Approvato il ddl Moratti sullo stato giuridico dei professori universitari
Norme meritocratiche per i nuovi docenti, precarizzati i ricercatori, aziendalizzata l'università
Liberalizzata l'attività esterna dei professori universitari, ai privati la possibilità di mettere le mani sulle università e sulla ricerca con le cattedre d'impresa
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al Disegno di legge (ddl) Moratti/De Maio per il riordino dello stato giuridico dei docenti. Con esso il governo del neoduce Berlusconi, nel nome della privatizzazione dell'università, della meritocrazia e della precarizzazione del corpo docente, intende portare a termine il progetto di controriforma dell'università inaugurato nel 1990.

Stato giuridico dei professori
Ferma restando la differenziazione in due fasce dei docenti (associato e ordinario) viene assicurato a tutti i professori in ruolo un trattamento di base pari a quello dell'attuale docente a tempo pieno. Cosicché viene abrogata la distinzione tra tempo pieno e tempo definito e il rapporto di lavoro dei docenti diviene pienamente compatibile con lo svolgimento di attività libero-professionali e di consulenza privata esterna. Oltre a questo i professori possono stipulare con l'Ateneo di riferimento appositi contratti integrativi di quello di base per lo svolgimento di ulteriori attività (flessibilità salariale).
Si tratta di uno dei colpi più duri inferti all'università pubblica e di una ingiustizia nei confronti di chi lavora a tempo pieno nell'università; poiché allo stato attuale i docenti che decidevano di svolgere attività esterne all'università, avevano l'obbligo di optare per il "tempo definito" con conseguente riduzione di stipendio. Se il ddl verrà approvato dal parlamento accadrà invece che i docenti potranno fare lavori esterni all'università a proprio piacimento, infliggendo così un colpo di maglio senza precedenti alla didattica e alla ricerca pubblica.
I sindacati affermano che "l'abolizione della distinzione tra tempo pieno e tempo definito, con una piena liberalizzazione della possibilità di svolgere libera attività professionale, farà un regalo agli attuali professori e ricercatori a tempo definito che si vedranno attribuire l' indennità e godranno di tutte le prerogative degli attuali docenti a tempo pieno".
L'attività didattica, di ricerca e di servizio o di governo dei singoli docenti aumentano passando complessivamente a 350 ore annue di cui 120 dedicate alla didattica frontale. Ma in queste ore rientrano anche le ricerche scientifiche e le attività didattiche che i docenti possono svolgere per conto dei privati.
I concorsi per professore associato e ordinario verranno svolti ogni due anni e i contratti per i professori assunti a tempo determinato, potranno essere rinnovati una sola volta e per soli 6 anni, dopodiché l'università deciderà a seconda dei fondi a disposizione se assumere a tempo indeterminato o cacciare il mal capitato; inoltre, potranno essere occupati posti di prima e seconda fascia da studiosi italiani all'estero o stranieri "di chiara fama", una vera e propria corsia preferenziale basata sulla totale discrezionalità del governo. Insomma, quei pochi baroni che verranno confermati a tempo indeterminato insieme ai presidi acquisiranno un potere enorme nei confronti di tutto il resto del corpo docente prefigurando un'università ancora più gerarchizzata e fascistizzata.

Ricercatori precarizzati, ricerca e didattica privatizzate
Per ciò che attiene ai ricercatori, cioè i pilastri della didattica e della ricerca nelle università italiane che da tempo rivendicano quanto meno il riconoscimento della terza fascia della docenza, essi scompaiono come categoria e saranno assunti in nome della flessibilità e della precarietà, con contratti co.co.co. (ossia collaborazione coordinata e continuata) per 5 anni, con contratto rinnovabile una sola volta per altri 5 anni, allo scadere del quale o verranno assunti a tempo indeterminato o "rispediti a casa". Un vero e proprio schiaffo per dottorandi e ricercatori che ha suscitato proteste e mobilitazioni in tutta Italia.
In un'ottica sempre più aziendalista e privatistica e in linea con i suoi predecessori Zecchino e Berlinguer, la miliardaria ministra Moratti promuove un'università flessibile da un punto di vista lavorativo e autonoma da un punto di vista economico. E per ottenere un'autonomia finanziaria ancora più spinta si prevede addirittura l'inserimento diretto dei privati nell'università. Il ddl, prevede infatti che le imprese, gli enti, gli istituti finanziari, ai fini della propria speculazione e coperti dal velo della ricerca, possano finanziare nelle università, per tre anni e poi rinnovarla, una cattedra universitaria (Cattedra d'impresa) e portare avanti direttamente i progetti di ricerca ad essa legati.
E' facile prevedere che nelle università di serie A prolifereranno le cattedre d'impresa e l'asservimento del corpo docente ai privati mentre in quelle di serie B saranno costrette se non a chiudere a galleggiare in uno stato comatoso, azzerando le attività dedicate alla ricerca pubblica di base e semmai aumentando le già scandalose tasse universitarie e il costo dei servizi per gli studenti. Questo perché secondo la filosofia della Thatcher di viale Trastevere lo Stato deve ritirarsi dall'Università ed ogni singolo ateneo deve reperire da sé le proprie risorse finanziarie. Ciò significherà che ogni università corrisponderà ai docenti stipendi a seconda delle proprie risorse e questo farà sì che i professori cercheranno nuove fonti di approvvigionamento dai privati.
Il tutto, come è facile prevedere, a grave svantaggio delle facoltà del nostro martoriato Mezzogiorno e delle facoltà umanistiche.

