Perché non distinguete le piccole dalle grandi "comunità terapeutiche" nei servizi su tossicodipendenza e legge Fini?
Compagne e compagni marxisti leninisti,
ho letto con estremo piacere l'inchiesta sulla tossicodipendenza e la legge Fini sul numero 8 de Il Bolscevico.
Lavoro da 10 anni con persone tossicodipendenti, in strada e in comunità, credo di avere una visione obiettiva della situazione, ho frequenti confronti con colleghi in tutta Italia e nulla, nulla appare più deteriore e incompatibile con le reali esigenze di quanto sia il progetto punitivo della legge in discussione. Condivido pienamente la vostra analisi, vi invito perciò a fare un doveroso distinguo: quando si parla di "comunità terapeutica" non bisogna pensare solo alle grandi comunità "di Stato" che vivono di donazioni miliardarie e di appoggi politici e altro.
La maggioranza delle comunità del privato sociale in Italia (e sono tante) sono cooperative sociali o associazioni nate dal volontariato e poi cresciute e professionalizzate, che vivono delle convenzioni regionali e a mala pena si reggono economicamente, con operatori molto qualificati (ad es., nella nostra struttura siamo dodici operatori, cinque laureati, due laureandi, tutti gli altri operatori diplomati, qualificati a livello regionale), con stipendi al limite della sopravvivenza (chi scrive è psicologa, a giorni specializzanda in psicoterapia, con perfezionamento universitario in dipendenze patologiche, ha 45 anni, lavora 40 ore la settimana, è socia dipendente all'8° livello del contratto coop. sociali e lo stipendio, con 6 anni di anzianità, è di 1.150 euro). Gli obiettivi e le metodologie dei programmi sono tutt'altro che "punitivi", non si usa il bastone neanche in maniera metaforica, non si vuole "redimere" nessuno, ma ridare forza e fiducia a chi, comunque, non ha mai perso la sua dignità di persona.
Grandissima parte delle comunità, a fianco dei Servizi pubblici, è assolutamente contraria alla legge Fini: vi invito a consultare sul sito www.cnca.it la dichiarazione resa ufficiale nella Conferenza tenutasi a Bologna e intitolata "non incarcerate il nostro crescere", in cui si riconoscono un'infinità di associazioni diverse e tutte le comunità che appartengono al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.
Per introdurvi, eccovi di seguito la premessa: "Con una campagna stampa che farebbe invidia ad un nuovo prodotto di consumo da lanciare con enfasi ed aspettative sul mercato, preparata per mesi da periodici lanci mediatici quasi a creare un'aspettativa `d'acquisto', è stata presentata la `nuova' legge Fini sulla droga, che da subito ci appare più che una risposta a dei bisogni reali - come una legge dovrebbe essere - una proposta manifesto (come quelle sull'immigrazione, sulla prostituzione, sulla psichiatria, ecc.), ad alta enfasi ideologica e a gestione quasi esclusivamente politica e mediatica.
La proposta di legge Fini appare più ispirata da una cieca ansia punitiva e di affermazione etica che da un reale aiuto o confronto con la realtà e i fenomeni di cui si dovrebbe occupare, non tiene conto della loro enorme diffusione o dell'evoluzione dei vari stili di consumo, abuso e dipendenza - in particolare nel mondo giovanile -, ma soprattutto non si confronta con l'ampio sviluppo di un sistema di intervento che buona parte dell'Europa ci invidia, anche se forse attualmente in difficoltà (sia Sert che Enti ausiliari), con risorse sempre più ridotte e una diminuzione progressiva degli operatori coinvolti.
Una proposta di legge datata che ha scelto di non confrontarsi nemmeno con le molteplici esperienze e le buone pratiche sviluppate in questi anni né con gli enti e le organizzazioni che ormai da decenni si occupano di tossicodipendenze - non le comunità, non i servizi pubblici e neppure gli enti locali - ma neanche con il nuovo ordinamento che su queste tematiche richiede un diverso rapporto tra regioni e stato centrale.
Dalla necessità di far sentire la propria voce e il proprio profondo dissenso a questa impostazione nasce un cartello formato dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni e degli enti pubblici e privati impegnati in questo campo e non solo che si rivolge agli operatori, agli insegnanti, ai genitori, ai giovani...".
Vi invito, come operatore sociale e come comunista, a occuparvi con continuità di questo tema, senza cadere in facili generalizzazioni.
Saluti.
Stefania - Vicenza

Cara compagna Stefania,
innanzitutto siamo lieti che condividi in gran parte la nostra analisi sulla legge fascista Fini sulla tossicodipendenza e ti ringraziamo per averci inviato la giusta presa di posizione da parte di numerose "comunità terapeutiche" contro di essa.
