Discorso di Denis Branzanti alla commemorazione di Mao a nome del Comitato centrale del PMLI
Applichiamo gli insegnamenti di Mao per spazzar via il marciume borghese e il governo del neoduce Berlusconi, per l'Italia unita, rossa e socialista

Qui di seguito pubblichiamo l'importante e applauditissimo discorso che il compagno Denis Branzanti, membro del CC e dell'Ufficio politico del PMLI, ha presentato a nome del CC alla commemorazione di Mao in occasione del 34° Anniversario della sua scomparsa. Il Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi, considera tale discorso un contributo di carattere storico alla linea del PMLI e al rapporto del partito con Mao, il suo pensiero e la sua opera.
Per stare nei tempi programmati, Branzanti ha letto solo delle parti del discorso.

Care compagne e cari compagni, amiche e amici intervenuti,
è con grande onore che parlo, a nome del Comitato centrale del PMLI, in occasione del 34° anniversario della scomparsa del grande maestro del proletariato internazionale Mao Zedong.
Sono molti i motivi per i quali il PMLI organizza annualmente questa commemorazione, il principale è sicuramente perché Mao ha dato un contributo fondamentale alla fondazione del nostro amato Partito, infatti, se Mao non avesse condotto una lotta serrata al revisionismo moderno, smascherandone la natura borghese, controrivoluzionaria e anticomunista, i primi pionieri del Partito non avrebbero di certo maturato la coscienza, il coraggio e l'iniziativa di fondare il PMLI.
Poi perché Mao è una fonte inesauribile di insegnamenti, una cascata di sapere e conoscenze alla quale non possiamo fare a meno di bagnarci, forte di un'esperienza rivoluzionaria unica al mondo per durata, complessità, arricchimenti teorici, congiunture internazionali, e che ha un valore non solo cinese ma mondiale; il pensiero di Mao costituisce la continuità e lo sviluppo del marxismo-leninismo, nei vari campi della filosofia, dell'economia politica e del socialismo scientifico.
Ha avuto, inoltre, il grande merito storico di aver condotto alla vittoria la rivoluzione e aver diretto l'edificazione socialista in Cina, un paese preda coloniale dei famelici paesi imperialistici, con un'ampiezza territoriale grandissima e una popolazione di diverse centinaia di milioni di abitanti condannata alla fame, all'abbrutimento, all'analfabetismo e alla schiavitù più crudele.
Con questa Commemorazione non vogliamo celebrare un culto, non è nostra intenzione trattare Mao come un dio o come un mito, anzi, proprio come egli affermava "Noi non crediamo a niente altro se non alla scienza, ciò significa che non bisogna avere miti. Sia per i cinesi che per gli stranieri, si tratta di vivi o di morti, ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato è sbagliato, altrimenti si ha il mito. Bisogna liquidare i miti".
No, Mao non è un mito, però, senza dubbio, è stato un grande marxista-leninista, il più grande del nostro tempo, e il pensiero di Mao ha guidato centinaia di milioni di persone alla conquista di una Cina libera dallo sfruttamento e dall'oppressione feudale, capitalista e imperialista, ha costituito una guida sicura per tutti i popoli del mondo amanti della pace e del progresso sociale.
Il fatto che pochi anni dopo la sua morte, una cricca di rinnegati capeggiata da Deng Xiaoping, lo abbia calunniato e abbia fatto cambiare strada alla Cina socialista rimettendola sui binari del capitalismo, e che ora di Mao nel governo e dello Stato cinese non rimangano che quadri e coccarde, non ci deve confondere, e non deve influire sul nostro giudizio su Mao, anzi, proprio a 34 anni di distanza dalla sua scomparsa, di fronte all'emergere della Cina capitalista come seconda potenza economica mondiale, paradiso per i ricchi e inferno per i lavoratori, che vediamo anche nelle nostre città ridotti a vivere come schiavi, funzionali alla macchina alla quale lavorano, in questo misero quadro emerge la grandezza di Mao e la superiorità del sistema socialista.

L'OPERA DI MAO
In questa occasione, pur nel limite di tempo a disposizione, dobbiamo dire chiaramente chi era e cosa ha fatto Mao, affinché in particolare le nuove generazioni possano conoscerlo e apprezzarlo, capire la sua opera e prenderlo a modello ed esempio per trasformare il mondo e se stessi. Ma anche noi marxisti-leninisti abbiamo ancora tanto da imparare da Mao e mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Mao era un uomo del popolo, ha passato la sua intera vita assieme al suo popolo, dal quale non si è mai distaccato, e che da vero marxista-leninista ha servito con umiltà e dedizione, ebbe infatti a dire: "Io sono fatto così: se c'è da fare qualcosa, da prendere decisioni di grande importanza, devo assolutamente chiedere il parere alle masse operaie e contadine, discutere e consultarmi con loro, consultarmi con i quadri più vicini a loro, per vedere se è una cosa fattibile o no. Per far questo bisogna andare in giro nelle varie zone. Restarsene in permanenza a Pechino sarebbe micidiale, a Pechino non viene fuori nulla, non ci sono materie prime. Le materie prime si ottengono tutte dagli operai e dai contadini, dalle situazioni locali".
"Per essere un buon insegnante, bisogna essere prima un bravo studente": questo è lo spirito che lo animava.
Mao visse e morì povero. In ogni periodo della sua vita, compreso quello in cui occupava la più alta carica dello Stato, aveva uno stile di vita fatto di semplicità, di modestia e di lotta. Egli formava un corpo unico col Partito, con l'Esercito popolare di Liberazione e con le masse popolari cinesi.
