I padroni alzano la voce
D'AMATO:
"IL NUOVO GOVERNO DEVE AVERE IL CORAGGIO DI FARE SCELTE IMPOPOLARI''
Licenziamenti,
tagli alle pensioni, via libera ai contratti a termine, riduzione delle tasse
per le imprese
BERLUSCONI: "CERTO CHE LE FARO', UNO STATISTA DEVE FARE ANCHE
QUELLE''
Non sono passate
nemmeno due settimane dalle elezioni politiche, che hanno segnato la vittoria
del polo di "centro-destra'' su quello di "centro-sinistra'', ancora
il nuovo governo è in via di formazione ed ecco che la Confindustria, ossia
l'associazione del grande padronato, cogliendo l'occasione della sua assemblea
annuale, tenutasi a Roma il 24 maggio, getta sul tavolo le sue arroganti,
antioperaie e iperliberiste richieste, pretende di dettare al nuovo esecutivo le
cose da fare nei primi 100 giorni, nell'ambito di un programma di legislatura, e
soprattutto chiama il neoduce Berlusconi a rispettare gli impegni presi nella
precedente assemblea degli industriali di Parma del marzo scorso.
Già in quella assemblea infatti la sintonia tra il neo-presidente della
Confindustria, Antonio D'Amato (giunto a quella carica proprio grazie
all'appoggio determinante del cavaliere piduista di Arcore) e il leader della
"Casa delle libertà'', Silvio Berlusconi, era apparsa totale, sfacciata,
plateale. Il primo, di fronte al Ghota del capitalismo italiano, in modo
inusuale, aveva presentato una lunghissima relazione intitolata pomposamente
"Il patto per far vincere l'Italia'', con allegate numerose schede di
approfondimento per specificare obiettivi e azioni sulle materie trattate. Una
relazione che, oltre a rappresentare il manifesto politico di tutta la
Confindutria, cioè anche di Agnelli, Tronchetti Provera, Marzotto, Colannino,
ecc., appare come un vero e proprio programma di governo, vista la quantità
enorme di temi toccati di politica economica, finanziaria, sociale, sindacale e
finanche istituzionale ed elettorale; le cui caratteristiche sono con tutta
evidenza, senza infingimenti tattici, ferocemente liberiste, thatcheriane e
reaganiane in economia, neofasciste, presidenzialiste e federaliste riguardo la
forma di governo e di Stato.
BERLUSCONI ALLA CONFINDUSTRIA: "IL MIO PROGRAMMA, E' IL VOSTRO
PROGRAMMA''
D'Amato, dicendosi insoddisfatto delle riforme messe in atto dai governi di
"centro-sinistra'' che pure avevano favorito ampiamente i capitalisti,
nella suddetta circostanza chiese perentoriamente che fosse cambiata la
Costituzione, non solo la seconda parte ma anche la prima dove sono sanciti, sia
pure sulla carta, i diritti sociali fondamentali che dovrebbero essere garantiti
a tutti, conseguentemente in materia di pensioni, sanità, scuola, "mercato
del lavoro'', trasporti, energia, ambiente, pubblica amministrazione, fisco,
credito, finanza e altro, rivendicò deregolamentazione legislativa,
liberalizzazioni generalizzate, privatizzazioni, taglio delle tasse alle imprese
e ai ceti abbienti, mano libera nei licenziamenti. Mise, come non mai, al centro
di tutto gli interessi delle imprese (leggi profitti dei capitalisti) dalle
quali deriverebbe lo sviluppo, la modernizzazione e il benessere dell'Italia e
alle quali subordinare tutto il resto, in primis i diritti dei lavoratori e
delle masse popolari.
Il primo dunque in buona sostanza disse così, e il secondo, cioè Berlusconi,
guadagnandosi l'appoggio certo della platea, rispose: "Io sono uno di voi:
il mio programma è il vostro programma''. Anche se su ciò non si poteva
nutrire alcun dubbio, non si era mai visto, nemmeno ai "tempi d'oro'' della
DC, che un candidato premier andasse a dire senza vergogna ai grandi industriali
"farò i vostri interessi, farò alla lettera quanto mi chiedete''; ciò a
dimostrazione di quanto avesse ragione Lenin nello stigmatizzare la natura di
classe dei governi borghesi come comitati degli affari del capitale.
