed i pozzi. Per usi civili domestici, per l'agricoltura e l'industria ne occorrono in Sicilia ogni anno in media 2.165 milioni di metri cubi, una quantità notevolmente inferiore alle disponibilità. Dichiara Pumo: "In queste condizioni parlare di carenze idriche francamente è fuori luogo. Semmai il problema, vecchio da decenni, è che c'è stata una cattiva gestione delle risorse''.
In Sicilia esistono ben 50 dighe costruite unicamente con finanziamenti pubblici. La loro costruzione iniziò sulla spinta innovatrice del grande movimento di massa contadino degli anni Quaranta e Cinquanta, che premeva per una maggiore disponibilità di acqua per l'irrigazione delle terre e un migliore servizio idrico per la popolazione. Fu allora che in Sicilia iniziarono ad essere costruite le dighe, gli invasi e le centrali idroelettriche. In pochi anni la Sicilia da regione poverissima diventa la seconda regione italiana per produzione agricola vendibile, dopo la Lombardia, e questo grazie alla conquista di una fruizione più democratica delle risorse idriche.
Tuttavia questa importante conquista è messa a serio rischio da una gestione criminale, delle risorse idriche e delle infrastrutture, protratta per decenni, con il consenso aperto o implicito dei partiti di "sinistra'', PCI prima, DS e Rifondazione oggi.
Basti pensare che delle 50 dighe siciliane ben 44 non sono state ancora collaudate, ed in alcuni casi sono passati trent'anni dalla costruzione (!). Ciò comporta il fatto che la quasi totalità delle dighe esistenti non è autorizzata a funzionare a pieno regime. Per evitare crolli e disastri, infatti, il Servizio Nazionale Dighe ha autorizzato soltanto il riempimento ridotto degli invasi. A causa dei mancati collaudi spesso è necessario il parziale svuotamento delle dighe, appena l'acqua supera il limite di sicurezza: decine di milioni di metri cubi d'acqua finiscono nei torrenti ed in mare, mentre la popolazione soffre la sete. Un esempio clamoroso di questa situazione è la diga Ancipa, che serve Caltanissetta, Enna e grandi centri delle due province, come Gela, per uso idroelettrico, irriguo e civile. L'Ancipa ha un invaso di 34 milioni di metri cubi d'acqua ma è autorizzata a contenerne soltanto 10. In una recente riunione il Servizio Nazionale Dighe, per affrontare l'emergenza, ha dato l'autorizzazione ad innalzare a 13 milioni di metri cubi il limite, senza però che il necessario collaudo sia avvenuto. La diga è in un pessimo stato di manutenzione, presenta delle crepe, segnalate da più di trent'anni, che stanno indebolendo le strutture portanti, senza che a tutt'oggi si sia intervenuto. I lavori di consolidamento, secondo le dichiarazioni di Cuffaro, dovrebbero iniziare a settembre del 2002. Il grande serbatoio dello Disueri, che serve parte della provincia di Caltanissetta e Ragusa per uso irriguo, potrebbe contenere 23 milioni di metri cubi, ma deve fermarsi a 2 milioni e mezzo.
La diga Garcia, che serve la Valle del Belice, tra cui i comuni di Sciacca e Menfi, per uso irriguo ed industriale, non è mai stata collaudata, potrebbe contenere 100 milioni di metri cubi, ma, pur essendo costata centinaia di miliardi, per anni è rimasta inutilizzata. L'argilla del corpo centrale ha finito con l'asciugarsi e spaccarsi creando grossi problemi alla struttura.
L'allarme più volte lanciato, ultimamente anche dal generale Jucci, ex commissario straordinario per la crisi idrica nelle province occidentali, è che se le dighe non vengono spurgate e pulite rischiano l'abbattimento. Intanto le amministrazioni non si muovono.
La diga di Pian del Leone che serve, per usi civili, la città di Agrigento e grandi paesi come Mussomeli e Sutera è interrata per tre quarti; potrebbe raccogliere decine di milioni di metri cubi d'acqua e ne contiene appena due. Negli anni '80 fu appaltato lo sfangamento dell'invaso e la pulizia del fondale, ma ancora i lavori non sono iniziati.