Quando Mao nacque, il 26 dicembre del 1893, la Cina attraversava un periodo di grandi rivolte contadine, dovute alla miseria generalizzata, aggravatasi in particolare dopo la guerra dell'oppio del 1840, e in conseguenza del saccheggio e della rapina del potere coloniale.
Nonostante la famiglia non vivesse in condizioni difficili, Mao viene educato alla vita semplice ed è così che crescerà, lavorando nei campi dall'età di 6 anni.
Le prime contraddizioni che affronta sono in famiglia, e determinate dall'autoritarismo e dal patriarcato, dalle tradizioni confuciane, e dal fatto che suo padre vuole che Mao abbracci e tramandi questo stile di vita, e la sua condizione sociale.
Ma quella vita, quei valori, non fanno per Mao, lo si capisce presto: quando all'età di 7 anni, si rifiuta di alzarsi in piedi e mettersi di fronte al maestro per dire la lezione: "Se lei mi può sentire bene stando seduto perché mai io dovrei alzarmi in piedi per recitare?", dice al maestro scatenandone così le ire.
Quando rifiuta di vivere assieme alla ragazza, che a 14 anni i suoi genitori gli fanno sposare in base alle usanze di allora; quando rigetta il buddismo in cui credeva da bambino; quando si taglia il codino e invita gli altri studenti a fare altrettanto, per dimostrare l'ostilità alla dinastia dei Manciù.
In Mao vi era una grande indignazione per le condizioni di vita del suo popolo, ma non sapeva ancora che strada prendere, tutto fu più chiaro dopo l'Ottobre del 1917, capì che la strada da seguire era quella dei bolscevichi russi che con la Grande rivoluzione socialista d'Ottobre avevano aperto, per primi al mondo, le porte al socialismo.
Mao comprende che: "La teoria di Marx, Engels, Lenin e Stalin è una teoria applicabile universalmente. Non dobbiamo considerarla come un dogma, ma come una guida per l'azione. Non bisogna limitarsi a imparare i termini e le espressione del marxismo-leninismo, bisogna invece studiarlo come scienza della rivoluzione. Non si tratta soltanto di copiare le leggi generali che Marx, Engels, Lenin e Stalin hanno tratto dal loro ampio studio della vita reale e dall'esperienza rivoluzionaria, ma anche di studiare la posizione e il metodo da loro assunti nell'esaminare e risolvere i problemi".
Nel 1919, con il movimento del 4 maggio, inizia una nuova fase della rivoluzione democratica, antifeudale e antimperialista, alla quale partecipano centinaia di migliaia di giovani studenti, Mao si getta fra di loro, mettendo subito in luce le sue grandi qualità di dirigente,educatore ed organizzatore politico, nonché sindacale quando lavora tra gli operai.
Il movimento del 4 maggio si spegne, ma per Mao non è una fine, bensì un inizio, da esso infatti matura la coscienza della necessità di formare il Partito comunista cinese, alla fondazione del quale, il 1° luglio 1921 partecipa assieme ad altri undici delegati.
Nel PCC non ricopre da subito quel ruolo fondamentale che conquisterà in seguito, anzi, per molto tempo rimane in minoranza, talvolta isolato e spesso criticato dagli altri dirigenti, che adottano di volta in volta deviazioni di destra o di "sinistra".
Mao però, rispetto agli altri dirigenti, basava le sue posizioni su una conoscenza diretta e profonda della situazione, considerava il problema della rivoluzione cinese su basi assolutamente concrete, "chi non fa inchieste non ha diritto di parola", questo era il suo principio.
Dopo il primo tentativo di colpo di Stato anticomunista del 1926 quando vengono imprigionati un gran numero di comunisti, Jiang Jieshi ne attua un secondo l'anno seguente, iniziando il massacro dei comunisti e degli elementi di sinistra del Guomindang e spiccando l'ordine d'arresto di Mao nello Hunan, che però, assieme ad altri compagni, riesce a sfuggirgli.
I comunisti cinesi superano le campagne di accerchiamento e di annientamento intraprese dalle armate reazionarie del Guomindang e creano una Repubblica dei Soviet nelle zone rosse liberate dall'Esercito popolare di Liberazione costituito nel 1927, Mao ne diviene presidente nel 1931 e dichiara formalmente guerra al Giappone aggressore.
Nel 1935 Mao è capo di quella che diverrà una delle più grandi imprese militari della storia mondiale. Parte da una decisione sbagliata del Comitato centrale del PCC, che ordina di lasciare le basi rosse per attaccare le città ed affrontare in campo aperto l'esercito del Guomindang più numeroso e con armi e mezzi soverchianti. Ne risulta una pesantissima sconfitta, e Mao, che non condivise quella scelta ma la accettò, deve lasciare la base centrale di Ruijin per evitare il totale annientamento delle forze rivoluzionarie. Inizia così, il 16 ottobre del 1934, l'epica Lunga Marcia dell'Esercito rosso. Percorse 12.500 Km a piedi accerchiato, costretto quasi ogni giorno al combattimento e sottoposto a durissime condizioni. La Lunga Marcia si concluse con una straordinaria vittoria il 20 ottobre 1935, quando la colonna diretta da Mao arriva a Weichicheng, nello Shaanxi. Un manifesto della rivoluzione cinese, una poderosa semina del Partito comunista, una scuola di Partito, tutto questo fu la Lunga Marcia.
Quando nel 1935 il PCC riconosce la validità della strategia di Mao della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, basata sul fronte unito con la borghesia nazionale e sulla funzione dirigente del Partito comunista, e la adotta destituendo la vecchia direzione opportunista di "sinistra" ed eleggendo Mao presidente dell'Ufficio Politico, avviene una svolta storica per lo sviluppo e la vittoria della rivoluzione di nuova democrazia.