Niente di strano quindi che il presidente confindustriale sia tornato alla
carica, subito dopo il 13 maggio, per "presentare il conto'' al nuovo capo
di governo e a chiedere coerenza con le promesse fatte in campagna elettorale. A
partire dalle ennesime e ulteriori sul lavoro in entrata e in uscita (quelle
introdotte dal "centro-sinistra'' con il pacchetto Treu non sono bastate?)
che significano la cancellazione dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori e
libertà di licenziamento anche senza "giusta causa'' e l'estensione dei
contratti a termine, sancita nell'accordo raggiunto tra industriali e Cisl e
Uil, anche senza l'assenso della Cgil. Poi le pensioni sulle quali la
Confindustria vorrebbe provvedimenti radicali, al di là della stessa
"riforma'' Dini, sin dal prossimo Dpef, per accelerare l'eliminazione di
quello che rimane delle pensioni di anzianità, per elevare i requisiti per la
pensione a 40 anni di contributi, per favorire più del passato i fondi di
pensione privati. E ancora, nessun vincolo né amministrativo, né ambientale,
(né giudiziario?) nel dare il via e nell'assegnare gli appalti pubblici per la
costruzione delle grandi infrastrutture. Tra l'altro guadagnandosi gli applausi
del governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, il quale appena una
settimana dopo, nella riunione annuale dell'Istituto centrale finanziario
pubblico, ricollegandosi di fatto ai programmi di D'Amato e di Berlusconi,
riproponeva la stessa ricetta liberista su pensioni, sanità, fisco, lavoro e
opere pubbliche.
IL SOSTEGNO DELLA CONFINDUSTRIA AL GOVERNO BERLUSCONI
D'Amato chiede a Berlusconi di procedere subito nella riduzione, assai
sostanziosa e corposa, delle tasse alle imprese portando in cinque anni
l'imposizione dal 50 al 35% attraverso l'abolizione o il depotenziamento
dell'Irap e della Dit, il taglio dell'Irpeg e il ripristino della legge
Tremonti. C'è chi, provando a fare un po' di conti di quanto possono costare
alle casse dello Stato l'insieme degli sgravi fiscali rivendicati dai padroni,
ha calcolato la stratosferica cifra di 75 mila miliardi circa. Oltre a poter
licenziare senza vincoli, a pagare meno tasse, costui pretende anche di
programmare la riduzione dei salari chiedendo al governo che per il 2002
mantenga ferma la percentuale del tasso d'inflazione programmata all'1,2% quando
quella reale viaggia attorno al 3% con tutte le conseguenze che si possono
immaginare per i 26 contratti nazionali di lavoro ancora da rinnovare che
interessano 5,5 milioni di lavoratori.
Con una faccia tosta senza pari chiede ai sindacati di "fare fronte
unito'', di collaborare per portare avanti questo progetto per "rendere
competitiva l'Italia'', D'Amato dichiara la disponibilità al "dialogo
sociale'' e alla "concertazione dinamica'' che significa l'adesione passiva
agli interessi padronali; allo stesso tempo sponsorizza i contratti regionali e
persino - inaudito! - quelli individuali, in luogo di quelli collettivi e
nazionali, e di conseguenza la messa fuori giuoco delle confederazioni
sindacali.
Al nuovo governo "non faremo mancare il nostro sostegno'' assicura il
presidente della Confindustra, purché sia determinato "anche a fare scelte
impopolari''. Immediata la risposta di Berlusconi: "Scelte impopolari? Sì,
certo che le farò. Uno statista deve fare anche quelle, poi però si
riveleranno popolari e vantaggiose per tutti''. Che mentitore spudorato! Passate
le elezioni, messe nel cassetto le promesse ai pensionati e ai disoccupati il
"centro-destra'' cambia registro e predispone una politica di lacrime e
sangue per le masse popolari, a partire dalla prossima legge finanziaria.
SCIOPERO GENERALE NAZIONALE PER RINNOVARE I CONTRATTI DI LAVORO
Stando così le cose quello che occorre è organizzare tempestivamente, con
urgenza sul piano politico e sindacale l'opposizione e la mobilitazione delle
larghe masse operaie, lavoratrici, femminili e giovanili, di tutti i
democratici, i progressisti e gli antifascisti per dichiarare guerra totale al
governo del neoduce Berlusconi ma anche di Agnelli e Fazio e dalla Confindustria
di D'Amato per ribattere colpo su colpo, per sconfiggere il disegno neofascista
che questi compari ladroni vogliono realizzare. Iniziando a chiedere a gran voce
lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie intanto per rinnovare i
contratti nazionali di lavoro scaduti; più in generale per difendere i diritti
sindacali e contrattuali dei lavoratori, per rivendicare i diritti sociali e
previdenziali. è tempo di rigettare il "patto sociale'', la "politica
dei redditi'', la concertazione sulle flessibilità, la linea sindacale
collaborazionista, filogovernativa e filopadronale che tanti danni hanno
provocato; è tempo di tornare in piazza per rimettere al centro gli interessi
degli operai, dei lavoratori, dei disoccupati e delle masse pooplari.
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