La diga dello Scanzano, che serve, per usi civili, Palermo e grossi comuni della provincia come Capaci, Cefalù, Bagheria, per usi irrigui, i paesi della provincia palermitana e, per usi industriali, grossi centri come Termini Imerese, è rimasta danneggiata in seguito ad un terremoto, dovrebbe essere svuotata per essere riparata, ma non si procede. Se ci fosse un'inondazione l'acqua strariperebbe a valle travolgendo ogni cosa.
Altre dighe come la Rosamarina che dovrebbe servire il capoluogo, sono inutilizzate perché mancano gli allacci con i centri urbani, altre come la Gibbesi che dovrebbe servire le province di Enna e Caltanissetta, sono completamente vuote e vanno completate, ma non vengono stanziati i soldi. Solo ora che si è toccato il fondo della crisi idrica, Cuffaro dichiara che a breve inizieranno i lavori per posare i quindici chilometri dei tubi dalla diga Rosamarina al capoluogo, ma prima di 13 mesi i lavori non saranno pronti.
Altro annoso problema è quello delle reti colabrodo che perdono il 50% dell'acqua erogata nel percorso per arrivare nelle case dei siciliani. Spesso non è neanche possibile stabilire l'esatta differenza tra la quantità di acqua erogata e quella persa o rubata: infatti nei 116 comuni gestiti dall'Eas i contatori sono obsoleti e spesso inutilizzabili. Nei comuni di Agrigento e Caltanissetta inoltre gli addetti ai lavori non sanno come operare correttamente poiché manca la pianta esatta delle condotte cittadine e nonostante sia stato riunito un gruppo di lavoro di 30 fra ingegneri e geometri non si riesce a venire a capo del problema.
Da una recente indagine del Centro studi Cgil su "economia e società nella Sicilia del 2000'' risulta evidente che i metri cubi di acqua erogata per numero di abitanti serviti, risulta in linea con la media nazionale. Ma il problema appunto non sta nella quantità di acqua in media erogata, quanto nella quantità d'acqua che effettivamente arriva ai siciliani, che è assolutamente inadeguata, come denuncia la Cgil stessa, dal momento che "le dighe e gli invasi sono realizzati senza sufficienti opere di canalizzazione a valle, che consentirebbero il pieno utilizzo delle risorse già disponibili'.
La causa di questo disastro è da ricercare fondamentalmente nel sistema clientelare mafioso democristiano che governa da decenni in Sicilia.
Interviene su questo argomento Legambiente siciliana che denuncia: "Non si fanno i collaudi che consentono di riempire completamente le dighe perché la spinta alla pubblica amministrazione la dà sostanzialmente il regime tangentizio delle imprese edili, che non è interessato ai collaudi.

Gli enti gestori e la privatizzazione
Gli enti responsabili della gestione delle fonti di approvvigionamento, delle reti di adduzione e dei sistemi idrici sono in Sicilia ben 460 divisi in enti regionali, aziende municipalizzate, società miste, società private, consorzi di bonifica, gestioni comunali, consorzi fra utenti. Il progressivo innalzamento dei numeri degli enti gestori negli ultimi anni e l'ingresso a pieno titolo dei privati nell'amministrazione dell'acqua hanno finito per ridurre il coordinamento complessivo della gestione delle risorse idriche e delle infrastrutture in Sicilia. Un caso emblematico della condizione di totale anarchia nella gestione dell'acqua si verificò nel 2001 quando l'Amap, la municipalizzata palermitana, avendo ecceduto nei prelievi dal bacino di Piana degli Albanesi, gestita dall'Enel, aveva fatto scendere il livello dell'invaso al punto tale da rendere impossibile la produzione di energia idroelettrica. Si aprì un contrasto giudiziario tra i due enti, risolto poi in sede legale con una multa di 3 miliardi di lire pagati dall'Amap stessa all'Enel. Data la frammentazione della gestione spesso riesce difficile individuare l'origine dei disservizi ai cittadini, dal momento che i diversi enti si rimpallano in continuazione le responsabilità della carenza d'acqua nelle città e nelle campagne.