Così Mao la definisce rivoluzione di nuova democrazia, perché si tratta inizialmente di una rivoluzione "democratico-borghese", tesa ad abbattere il regime feudale e l'oppressione coloniale e solo successivamente a trasformare la società in senso socialista, ma in condizioni completamente nuove rispetto al passato, a guidarla infatti, per la prima volta, non è la borghesia ma il proletariato e il Partito comunista, e in uno panorama profondamente modificato dall'ingresso sulla scena internazionale dell'Unione Sovietica guidata da Stalin.
L'alleanza con i contadini, che rappresentavano l'80% della popolazione cinese, diviene indispensabile, senza per questo però rinunciare all'altrettanto indispensabile ruolo dirigente del proletariato.
Lenin aveva già chiarito questa situazione: "In qualsiasi paese capitalistico la forza del proletariato è incomparabilmente più grande del peso numerico dei proletari nella somma totale della popolazione. E ciò perché il proletariato ha il dominio economico sul centro e sul ganglio di tutto il sistema economico del capitalismo ed anche perché, in regime capitalistico, esso esprime economicamente e politicamente gli interessi effettivi della maggioranza dei lavoratori.
Perciò il proletariato, anche quando costituisce la minoranza della popolazione (o quando l'avanguardia cosciente e veramente rivoluzionaria del proletariato costituisce la minoranza della popolazione), è in grado di abbattere la borghesia e attrarre poi dalla sua parte molti alleati da quella massa di semiproletari e di piccoli borghesi che non si pronuncerà mai preventivamente per il dominio del proletariato, che non comprende le condizioni e i compiti di questo dominio e che soltanto in base alla propria esperienza ulteriore si convincerà dell'inevitabilità, della giustezza, della necessità della dittatura del proletariato".
In base agli insegnamenti di Lenin sul rapporto tra il proletariato e le altre classi sociali, Mao conferma, tenuto conto anche della situazione cinese, che: "Benché abbia alcune inevitabili debolezze - ad esempio, il suo numero non rilevante (paragonato a quello dei contadini), la sua giovinezza (se paragonato al proletariato dei paesi capitalisti) e il suo basso livello culturale (se paragonato con il livello culturale della borghesia) - il proletariato cinese è nondimeno divenuto la forza motrice fondamentale della rivoluzione cinese. Senza la direzione del proletariato, la rivoluzione non può sicuramente trionfare".
È per questo che Mao critica decisamente il settarismo e la tendenza alla precipitazione della rivoluzione così come anche l'opportunismo di destra e l'eccessivo attendismo, e inizia le trattative con Jiang Jieshi per costituire un fronte unito in funzione antigiapponese, in quanto le contraddizioni tra il popolo e il Guomindang in quel momento scendevano in secondo piano, la contraddizione principale era quella tra il popolo cinese e l'oppressione giapponese, e il fronte unito con Jiang Jieshi era indispensabile per risolverla.
Tale fronte unito porta nel 1945 alla cacciata dell'invasore giapponese, ma subito dopo inizia la terza guerra civile rivoluzionaria a causa delle ripetute violazioni da parte del Guomindang dell'Accordo sottoscritto nel 1937, e con esso si schiera l'imperialismo americano che gli fornisce tutto l'aiuto necessario, anche militare, per reprimere i comunisti.
Non basta però a schiacciare il popolo e l'Esercito Rosso che si uniscono fino a fondersi in una cosa sola, e liberato territorio dopo territorio, città dopo città, il 1° Ottobre 1949, sulla Piazza Tian An Men di Pechino, di fronte a milioni e milioni di persone, Mao proclama la nascita della Repubblica popolare cinese con uno storico discorso nel quale afferma: "Il popolo cinese si è alzato in piedi... nessuno ci insulterà più".
I primi anni sono segnati dalla completa sconfitta delle forze del Guomindang e dalla riorganizzazione dell'economia nazionale a partire dalla confisca delle grandi industrie private trasformate in imprese statali, vengono mobilitate le masse nella riforma agraria per la confisca delle terre, possedute al 70% dai proprietari fondiari e dai contadini ricchi, e si procede verso l'industrializzazione socialista della Cina e la trasformazione socialista dell'agricoltura, dell'artigianato e del commercio capitalisti.
Nel 1956 la Cina termina sostanzialmente la trasformazione socialista della proprietà dei mezzi di produzione, ciò è reso possibile grazie all'immane sforzo di tutto il popolo unito verso un solo obiettivo.
È reso possibile grazie all'apporto determinante delle donne che per la prima volta si liberano dai lavori di casa e partecipano alle attività produttive e sociali.
Mao è sempre stato sensibile al problema dell'oppressione della donna, ancora quando era ragazzo non sopportava la vista delle donne del suo paese soggette ai più umilianti e inumani trattamenti; infatti a quell'epoca in Cina erano considerate poco più degli animali, non avevano alcun diritto e dovevano sottostare in silenzio all'autorità religiosa, statale, paterna, maritale e familiare. Venivano addirittura considerate dalla filosofia confuciana un pericolo costante per l'uomo e di cui diffidare; a loro era proibito uscire di casa, lavorare nei campi, persino di sedersi accanto all'uomo e alla stessa tavola. Per costringere le donne alla reclusione e sancirne la proprietà esclusiva da parte dell'uomo, erano in uso delle vere e proprie torture fisiche, quale quella della fasciatura dei piedi, fin da piccole, in modo che questi non si sviluppassero, e impedissero loro qualsiasi movimento.
Mao invece dà loro ampio spazio e la giusta importanza, tra i tanti articoli scrive: "Le donne rappresentano la metà del popolo. La condizione economica delle lavoratrici, il fatto che esse soffrano particolarmente dell'oppressione provano non solo che le donne hanno un bisogno urgente della rivoluzione, ma anche che esse costituiscono una forza decisiva per la vittoria della rivoluzione"... Le donne sono "in potenza una tremenda forza rivoluzionaria".