Proteste in tutto il Paese
Assemblee di docenti e di ricercatori si stanno svolgendo da Palermo a Milano. Si contesta innanzitutto l'arroganza governativa che vuole approvare a colpi di maggioranza un ddl che non è stato presentato né ai docenti né ai sindacati. Un po' ovunque il contenuto del testo viene bocciato e definito la tomba dell'università e della ricerca pubblica perché è una controriforma a costo zero per lo Stato, che segue i tagli governativi al finanziamento pubblico delle università, perché liquida dottorandi e ricercatori con un ben servito rendendoli ancora più flessibili, precari e ricattabili di quanto non lo siano già, perché ad esso si affianca da un lato l'odiosa controriforma scolastica e dall'altro la messa in liquidazione e privatizzazione dei grandi enti di ricerca pubblici come il Cnr e l'Istat per i quali si è parlato di trasformazione in Spa o in fondazioni di diritto privato.
Le proteste hanno preso il via immediatamente in decine di atenei, con assemblee spontanee di docenti, ricercatori e studenti. Il picco più alto della protesta è avvenuto nella capitale dove il 5 febbraio, per la prima volta insieme agli studenti, l'aula magna della Sapienza è stata occupata da professori, associati, ricercatori e dottorandi.
Il 17 febbraio scorso c'è stato lo sciopero nazionale contro la "riforma", che ha visto combattive manifestazioni e, per la prima volta nella storia, il blocco delle sedute di laurea mentre è in programma l'occupazione dei rettorati (cfr. Il Bolscevico n. 8/2004).
I sindacati dei docenti, in un documento unitario, sottolineano anche un altro aspetto negativo: "Per quanto riguarda i contenuti del progetto di riforma dello stato giuridico si prospetta un pernicioso disegno di progressiva deresponsabilizzazione dello Stato nei confronti del sistema dell'alta formazione culturale e scientifica, disegno parallelo rispetto al non meno preoccupante processo di centralizzazione e accorpamento della ricerca scientifica, privilegiando alcuni settori della ricerca applicata a scapito della ricerca di base che è il presupposto per lo sviluppo della conoscenza e per le successive applicazioni".
Conseguenze del ddl Moratti-De Maio
Alla luce di quanto esposto, se il ddl proposto dalla Moratti e da De Maio, divenisse legge, nefaste e micidiali sarebbero le conseguenze per l'università pubblica, che si trasformerebbe in un' "università-azienda", sempre più simile ad una impresa, basata sulla meritocrazia, sull'autonomia finanziaria ed economica, sulla flessibilità, e alla mercé dei privati. Molte università pubbliche del Sud soccomberebbero nella competizione. Peggioreranno la didattica e la ricerca. Con l'invecchiamento del corpo docente stabile, ci sarà un consistente taglio del corpo docente e una progressiva e generalizzata precarizzazione dei rapporti di lavoro. Al vertice dell'università si verrebbero a formare cordate e gerarchie basate sul puro potere accademico ed economico.
In sostanza l'obiettivo è distruggere ciò che era rimasto dell'università pubblica.

Cosa fare?
Per affossare quest'odiosa controriforma che il governo del neoduce Berlusconi si accinge a compiere, l'unico mezzo è lottare, proprio come stanno facendo le studentesse e gli studenti, i ricercatori ed i docenti in tutt'Italia, in primo luogo dando vita ad assemblee generali, basate sulla democrazia diretta, che decidano da sé la linea politica e le modalità di organizzazione della lotta.
L'obiettivo del governo è quello di smantellare la scuola e l'università pubbliche, per creare i nuovi dirigenti dell'economia, delle istituzioni, delle amministrazioni del regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Occorre dunque unire tutte le forze antifasciste, democratiche, progressiste per buttare giù il governo del neoduce Berlusconi e le sue controriforme.

3 marzo 2004