Se il processo di privatizzazione proseguirà la gestione dell'acqua in Sicilia sarà nell'anarchia più totale, dal momento che rischiamo di ritrovarci con decine e decine di privati proprietari degli acquedotti, delle dighe, delle reti, degli invasi dell'isola. Il patrimonio siciliano di infrastrutture, costruite con il totale finanziamento pubblico, è veramente enorme e la privatizzazione darà spazio a molti. Ad esempio l'Eas, la cui privatizzazione è stata avviata a gennaio del 2002 dal presidente berlusconiano Cuffaro, cura, sul territorio siciliano, la gestione delle reti idriche di 116 comuni, di 17 grandi frazioni comunali, per un totale di 300.000 utenze e 900.000 cittadini serviti. Fornisce ben 120 milioni di metri cubi/anno d'acqua. L'ente gestisce 11 grandi sistemi acquedottistici, 3 invasi artificiali, 3 grandi impianti di potabilizzazione, 175 impianti di pompaggio, 210 serbatoi idrici, 1.160 km di condotte idriche e 40 km di gallerie drenanti e di valico.
Bisogna denunciare con forza che la privatizzazione dell'Eas, avviata da Cuffaro, ha una lunga fase di preparazione, alla quale il "centro-sinistra'' siciliano partecipa attivamente, con continue interpellanze, mozioni, ordini del giorno, consultabili sul sito dell'ARS. In una mozione presentata in aula nel gennaio del 2001 a firma di 13 deputati DS, tra cui l'ex segretario regionale Angelo Capodicasa, si chiedeva al governo regionale di "centro-destra'', di impegnarsi per rimuovere gli ostacoli che "disturbano e rallentano il processo di privatizzazione dell'Eas'', "consentendo la prosecuzione delle procedure di privatizzazione''. Con questi lacché della destra ultraliberista e reazionaria siciliana Rifondazione, che adesso ciancia tanto contro la politica sulle acque portata avanti da Cuffaro, si è alleata per le elezioni politiche, regionali, comunali palermitane del 2001 e per le amministrative del 2002.

La presenza della mafia
Se l'allarme mafia in Sicilia non è mai da sottovalutare, nel campo delle risorse idriche bisogna denunciare una situazione davvero tragica.
Storicamente le famiglie mafiose si sono impossessate abusivamente di molti dei grandi pozzi in Sicilia, per lucrare rivendendo a peso d'oro l'acqua durante le crisi idriche. Questo nonostante tutta l'acqua nel suolo e nel sottosuolo della regione sia pubblica e appartenga per legge al demanio della Regione. Il proprietario del terreno col pozzo ha solo diritto al suo fabbisogno per usi irrigui e potabili.
Il problema dei pozzi sottratti dalla mafia al patrimonio pubblico è antico e le amministrazioni non hanno mai ritenuto di intervenire seriamente in questo ambito per ripristinare la legalità e l'interesse comune. Anzi politici e amministratori hanno agito per coprire e favorire il più possibile questa ruberia mafiosa.
Nel Piano regolatore generale degli acquedotti, approvato dal Ministero dei lavori pubblici nel 1968, figuravano nella provincia di Palermo solo 13 pozzi, alcuni in via di esaurimento, mentre non venivano nominati i pozzi ricchissimi d'acqua gestiti dalle famiglie mafiose di città e provincia. Negli anni '70 l'Esa (Ente sviluppo agricolo) censì nella provincia palermitana circa 1.470 grandi pozzi, con una portata totale di ben 9.400 lit./sec. Per evidenti legami tra mafia e politica quegli enormi pozzi non furono mai inclusi negli elenchi delle acque pubbliche e vennero usati per fini privati o affittati con grande profitto ai comuni della provincia.