E una delle prime leggi promulgate dalla Cina socialista, il 30 aprile 1950, è proprio quella sul matrimonio, che era il principale strumento di oppressione delle donne. Con essa si proibiva l'uccisione dei neonati, la vendita dei bambini, la poligamia, il concubinaggio, autorizzava il divorzio e permetteva alle vedove di risposarsi, le donne inoltre potevano tenere il loro nome.
Inoltre viene lanciata una campagna di massa per combattere le tradizioni e i pregiudizi secolari che impediscono una puntuale applicazione della legge.
Ma la trasformazione socialista della Cina è stata resa possibile anche grazie all'incondizionato e commovente sostegno fraterno dell'Unione sovietica, con la quale vengono stipulati accordi, prestiti, collaborazione nei campi scientifico ed economico nonché militare, che aiutano non poco l'edificazione della giovane e inesperta Cina socialista.
Il 21 dicembre 1949, in occasione dei festeggiamenti per il 70° compleanno di Stalin, Mao pronuncia a Mosca un discorso in cui afferma che "Stalin è il maestro e l'amico del genere umano e del popolo cinese".
Quando muore Stalin, il 5 marzo del 1953, Mao decreta il lutto nazionale in Cina, invia un telegramma di condoglianze e scrive un necrologio, mettendo in entrambi in rilievo i meriti di Stalin e il suo apporto alla rivoluzione cinese e mondiale.
Non che Mao prendesse per buono tutto ciò che Stalin ha fatto; tutti e cinque i Maestri d'altronde hanno commesso degli errori, prevalentemente per inesperienza, ma per Mao "I meriti di Stalin sono l'aspetto principale, i difetti e gli errori l'aspetto secondario"... "Il ritratto di Stalin è sempre innalzato nella nostra piazza Tian An Men, il che è conforme ai desideri dei popoli lavoratori di tutto il mondo e sottolinea le divergenze fondamentali tra noi e Krusciov".
Mao chiarisce anche il concetto di democrazia nelle condizioni della dittatura del proletariato rispetto alla dittatura della borghesia: "Libertà e democrazia - dice - esistono solo in concreto, mai in astratto. In una società in cui esiste la lotta di classe, se le classi sfruttatrici hanno la libertà di sfruttare i lavoratori, i lavoratori non hanno la libertà di sottrarsi alla sfruttamento; dove esiste democrazia per la borghesia non può esservi democrazia per il proletariato e per gli altri lavoratori"... "La nostra democrazia socialista è la più ampia forma di democrazia, una democrazia che non può esistere in nessuno Stato borghese. La nostra dittatura è la dittatura democratica popolare diretta dalla classe operaia e basata sull'alleanza degli operaia e dei contadini".
Nel 1956 termina la fase di nuova democrazia ed inizia la Rivoluzione socialista, Mao è consapevole che l'inizio di questa non corrisponde con la scomparsa delle classi, e quindi neanche della lotta di classe, che continua ad esistere e creare contraddizioni, che Mao tratta in un discorso di memorabile importanza pronunciato il 27 febbraio 1957, all'XIŠ Sessione della Conferenza suprema dello Stato della RPC dal titolo: "Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo".
Con esso getta le basi teoriche e politiche per l'edificazione del socialismo e la continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, e noi marxisti-leninisti italiani la consideriamo una delle cinque opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e se stessi, assieme al "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels, "Stato e Rivoluzione" di Lenin, "Principi del leninismo" e "Questioni del leninismo" di Stalin.
Vi si dice tra l'altro: "Abbiamo di fronte due tipi di contraddizioni sociali: quelle tra il nemico e noi e quelle in seno al popolo. Sono due tipi di contraddizioni di carattere completamente diverso... Le contraddizioni tra il nemico e noi sono contraddizioni antagonistiche. In seno al popolo, le contraddizioni tra i lavoratori non sono antagonistiche e le contraddizioni tra classe sfruttata e classe sfruttatrice presentano, oltre al loro aspetto antagonistico, un aspetto non antagonistico", questo nella Cina di allora, dove "La borghesia nazionale differisce dagli imperialisti, dalla classe dei proprietari fondiari e dai capitalisti burocratici. La contraddizione tra la borghesia nazionale e la classe operaia è una contraddizione tra gli sfruttatori e gli sfruttati e, per natura, è antagonistica. Ma nelle condizioni concrete della Cina, questa contraddizione di classe di natura antagonistica può essere trasformata, se trattata nel modo giusto, in contraddizione non antagonistica ed essere risolta con metodi pacifici... Poiché le contraddizioni tra il nemico e noi e le contraddizioni in seno al popolo sono di natura differente, esse devono essere risolte con metodi differenti... Ogni questione di natura ideologica, ogni questione controversa in seno al popolo non può essere risolta che con il metodo democratico, il metodo della discussione, della critica, della persuasione e dell'educazione e non con quello della coercizione e della repressione...".
Il 1956 è una data decisiva per la Cina e non solo, a causa di una serie di avvenimenti che segnano profondamente la storia.
A livello nazionale, il successo nel completare la fase di nuova democrazia spinge alcuni elementi revisionisti, come Deng Xiaoping e Liu Shaoqi, che già si erano opposti al passaggio dalla rivoluzione di nuova democrazia alla rivoluzione socialista, a rialzare la testa e ad affermare erroneamente che in Cina, la contraddizione fra il proletariato e la borghesia era stata fondamentalmente risolta, ottenendo la maggioranza all'VIII Congresso nazionale del PCC nel settembre 1956.