Per quanto riguarda l'"invito, come operatore sociale e come comunista, a occuparvi con continuità di questo tema, senza cadere in facili generalizzazioni", accogliamo la critica. Non abbiamo infatti motivo per dubitare che "la maggioranza delle comunità del privato sociale in Italia (e sono tante) sono cooperative sociali o associazioni nate dal volontariato e poi cresciute e professionalizzate, che vivono delle convenzioni regionali e a mala pena si reggono economicamente... con stipendi al limite della sopravvivenza". Il problema di alcune forzature e "generalizzazioni" è dovuto probabilmente al fatto che non abbiamo una conoscenza diretta del mondo delle "comunità terapeutiche" ma abbiamo provato a fare un ragionamento generale. Quello di cui puoi stare sicura e che non si voleva nell'articolo attaccare i lavoratori del settore, poiché ovviamente anche quando critichiamo la sanità privata che drena fiumi di risorse pubbliche sottratte a quella pubblica sempre più allo sfascio, non si intende per nulla attaccare coloro che vi lavorano.
Il paragone con la sanità privata vuol sottolineare anche che lo sviluppo del settore no-profit, cooperativo o del cosidetto volontariato, al di là della buona fede di chi lo pratica o del grande impegno e dedizione di chi ci lavora, è "oggettivamente" uno strumento utilizzato dai governi e dalle istituzioni borghesi per cancellare lo "Stato sociale" e i servizi pubblici, è una controriforma mascherata. Che il grosso flusso di finanziamenti devoluti dalle Asl alle grandi "comunità terapeutiche", ma anche alle piccole, non vadano nelle tasche dei lavoratori - come tu giustamente denunci - dimostra come esse siano un luogo in cui si introducono forme aberranti di lavoro semi-volontario dove possono essere calpestati i diritti essenziali dei lavoratori (stipendio, orario di lavoro, ecc.). A volte ciò può avvenire, come è il caso di S. Patrignano e simili dove i tossicodipendenti stessi sono sfruttati come schiavi a costo zero per fini di produzione aziendale, persino a prescindere dalle buone intenzioni di chi le dirige.
Un altro esempio: saprai che i servizi sociali dei Sert (Servizi pubblici per le tossicodipendenze) si stanno trasformando in organi amministrativi addetti allo smistamento di "pazienti" in comunità terapeutiche, che molti di essi non svolgono affatto il compito per il quale sono preposti: ossia aiutare i tossicodipendenti a superare le difficoltà della vita di tutti i giorni, come trovare casa e lavoro, sollecitare con forza, in tutto e in particolare nel settore della prevenzione e "riabilitazione", le latitanti amministrazioni comunali, provinciali e regionali. Senza attaccare né gli assistenti sociali né i lavoratori delle comunità, non credi che sia in atto un perverso meccanismo di finanziamento dei Sert da parte delle aziende sanitarie locali che stimola il proliferare delle comunità terapeutiche e viceversa?
In generale noi ci battiamo per una sanità pubblica, universale e gratuita e gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari e quindi il discorso da un punto di vista più generale ci porta a rivendicare l'unificazione delle strutture e del personale dei Sert e delle Comunità esistenti in Italia facendole rientrare nell'ambito della sanità pubblica e gratuita finanziata attraverso la fiscalità generale. Questo permetterebbe anche di far sì che l'approccio metodologico alla tossicodipendenza da parte delle "comunità" sia sottratto all'arbitrio di chi le dirige, come ci pare che avvenga oggi, permetterebbe un migliore coordinamento, una migliore collaborazione su basi scientifiche di tutte le figure professionali che si occupano di questo importante problema che ha risvolti economici, politici, sociali, neurobiologici, ecc., permetterebbe di aprire più centri pubblici diurni, strutture residenziali pubbliche aperte che oggi si contano sulla punta delle dita, di aprire i Sert 24 ore su 24 ore, ecc.
Ancora, per continuare il confronto e lo scambio di vedute sul tema che hai sollevato. vorremmo rivolgerti una domanda: tu affermi che nella comunità dove lavori "gli obiettivi e le metodologie dei programmi sono tutt'altro che punitivi" e che "non non si usa il bastone neanche in maniera metaforica". Non ne dubitiamo, ma sei sicura che ciò non avviene in altre, anche piccole, comunità? Il fatto per esempio di imporre al soggetto di "non drogarsi" quando si sta chiusi in comunità non è già questo un approccio coercitivo? Sei a conoscenza che alcune comunità addirittura non accettano ragazzi che fanno uso di metadone e che altre "impongono" in un modo o nell'altro la cosidetta "rota a secco"? Puoi confermare o smentire queste cose che noi conosciamo per "sentito dire"?
Infine, una domanda per conoscere la tua opinione e approfondire la nostra critica alla legge Fini: come sai essa prevede che le "comunità" possano certificare lo "stato di tossicodipendenza". Non credi che questo possa stimolare la mafia, comunque denominata, ad entrare nella dirigenza delle "comunità" o addirittura di aprirne di proprie per permettere ai propri affiliati di usufruire di comodi luoghi dove scontare le pene alternative al carcere? è esagerato o realistico prevedere che la legge punti ad un quadro del tipo: tossicodipendenti in carcere e mafiosi in comunità?

15 giugno 2005