Alla fine degli anni '70, dopo un procedimento contro alcuni amministratori pubblici in Sicilia, vennero requisiti soltanto una ventina di grandi pozzi delle famiglie mafiose. Un'altra inchiesta condotta nel 1988, si concludeva con il rinvio a giudizio di vari mafiosi, di proprietari di pozzi e di alcuni tecnici, ma il processo si concluse con una serie di assoluzioni.
Oggi la popolazione si trova a dover pagare le conseguenze di questa alleanza banditesca ed irresponsabile tra mafia e amministrazione nello sfruttamento delle falde acquifere e dei pozzi; basti considerare che per anni l'Esa e l'Amap, nel ricercare nuove falde acquifere, trivellavano appositamente nelle zone più povere d'acqua, lasciando le zone più ricche allo sfruttamento privato delle famiglie mafiose. Il paradosso oggi è che la popolazione siciliana deve andare ad acquistare l'acqua pubblica, che non arriva nei rubinetti, a peso d'oro dai privati.
L'Eas qualche giorno fa, pressato dalla carenza d'acqua, ha dovuto firmare un accordo con i "proprietari'' di un pozzo ad Altavilla, nella provincia palermitana, per poter prelevare 100 lit./sec., che costeranno 22 centesimi al metro cubo. Tuccio D'Urso, vice commissario vicario dell'Eas, sostiene che "bisogna finirla di demonizzare i privati e cercare di stringere più accordi possibili''. D'Urso spiega poi che l'acqua dei pozzi "privati'' costa meno poiché la conduzione familiare permette di risparmiare sui costi di gestione, vigilanza, messa a norma degli impianti, che incidono sul prezzo dell'acqua pubblica. è chiaro che, come sostiene D'Urso, non tutti i "proprietari'' dei pozzi sono mafiosi, tuttavia è comunque necessario fare luce sul problema in modo da chiarire definitivamente a tutte le parti in causa che le risorse idriche del suolo e del sottosuolo siciliano appartengono soltanto alla regione. D'Urso poi dimentica di dire che le spese di gestione, vigilanza e messa a norma degli impianti sono necessarie per garantire un buon livello quantitativo e qualitativo dell'acqua. La sfida dunque non è solo quella di avere l'acqua al più basso costo possibile, ma quella di avere buone qualità e quantità dell'acqua al più basso costo possibile. Inoltre il proliferare di patti tra pubblico e "padroni'' dei pozzi è una strada errata da imboccare perché legittima e regolarizza l'esistenza di pozzi "privati'' che in realtà sono un abuso inammissibile, specie a fronte della siccità che colpisce la popolazione dell'isola.
La mafia è presente anche negli appalti per la costruzione e per la manutenzione delle dighe e delle condotte idriche. Nella provincia di Agrigento, la più assetata della Sicilia, all'inizio di maggio sono stati scoperti i meccanismi con i quali le organizzazioni si impossessavano degli appalti per la costruzione e la riparazione delle condotte idriche. Nove tra imprenditori della provincia, collusi con le famiglie mafiose, che da tempo gestiscono gli appalti della rete idrica sono stati arrestati. Il procuratore di Palermo Grasso denuncia che la mafia riesce ad ottenere il 96% degli appalti dell'isola, grazie alla complicità delle amministrazioni, con ribassi "ridicoli''. Il ribasso medio in Sicilia oscilla sull'1% mentre la media nazionale è del 15-20%. Il risultato è che le opere pubbliche sull'isola, anche quelle idriche, costano più che in ogni altra parte della penisola, le casse di "Cosa Nostra'' e degli imprenditori amici si riempiono di milioni di euro, e comunque la condizione delle infrastrutture nella regione rimane pessima.