Un secondo avvenimento è costituito dalla controrivoluzione ungherese, allorquando i revisionisti interni guidati dall'imbroglione revisionista Nagy, sfruttano alcune contraddizioni sorte in seguito ad errori di applicazione del governo socialista, si alleano ai fascisti e a alla borghesia per scatenare una violenta sommossa anticomunista, controrivoluzione a cui pone velocemente fine il giusto intervento dell'Armata rossa sovietica, richiesto dal legittimo governo Ungherese, in base al Patto di Varsavia.
Sull'intervento Mao si esprime nettamente dalla parte dell'Unione Sovietica "Allo scoppio dei fatti di Ungheria, alcuni nel nostro paese si sono rallegrati. Essi speravano che qualcosa di simile sarebbe avvenuto in Cina, che migliaia e migliaia di persone sarebbero scese nelle strade per opporsi al governo popolare. Tali speranze sono contrarie agli interessi delle masse popolari e non possono ottenerne l'appoggio. In Ungheria, una parte delle masse, ingannata dalle forze controrivoluzionarie all'interno e fuori dal paese, ha commesso l'errore di ricorrere alla violenza contro il Governo popolare: ne hanno sofferto lo Stato e il popolo. Occorrerà molto tempo per riparare i danni causati all'economia da qualche settimana di disordini. Nel nostro paese, alcuni hanno assunto nei confronti dei fatti di Ungheria un atteggiamento oscillante perché ignoravano quale fosse veramente la situazione internazionale. Essi ritenevano che vi fosse troppa poca libertà sotto la nostra democrazia popolare, e che ve ne fosse di più in Occidente con la democrazia parlamentare. Chiedevano il sistema dei due partiti, come esiste in Occidente, con un partito al potere e l'altro all'opposizione. Ma questo sistema bipartitico non è che un mezzo per mantenere la dittatura della borghesia e in nessun caso può salvaguardare la libertà dei lavoratori".
Ma il fatto che più di tutti incide, in senso negativo, nella storia del proletariato internazionale, è senza dubbio il XX Congresso del PCUS, svoltosi nel febbraio del 1956, dove il rinnegato Krusciov scaglia un violentissimo attacco al grande maestro del proletariato internazionale Stalin, insultandolo e attaccandolo violentemente (proprio lui che lo ha osannato finché è stato in vita), e che la rivoluzione non era più necessaria per prendere il potere.
Un vero e proprio tsunami che segna l'inizio della fine dell'Urss socialista e la nascita del revisionismo moderno.
Se non si parte da questo avvenimento, non è assolutamente possibile comprendere ciò che è successo in Urss e nei paesi socialisti dell'Est europeo.
Mao è però pronto a condurre anche quest'ennesima e difficile battaglia.
Già al comitato Centrale del PCC tenutosi il 5 novembre 1956, pronuncia il famoso discorso delle due spade:
"Io penso che ci siano due 'spade' : l'una è Lenin e l'altra, Stalin.
Ora, questa spada che è Stalin, i russi l'hanno abbandonata (...). Quanto a questa spada che è Lenin, oggi non è stata forse anch'essa abbandonata, in una certa misura, da alcuni dirigenti sovietici? A mio avviso, essa è stata abbandonata in misura considerevole.
È ancora valida la rivoluzione d'Ottobre? Può servire ancora d'esempio agli altri paesi? Il rapporto di Krusciov al XX Congresso del PCUS dice che è possibile ottenere il potere politico attraverso la via parlamentare; vale a dire che non è più necessario per gli altri paesi seguire l'esempio della Rivoluzione d'Ottobre. Una volta aperta questa porta, si è praticamente rigettato il leninismo"
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La ferma denuncia del revisionismo moderno, suscita l'ira della banda kruscioviana che rompe i trattati di amicizia tra l'Urss e la Cina e provoca degli incidenti militari alla frontiera dei due paesi, nel contempo istiga i partiti asserviti a Mosca contro il Partito comunista cinese tentando di espugnare il centro della rivoluzione mondiale.
Particolarmente significativo quando al XXII congresso del PCUS tenutosi nel 1961, nel momento in cui il rinnegato Krusciov dichiara che la dittatura del proletariato non è più necessaria in quanto non esistono più le classi in Urss e ribadisce la sua linea sulla "via parlamentare al socialismo", Zhou Enlai lascia Mosca prima della conclusione del Congresso, non prima di aver deposto delle corone di fiori sulle tombe di Lenin e Stalin.
Mao va a fondo nella critica del revisionismo e del socialimperialismo sovietico, e nel 1964 afferma senza tanti giri di parole: "l'Unione sovietica di oggi è sotto la dittatura della borghesia, una dittatura della grande borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano".
Nel contempo denuncia che: "Il revisionismo, o opportunismo di destra, è una corrente ideologica borghese, è ancora più pericolosa del dogmatismo", "Negare i principi fondamentali e la verità universale del marxismo è revisionismo, cioè una forma di ideologia borghese. I revisionisti cancellano la differenza fra socialismo e capitalismo, fra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che sostengono di fatto, non è la linea socialista, ma quella capitalista", "La salita del revisionismo al potere significa la salita della borghesia al potere".
La questione della rivoluzione socialista era e rimane uno spartiacque tra i veri comunisti e i comunisti a parole.
Già nel 1938 Mao aveva chiarito che "La conquista del potere con la lotta armata, la soluzione del problema con la guerra è il compito centrale e la più alta forma di rivoluzione. Questo principio rivoluzionario marxista-leninista è valido ovunque, in Cina come in tutti gli altri paesi".
In ogni epoca sociale della storia e in ogni paese del mondo, è stato ampiamente dimostrato, che senza rivoluzione non vi è progresso sociale, la rivoluzione è una potente scopa che fa pulizia del secolare marciume borghese, e noi marxisti-leninisti questa scopa rivoluzionaria non l'abbandoneremo mai e la terremo ben salda, sino a che non saranno milioni le mani ad impugnarla.
