Su pressione del padrino Prodi
Il sindaco di Bologna si dimette travolto dal Cinzia-Gate
Delbono è accusato di peculato, truffa e abuso d'ufficio. Pagava con i soldi pubblici viaggi e svaghi con l'ex fidanzata

Messo con le spalle al muro dai risvolti dell'inchiesta giudiziaria che da circa un anno ha puntato i riflettori sulle allegre "spese di rappresentanza" alla regione Emilia-Romagna retta dal governatore di "centro-sinistra" Vasco Errani, il 28 gennaio, dopo appena 218 giorni di mandato a Palazzo D'Accursio, il sindaco di Bologna, Flavio Delbono, accusato di abuso d'ufficio, peculato, truffa aggravata e pressione su testimone è stato costretto a dimettersi in seguito all'esplosione del cosiddetto "Cinzia-Gate" ossia la scandalosa vicenda inerente l'utilizzo di denaro pubblico per viaggi di piacere, regali e spese folli con la sua ex fidanzata-segretaria Cinzia Cracchi.
Delbono ha annunciato di aver preso la decisione di dimettersi "senza consultare Errani o Prodi". In realtà, di fronte alla brutta svolta giudiziaria, con l'imminente avvio della campagna per le elezioni regionali dove Errani è candidato per la quarta volta alla presidenza della Regione e in seguito al "passo indietro" chiesto dal suo padrino politico Romano Prodi, a Delbono non rimaneva altra scelta.
"Passo" che Delbono ha fatto mal volentieri dal momento che appena due giorni prima, ancora forte dell'appoggio di tutto il vertice del PD, al termine di un lungo interrogatorio secretato dagli inquirenti e durato oltre cinque ore, con tono di sfida aveva affermato: "Non mi dimetterò nemmeno se sarò rinviato a giudizio".
La verità è che da almeno otto mesi, ancor prima delle primarie del PD di dicembre 2008 e della sua elezione a sindaco di Bologna nel giugno scorso, tutti sapevano che Delbono se la spassava in giro per il mondo in compagnia della sua fidanzata-segretaria Cinzia Cracchi (anche lei indagata per peculato e abuso d'ufficio) a spese dei contribuenti.
Lo sapevano i magistrati che proprio sui lauti rimborsi dell'allora vicepresidente della Regione e assessore alle Finanze, all'organizzazione e ai sistemi informativi, avevano già avviato un'inchiesta. Lo sapevano bene anche i boss del PD a cominciare da Prodi, dal governatore Errani, che nel 2000 lo nomina assessore e nel 2003 suo vice, e lo sapeva bene anche l'attuale segretario PD Pierluigi Bersani suo grande sostenitore alle comunali di un anno fa.
Per otto mesi il PD ha difeso a spada tratta Delbono; l'inchiesta della magistratura (aperta in seguito alle dichiarazioni del candidato del "centro-destra" Alfredo Cazzola che in campagna elettorale svelò le accuse di Cinzia Cracchi contro Delbono e le numerose, frequenti e lunghe vacanze della coppia) fu immediatamente bloccata, la vicenda sparì dalle pagine dei giornali e sembrava ormai avviata verso l'archiviazione. Infatti i pubblici ministeri (Pm) Luigi Persico e Massimiliano Serpi "per non turbare la campagna elettorale", decidono di operare in prima persona, "senza delega agli organi di polizia giudiziaria". In quei mesi la Procura di Bologna è un po' in subbuglio: il procuratore è un reggente, Silverio Piro, già in procinto di essere trasferito alla guida della procura di Velletri; mentre il Pm Persico si appresta a traslocare alla procura generale presso la corte d'appello di Bologna. Succede così che i due Pm, dopo aver spulciato frettolosamente la documentazione delle trasferte relative al 2003 e 2004, cioè all'inizio della relazione sentimentale tra i due, quando la Cracchi lavorava in Comune e il primo periodo in Regione come segretaria di Delbono, non evidenziano nulla di strano e a fine settembre avanzano una richiesta di archiviazione. Richiesta che il 1° dicembre 2009 viene respinta dal giudice per indagini preliminari (Gip) Giorgio Floridia. Pochi giorni dopo, il 15 dicembre, Roberto Alfonso, per 15 anni sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, si insedia alla procura di Bologna; le indagini su Delbono vengono affidate a un altro magistrato, Morena Plazzi, che nel giro di poche settimane convoca nuovamente la Cracchi, incarica la Digos di svolgere ulteriori accertamenti, e finalmente lo scandalo viene a galla.
Nel suo ultimo interrogatorio con la Pm Plazzi, la Cracchi ha raccontato che nei mesi scorsi Delbono le chiese di restituirgli il bancomat e di abbassare i toni delle sue dichiarazioni in cambio di favori (soldi, nuovo lavoro, un'auto). In uno di questi incontri la Cracchi ha riferito di aver ricevuto una busta gialla con cinquemila euro dalle mani di Luisa Lazzaroni, assessore comunale al Welfare. Circostanza che ha indotto la Pm a indagare Delbono per pressioni su testimone ipotizzando che abbia indotto la sua ex fidanzata-segretaria a rilasciare dichiarazioni mendaci e adombrando ipotesi di minacce e ricatti.
Tra le carte dell'inchiesta figurano anche i nomi di Francesco Stagni, missino, ex revisore dei conti nella giunta Vitali e soprattutto socio in affari con Delbono, in riferimento ad alcune speculazioni immobiliari fatte in Bulgaria dove Delbono si recava per curare i suoi affari pur risultando ufficialmente "in missione per conto della Regione"; e di Mirko Devani, amico di vecchia data, intestatario del bancomat posseduto da Delbono e girato alla Cracchi per il prelievo delle sue "spese personali" il cui possesso è stato giustificato da Delbono nell'ambito di una presunta trattativa avuta con Devani per l'acquisto di una multiproprietà a Malta.
Insomma, altro che questione morale!
Lo scandalo che ha travolto il neopodestà di Bologna conferma che il "centro-destra" e il "centro-sinistra" non sono altro che le due facce del regime neofascista e che la presunta "superiorità morale" e il cosiddetto "modello politico di valore nazionale" delle amministrazioni di "centro-sinistra" sono solo fumo negli occhi delle masse e dell'elettorato per ingannarlo e usurpargli il voto.

3 febbraio 2010