Le proposte di Cuffaro
Alla fine di agosto del 2001, appena due mesi dopo essere stato eletto, Cuffaro dichiarò che uno dei suoi obiettivi principali era quello di "dare entro i prossimi cinque anni l'acqua a tutti i siciliani''. Un anno è passato e la condizione della popolazione, come abbiamo visto, è notevolmente peggiorata. Allora il presidente polista delle regione sostenne che i suoi obbiettivi prioritari erano: la riduzione del numero degli enti gestori, l'intervento sulle fonti di approvvigionamento, sulla rete dei grandi adduttori e sulla messa in sicurezza degli invasi esistenti, il completamento di serbatori artificiali avviati, il completamento dei grandi adduttori regionali ad uso plurimo, la ristrutturazione di acquedotti potabili in precarie condizioni, il completamento delle opere di interconnessione avviate ma non portate a termine, e la realizzazione di quelle previste.
Inutile dire che assolutamente niente di tutto ciò è stato iniziato.
A fine maggio Cuffaro interviene in parlamento dopo mesi di crisi idrica in Sicilia e annuncia un programma notevolmente ristretto rispetto a quello di un anno fa.
Il nuovo piano prevede che le attuali 460 gestioni vengano unificate in 10 soggetti e l'adeguamento definitivo delle dighe non ancora in regola. Cuffaro non ha tuttavia annunciato quando il suo piano diverrà operativo e quando avranno inizio i lavori.
Non ha parlato seriamente della necessità della ristrutturazione degli invasi, della manutenzione delle reti idriche, della riparazione delle reti fognarie, del necessario monitoraggio e la difesa del patrimonio idrogeologico della regione. Non ha annunciato se saranno intrapresi patti di legalità per evitare che gli appalti finiscano nelle mani della mafia. Non ha neanche parlato della pessima condizione qualitativa in cui versano le acque siciliane e degli interventi necessari per il monitoraggio e la depurazione delle acque in alcuni grossi centri come Palermo, Messina e Agrigento.
Quello annunciato pochi giorni fa da Cuffaro è un piano per attuare il minimo indispensabile ad affrontare alla meno peggio la fase critica. Cuffaro in effetti non ha mai dimostrato serie intenzioni di mettere mano al risanamento del patrimonio regionale delle infrastrutture, quanto piuttosto di svenderlo ai privati.
Cinquecento milioni di euro intanto sono pronti per "affrontare la crisi'' ma rischiano di essere spesi molto male e non dove dovrebbero essere spesi.
E' arcinoto che Cuffaro guarda con simpatia alla possibilità di installare dissalatori in più parti dell'isola, con l'appoggio degli amministratori locali. Il principale fautore del progetto di dissalatore ad Agrigento è il sindaco forzista Aldo Piazza. Per l'ex commissario straordinario per la crisi idrica nelle province occidentali Jucci quel dissalatore sarà un monumento allo spreco: "Quando l'Ancipa fra tre anni, dopo il completamento dei lavori di consolidamento avrà ben 28 milioni di metri cubi di acqua ce ne sarà per Caltanissetta, Enna fino a Gela ed alcuni paesi dell'agrigentino. Senza contare che c'è anche il Blufi''. E noi aggiungiamo che fra un poco, se i lavori andranno avanti, ci sarà anche il quinto modulo del dissalatore gelese.
Le ciance di Cuffaro sulla crisi idrica non hanno fine. Qualche giorno fa dichiarava che per fare fronte alla siccità estiva erano operative delle navi con dissalatori. Si scopre adesso che soltanto se la crisi si aggraverà ulteriormente verrà preparato e pubblicato il bando di reclutamento delle navi con dissalatore. I costi comunque sarebbero elevati, basti considerare che l'acqua fornita alle piccole isole siciliane con navi cisterna costa quasi 9 euro al metro cubo (!).
Cuffaro non spiega poi come l'acqua dovrebbe arrivare dalle navi alle case ed alle campagne, considerato che non esistono gli allacciamenti. Intanto siamo già alla sete estiva e il 3 e 4 giugno gli abitanti di diversi quartieri palermitani senz'acqua sono scesi in strada a protestare. Queste ultime manifestazioni hanno seriamente messo in crisi la gestione dell'ordine pubblico in città e fatto tremare il presidente della regione Cuffaro e il neopodestà Cammarata, i quali sono stati costretti a convocare immediatamente una riunione straordinaria con i vertici dell'Amap nella quale cercare le soluzioni per affrontare l'estate. Cuffaro ha dovuto annunciare volente o nolente che, in base ad un censimento, saranno "requisiti temporaneamente'' i pozzi privati in tutta la regione.