Il diritto alla rivoluzione, che la borghesia vuole negare al proletariato, è lo stesso che la borghesia ha esercitato per abbattere il feudalesimo e sostituirsi ad esso.
Noi rivendichiamo il diritto del proletariato alla rivoluzione socialista per sostituire la società dei capitalisti con la società dei lavoratori!
La situazione nazionale e internazionale, induce Mao ad elaborare ed a lanciare il suo più grande capolavoro politico, un evento straordinario nella storia del socialismo: la Grande rivoluzione culturale proletaria, che risolve il problema del mantenimento del potere nelle condizioni della dittatura del proletariato. Una volta sconfitta la borghesia a livello economico e politico, rimangono comunque radicate per lungo tempo nelle masse l'ideologia, le tradizioni, i modi di fare e di pensare borghesi, che impediscono loro di riconoscere i revisionisti, gli elementi borghesi e gli arrivisti che si nascondono nel Partito comunista e nello Stato.
"La grande rivoluzione culturale proletaria è una grande rivoluzione che tocca l'uomo in quanto ha di più profondo, e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo".
E non potevano che essere i giovani, sui quali Mao ha fatto sempre grande affidamento, i primi a raccogliere questo appello rivoluzionario lanciato dal CC del PCC; sono infatti 23 tra studenti e insegnanti dell'Università Beita di Pechino che affiggono il primo Dazibao della Rivoluzione culturale, il giornale murale a grandi caratteri scritto a mano, poi diffuso su disposizione di Mao dalla radio e dalla stampa, e al quale lo stesso Mao risponde con un suo dazibao intitolato "Fuoco sul quartier generale".
"Nel momento in cui dobbiamo condurre la rivoluzione socialista - dice Mao - alcuni non sanno dov'è la borghesia. Ebbene, essa esiste nello stesso Partito comunista: sono quegli elementi dirigenti che hanno imboccato la via del capitalismo, quegli elementi che stanno ancora oggi percorrendo tale via", "Il piccolo numero di responsabili del Partito impegnati nella via capitalista sono precisamente i rappresentanti della borghesia in seno al Partito".
Su questa base le Guardie rosse, costituite da 30 milioni di giovani, si sollevano come un sol corpo attaccando ovunque, dentro e fuori le scuole e le università, le autorità scolastiche e universitarie e i rappresentanti della borghesia infiltratisi nel Partito e nello Stato.
La prima Grande rivoluzione culturale proletaria dura 11 anni, e sotto la guida di Mao, smaschera una dopo l'altra le tre cricche revisioniste di Liu Shaoqi, Lin Biao e della banda dei Quattro.
Vedendo gli ostacoli opposti dalla cricca di Deng, Mao si rende conto che occorre mobilitare nuovamente le larghe masse popolari, in una nuova grande rivoluzione culturale proletaria, ma non ne avrà il tempo.
Ha tempo però di lanciare, nel 1974, la teoria dei tre mondi alla scomparsa del campo socialista e alla nascita di un nuovo famelico imperialismo, il socialimperialismo sovietico, che assieme agli Usa, Mao indica come il primo mondo, le due superpotenze che si contendono il dominio assoluto del mondo, costituendo il nemico principale.
I paesi imperialisti altamente industrializzati come il Giappone, l'Europa e il Canada, che a loro volta sono oppressi, succubi militarmente, economicamente e schiacciati dalle due superpotenze, costituiscono il secondo mondo, e per la loro posizione intermedia e le loro oscillazioni possono essere conquistati per lo più alla lotta contro il primo mondo.
Il Terzo mondo, cioè le nazioni e i paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina che rivendicano e lottano per la propria indipendenza, costituiscono invece la forza principale del fronte antiegemonico mondiale.
Oggi lo scenario internazionale è profondamente cambiato, ma allora si trattava di una analisi dirompente che scompigliava le carte in tavola ponendo la questione della lotta alle due superpotenze imperialiste che minacciavano una nuova guerra mondiale per il dominio del mondo.
L'apporto e il sostegno della Cina socialista ai popoli amanti della pace e della libertà non sono mai venuti meno, pur nelle ristrettezze in cui si trovava lo stesso popolo cinese, a partire dall'invio di truppe volontarie in Corea nel 1950 per respingere gli aggressori americani che avevano oltrepassato a Nord il 38° parallelo, aggressione che i rinnegati revisionisti cinesi di oggi vogliono addebitare alla Repubblica democratica popolare di Corea, ribaltando i verdetti e trasformando gli aggressori in aggrediti.
Come non mancò l'incoraggiamento, l'aiuto e il sostegno anche materiale in particolare ai popoli africani, arabi, sudamericani e asiatici, come alla Cambogia (allora Kampuchea) di Pol Pot, primo paese dell'Indocina a riportare la vittoria sull'imperialismo americano e sulla cricca fascista di Lon Nol, e al Vietnam prima che questo diventasse uno strumento dell'Urss imperialista e invadesse la Cambogia nel gennaio del 1979.
Anche sulla questione del Tibet, checché ne dicano i capitalisti e gli imperialisti che hanno imbastito una mistificatoria campagna anticomunista, la Cina socialista si comportò correttamente, e intervenne solo nel 1959, e dopo un attacco organizzato dalla cricca religiosa reazionaria tibetana alla quale evidentemente non bastava l'accordo per una progressiva e pacifica liberazione del Tibet, che la Cina, tenendo conto delle particolarità del Tibet, aveva deciso di non liberare subito, nel 1949, come era sua diritto e possibilità.
