Lo documentano i giudici di Palermo
Dell'Utri era il mediatore tra Berlusconi e la mafia
La mafia, pagata da Berlusconi, votò Forza Italia

Le motivazioni della condanna in Appello a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa per Marcello Dell'Utri, aprono uno squarcio terrificante sulla storia dei rapporti tra imprenditoria, istituzioni borghesi e mafia negli ultimi trent'anni. Si tratta di 641 pagine che individuano nel senatore del PDL lo "specifico canale di collegamento" tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi, nonché definendolo consapevole apportatore di un "rilevante contributo" al rafforzamento della criminalità organizzata siciliana, avendole fornito gli agganci e le conoscenze necessari ad arrivare alla "cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo", il gruppo allora nascente facente capo all'attuale neoduce che pagava per "stare tranquillo".
Recitano, infatti, in relazione a quest'accusa le motivazioni di Appello, che il legame diretto di Dell'Utri con elementi mafiosi come Antonio Cinà e Vittorio Mangano, consentì a questi ultimi di accrescere il loro peso criminale in Cosa nostra "proprio in ragione del fatto che l'imputato ha loro consentito di accreditarsi come tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno dei più importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, prima di determinarsi anche verso un impegno personale in politica".
Il patto mafia-Dell'Utri-Berlusconi che, però, nelle motivazioni viene descritto come puramente economico e si concluderebbe in una sorta di estorsione di un pizzo in grande stile alla "vittima" Berlusconi, sarebbe stato concluso, avendo i giudici ritenuto credibile il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, "negli uffici di Berlusconi" nel 1975 a Milano, alla presenza, oltre che degli attuali neoduce e senatore del Pdl, anche di un boss mafioso del calibro di Stefano Bontade, di Gaetano Cinà e Girolamo Teresi. Sulla base di questi reciproci interessi economici, mantenuti grazie ai rapporti amichevoli e continuativi che Dell'Utri aveva "con i vertici della potente mafia siciliana", Fininvest aveva cominciato a gestire e "acquisire nel palermitano alcune emittenti Tv".
In quell'incontro, ormai notissimo, dicono le motivazioni della sentenza, il "Principe di Villagrazia", come amava farsi chiamare il padrino Bontade, raccomandò a Berlusconi per ogni eventuale futura esigenza proprio dell'Utri, "contestualmente stabilendo che avrebbe mandato o comunque incaricato specificamente qualcuno che gli stesse vicino", cioè Mangano, definito un "eroe" dal senatore PDL, che poi venne assunto da Berlusconi come stalliere ad Arcore.
Siamo all'inizio degli anni Ottanta, dopo l'assassinio del boss Stefano Bontade, avvenuto nell'aprile del 1981 per mano di sicari inviati da Salvatore Riina, Dell'Utri riesce a mantenere i suoi contatti con Cosa nostra, risultando, evidentemente, ben inserito negli ambienti, "specificamente adoperandosi, fino agli inizi degli anni '90, affinché il gruppo imprenditoriale facente capo a Silvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di denaro a titolo estorsivo in cambio di 'protezione' a vario titolo assicurata". I giudici d'appello sostengono che il comportamento criminale di Dell'Utri, può "ritenersi sussistente" solo fino a quando è provato il pagamento da parte di Berlusconi "delle somme richiestegli a favore di Cosa Nostra": in sostanza se non vi è più passaggio di soldi, non vi sarebbe neanche più alcun legame tra l'asse Dell'Utri-Berlusconi e Cosa nostra.
Difettano, è il termine usato dai giudici, "elementi certi per affermare che ciò ( il passagio di denaro, ndr) sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolare dopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993, l'imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nella politica del Paese".
Ma, l'evidente contraddizione contenuta nelle motivazioni della sentenza che non spiegano come sia possibile che i rapporti di Dell'Utri con la mafia si interrompano all'improvviso dopo il 1992, non quadra neanche ad alcuni giudici. Antonino Gatto, il sostituto procuratore generale di Palermo, che ha rappresentato l'accusa nel processo d'appello, mette il dito nella piaga, affermando: "per quanto riguarda la parte sulla politica purtroppo non è stata confermata la tesi che io avevo portato in aula" e cioè che Forza Italia, dopo la sua nascita, avrebbe fatto un patto con Cosa nostra. Il Procuratore contesta anche la parte della sentenza riguardante la mancanza di prove sui presunti rapporti tra il senatore Dell'Utri e i boss mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, condannati all'ergastolo per le stragi di Milano e Firenze del 1993 e per l'attentato a cui sfuggirono il giornalista Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi.
Infatti, per i giudici d'Appello: "non sussiste alcun concreto elemento ancorché indiziario" di contatti tra Marcello Dell'Utri e i fratelli Graviano, dicono le motivazioni d'Appello. Gatto, invece, afferma "Da mie elaborazioni c'è la prova documentale dei rapporti tra Marcello Dell'Utri e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Quindi lo dimostrerò nel ricorso".
Il documento stesso delle motivazioni su questo punto cade in contraddizione, non escludendo che tra "la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia, voluto da Berlusconi e creato con il determinante contributo di Dell'Utri, in Cosa Nostra maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo". Dunque, la mafia votò in massa per Forza Italia, il sessantuno a zero con cui Berlusconi fece il pieno di seggi in Sicilia non nacque dal nulla, e la spiegazione non può che risiedere in un legame di reciproco aiuto che s'era già stabilito da decenni: Berlusconi aveva per vent'anni pagato Cosa nostra e la sua nascente formazione politica non poteva che rappresentare un'ulteriore garanzia per gli affari dei boss, nonché un appoggio garantista per risolvere i loro guai giudiziari.
Certo è che le motivazioni, per quanto non ci convincano fino in fondo perché avrebbero dovuto confermare e approfondire l'impianto della sentenza di primo grado, contengono un'ampia documentazione di tutta l'inquietante storia politica del neoduce legata a doppio filo nero con quella del mafioso Dell'Utri sul versante siciliano.
Noi pensiamo che gli sforzi dei magistrati palermitani e fiorentini sull'accertamento della verità sui legami tra la mafia e i mandanti "occulti" delle stragi golpiste del 1992, vero nucleo politico intorno a cui ruota la feroce battaglia per delegittimare la magistratura antimafiosa e i collaboratori di giustizia, invece vadano risolutamente sostenuti e incoraggiati da parte di tutte le masse democratiche, antifasciste e antimafiose, affinché vadano fino in fondo nelle inchieste e facciano tutto il possibile per inchiodare Berlusconi e i suoi sgherri alle loro responsabilità criminali.
In ogni caso un nuovo 25 Aprile si impone già ora, per liberarsi con la lotta di piazza e di massa del nuovo Mussolini e del suo governo neofascista, antioperaio, piduista, razzista e mafioso.

9 dicembre 2010