Ci auguriamo che il censimento dei pozzi privati avvenga nel più breve tempo possibile e non avvenga secondo i soliti criteri clientelari che salvano le "proprietà'' degli "amici''. è grave però che Cuffaro non parli di una pubblicizzazione definitiva dei pozzi come sarebbe auspicabile ma soltanto di una loro temporanea requisizione per far fronte ai mesi più caldi.

Le proposte del PMLI
Sulla base di questa analisi il Partito marxista-leninista italiano invita i siciliani in lotta a riunirsi in assemblee e comitati di lotta che tengano sotto controllo la gestione e la distribuzione dell'acqua nei quartieri, nelle città e nell'intera regione, e a battersi perché nell'immediato vengano attuate le seguenti rivendicazioni:
● La Regione, i Comuni e le Province devono impegnarsi immediatamente per mettere insieme un serio piano straordinario per affrontare la siccità estiva nelle città, nelle campagne e nelle piccole isole. Il piano dovrà prestare la massima attenzione al ristabilimento di livelli di erogazione accettabili, con la priorità per i quartieri dei centri storici e delle periferie cittadine più colpiti dalla crisi. Immediata attenzione deve essere prestata alle campagne, dove la siccità sta distruggendo una grossa fetta della produzione agricola e centinaia di posti di lavoro.
● Le amministrazioni devono impegnarsi perché nella fornitura dell'acqua non si verifichino sciacallaggi mafiosi sul bisogno della popolazione, in particolare intervenendo per stabilire un prezzo accettabile per la fornitura di acqua dai privati.
● La Regione, gli amministratori comunali e gli enti gestori devono impegnarsi ad inserire negli elenchi delle acque pubbliche i grossi pozzi privati.
● La Regione ed i Comuni devono impegnarsi, anche per via legale, se necessario, a requisire e ad inserire negli elenchi delle acque pubbliche tutti i pozzi in mano delle famiglie mafiose.
● La Regione deve impegnarsi immediatamente per approntare un piano, con relativa copertura finanziaria, per garantire in quantità sufficiente l'afflusso e i rifornimenti dell'acqua potabile in tutti i centri abitati della Sicilia e delle piccole isole per 24 ore al giorno e per i rifornimenti irrigui alle campagne.
● Il piano di interventi dovrà dare la priorità ai lavori per la ristrutturazione, il consolidamento, il collaudo e lo spurgo delle dighe, degli invasi in tutta la Sicilia con il fine di recuperare l'intero patrimonio di acquedotti e di infrastrutture dell'isola. Il piano dovrà inoltre prevedere un impegno continuo nel tempo per mantenere un adeguato livello di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti.
● Gli enti pubblici regionali e comunali devono individuare nuove falde acquifere, creare invasi appositi per la raccolta di riserve d'acqua e per il rifornimento adeguato dei centri urbani.
● La Regione deve bloccare il processo di privatizzazione dell'Eas e risanare economicamente il maggiore ente gestore pubblico della Sicilia ed inoltre superare l'attuale frammentazione delle gestioni creando un unico ente preposto al coordinamento delle risorse idriche dell'isola.
● La Regione e i Comuni devono impegnarsi ad ammodernare e garantire la manutenzione delle reti idriche per assicurarne l'igiene, evitandone sprechi, e ad adeguare e potenziare gli impianti municipali di depurazione dell'acqua che garantiscano condizioni di massima sicurezza igienica, di potabilizzazione e pressione sufficiente nelle tubature dell'acquedotto.
● Le amministrazioni comunali devono prevedere analisi periodiche e batteriologiche dell'acqua potabile e la pubblicizzazione dei dati risultanti.


Partito marxista-leninista italiano - Palermo


Palermo, 7 giugno 2002
e-mail: pmli.palermo@libero.it