Anche la politica della "distensione" verso i paesi capitalisti e imperialisti, come gli Usa, la Germania e la Francia, era tesa ad evitare l'accerchiamento e ad alimentare le contraddizioni presenti in quei paesi.
I grandi meriti acquisiti durante la sua lunga vita di rivoluzionario non gli hanno risparmiato gli attacchi e gli insulti della borghesia e dei revisionisti di tutto il mondo, ne hanno anzi aumentato l'odio e il rancore.
Gli hanno però permesso di entrare nel cuore in particolare del popolo cinese, che alla sua morte, avvenuta a 82 anni il 9 settembre 1976, gli riserva un tributo commosso e partecipa alla cerimonia funebre raccolto in imponenti raduni di massa di milioni di persone, oppure nelle miniere, nelle fabbriche, nelle comuni, nelle scuole, nelle caserme, dove ogni forma di attività viene interrotta.
Ma tutti i popoli del mondo hanno pianto la perdita di questo gigante della storia, compreso il nostro, radunato in manifestazioni di massa a Roma e Milano.
Ad entrambe partecipò l'OCBI m-l (che darà poi vita al PMLI), diffondendo un'edizione speciale de "Il Bolscevico" aperta dal titolo a grandi caratteri "Gloria eterna a Mao Zedong, grande maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi", sovrastante una grande foto di Mao.
Noi marxisti-leninisti italiani non smetteremo mai di innalzare i ritratti di Mao, come quelli di Marx, di Engels, di Lenin e di Stalin, essi saranno sempre presenti nelle nostre sedi, nelle nostre iniziative pubbliche, e nelle nostre bandiere per portarli nel loro luogo naturale, tra i lavoratori, tra i contadini e i braccianti, tra gli studenti, tra le masse in lotta!
Chi li ha rinnegati si è arreso completamente al capitalismo o tutt'al più lo copre da "sinistra", ciò dimostra chiaramente che i veri comunisti sono i marxisti-leninisti!
Questi cinque grandi Maestri del proletariato internazionale ci hanno lasciato un enorme patrimonio teorico, filosofico, politico, che dobbiamo raccogliere, sostenere, propagandare e applicare alla nostra attuale situazione specifica.

LA CRISI DEL CAPITALISMO
Il mondo di oggi conferma appieno non solo l'analisi marxista-leninista del capitalismo, ma anche che il capitalismo è talmente marcio e putrido fin nelle ossa che è impossibile riformarlo, che l'unica via per l'emancipazione è quella della rivoluzione socialista e che vi si può arrivare solo con l'unione della classe operaia, delle masse lavoratrici e popolari sotto la direzione del Partito comunista, nel nostro caso del PMLI.
Ne è una chiarissima e lampante dimostrazione la crisi economica mondiale in corso, la più grave dal 1929.
Questa crisi è stata provocata dalla grande tempesta finanziaria partita dagli Usa due anni fa che ha avuto conseguenze sociali devastanti, i cui costi, ancora una volta, sono stati scaricati sulle spalle di chi la crisi l'ha subita maggiormente, ossia i lavoratori, i pensionati e le masse popolari.
È quello che hanno deciso di fare i 16 capi di Stato e di governo dell'eurogruppo nel vertice dello scorso 7 maggio scorso, quando hanno indicato in ulteriori e pesanti tagli ai servizi sociali e ai diritti dei lavoratori, come pensioni e "ammortizzatori sociali", il modo per reperire i 750 miliardi di euro per costituire un fondo permanente di sostegno ai paesi già in difficoltà come Portogallo, Spagna, Irlanda e agli altri che si potrebbero aggiungere, oltre alla Grecia per la quale sono stati stanziati 80 miliardi di euro, finendo nelle tasche già piene di coloro che la crisi l'hanno provocata, e cioè banche, assicurazioni e fondi di investimento.
Il capitalismo è in preda a una profonda crisi, e più il capitalismo è in crisi più ricorre alla conquista di nuovi mercati, di nuove materie prime, di nuove zone di influenza, finanche alla guerra imperialista.
Nonostante gli Stati Uniti siano oramai tallonati sotto l'aspetto economico dalla Cina capitalista, dal Giappone e dall'Unione europea, ma anche l'India diventa minacciosa, sotto quello militare conserva ancora un forte predominio; nemmeno la nuova presidenza, della quale avevamo detto tempestivamente: "Nessuna illusione su Obama", ha invertito la politica estera americana, nonostante le illusioni sparse a piene mani dagli incalliti opportunisti, sognatori e imbroglioni della "sinistra" borghese tra cui i falsi comunisti.
Con Obama la morsa dell'imperialismo americano non è stata affatto allentata, anzi da quando egli siede alla Casa Bianca ha triplicato i soldati che occupano l'Afghanistan, prendendoli dall'Iraq dove il ritiro è comunque solo di facciata, perché vi resterà un esercito definito "civile" di 50.000 uomini fino al 2011 e altrettanti "contractors" americani, cioè mercenari, civili armati e ben pagati per mantenere nel terrore la popolazione e difendere gli interessi Usa in quel paese.
Obama non ha cambiato posizione né nell'appoggio incondizionato al regime teocratico, sionista e nazista d'Israele che continua a schiacciare e massacrare il popolo palestinese da oltre 60 anni, e nemmeno nelle intimidazioni, minacce e restrizioni economiche contro l'Iran antimperialista di Ahmadinejad per impedirgli di utilizzare l'energia nucleare a scopo pacifico e civile, accusandolo di volere quella bomba atomica di cui sono pieni gli Usa e lo stesso Israele, nonché tutta una serie di paesi asserviti all'imperialismo occidentale, e che potrebbero distruggere più volte l'intero pianeta.
Quello consegnato a Obama non è quindi il Nobel per la pace, ma il Nobel per la guerra, il Nobel per l'oppressione e lo sfruttamento dei popoli!
È il Nobel dell'ipocrisia a un presidente americano che vara una "riforma" sanitaria definita "epocale" e "rivoluzionaria" ma che non fa altro che introdurre l'obbligo di acquistare una copertura sanitaria individuale, ovviamente privata, pena una multa di ben 700 dollari all'anno, e illude il popolo esaltando il suo essere afroamericano e firma una la legge da 600 milioni di dollari per chiudere ancor più ermeticamente le frontiere.
Per colpa del capitalismo nel mondo il numero dei disoccupati ha oltrepassato i 210 milioni, 1,3 miliardi di persone sopravvivono con 2 dollari al giorno, quasi mezzo miliardo con appena un dollaro, il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 13,4%, i bambini sottoposti a schiavitù sono 200 milioni, ogni anno muoiono 36 milioni di persone per fame, 2 milioni sul lavoro, 4.900 bambini sotto i 5 anni per malattie infettive, per mancanza o cattiva qualità dell'acqua potabile e d'igiene, l'1% della popolazione mondiale possiede il 40% di tutti i capitali del globo, le 50 persone più ricche del mondo guadagnano più di 416 milioni di persone, 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua potabile e 2,6 miliardi non dispongono dei servizi igienico-sanitari di base.
Questo è solo una parte di ciò che causano il capitalismo e l'imperialismo.
Non che non ci siano le risorse per ripianare questa miserabile situazione.
I capitalisti fanno pagare alle masse le conseguenze dei disastri che loro stessi creano, gli imperialisti si contendono spazi, risorse e persone, oggi sul terreno economico, domani su quello militare; ma i popoli non stanno a guardare, quelli europei si battono contro le politiche di lacrime e sangue imposte dall'Unione europea, quelli dell'Afghanistan, dell'Iraq, della Palestina, del Kurdistan contro gli aggressori imperialisti, quelli oppressi all'interno dei paesi imperialisti, come i tibetani e gli inguri in Cina, e i ceceni nella Federazione russa che lottano per l'indipendenza o per l'autonomia.
Noi appoggiamo risolutamente le lotte di questi popoli, indipendentemente da chi si trovi alla loro testa, le contraddizioni tra i popoli e chi li guida al momento sono secondarie, mentre la contraddizione principale è quella con l'imperialismo esterno o l'oppressore interno.

IL GOVERNO BERLUSCONI
Il nostro popolo è in lotta contro il governo del neoduce Berlusconi, e ha dimostrato di avere la volontà e la forza per cacciarlo, nonostante l'ostruzionismo degli arrendevoli, collaborazionisti e rimbambiti dirigenti della "sinistra" borghese e i sindacati venduti Cisl e Uil.
Dal 1994 ad oggi, nei 4 governi che ha presieduto, con la colpevole copertura e collaborazione del "centro-sinistra" e dei presidenti della Repubblica che si sono succeduti: Scalfaro, Ciampi e il nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano, il neoduce Berlusconi ha instaurato un regime neofascista, al quale manca solo l'ufficialità col completamento delle controriforme costituzionali.
Il federalismo fiscale è una di queste controriforme e porterà alla divisione dello Stato borghese unitario in 20 staterelli che godranno di un'autonomia di entrata e di spesa, ne sono corresponsabile il PD che si è astenuto e l'IDV che ha votato a favore.
Esso non porterà a una riduzione delle tasse, cambierà solamente il destinatario della tassazione, dello Stato centrale alle Regioni ed enti locali,che avranno però la possibilità di introdurre nuove tasse.
Il principio dei "costi standard" nella sanità, scuola, assistenza e trasporti agirà come una mannaia sui servizi pubblici, sempre più soppiantati dai servizi privati erogati allo scopo di creare il massimo profitto per le imprese del settore.
Col federalismo demaniale, passato con la benevola astensione del PD ed il voto favorevole dell'IDV, il governo ha avviato la più grande operazione di speculazionoe immobiliare ed edilizia della storia della Repubblica, trasferendo a titolo gratuito i beni demaniali dello Stato (tra i quali fiumi, laghi, spiagge, strade non statali e patrimonio artistico) agli enti locali, che avranno così la possibilità di cederli ai privati per ripianare il debito pubblico che oramai li strangola.
Il federalismo non ha nulla che a vedere con gli interessi della classe operaia e delle masse popolari del Nord come del Centro e del Sud, rompe la solidarietà e l'unità di classe, mette lavoratori contro lavoratori, ne indebolisce la forza contrattuale, ideologica e politica e li lega ai vari carri delle borghesie locali in feroce concorrenza tra di loro.
L'altro tassello importante del nuovo Stato federale è la controriforma presidenzialista, al momento però ferma al palo per le contraddizioni sorte in seno alla maggioranza governativa. Ciò nonostante di fatto il neoduce agisce già da tempo come il capo assoluto del governo. Berlusconi vuole fermare con tutti i mezzi le indagini della magistratura su di lui e i processi pendenti che lo vedono coinvolto come imputato.
Ci ha provato col Lodo Alfano, avallato da Napolitano, che prevedeva la sospensione di tutti i processi penali nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato, ma è stato bocciato dalla Corte Costituzionale, allora è tornato alla carica col "processo breve" che azzera i processi in corso per una tutta una serie di reati tra i quali rientrano quelli inerenti i processi Mills e Mediaset in cui è coinvolto. Intanto si è messo al riparo con la legge sul "legittimo impedimento" che permette a lui e a tutti i suoi ministri imputati di evitare le udienze per 18 mesi, in attesa di un nuovo lodo Alfano, che non a caso ha messo tra i 5 punti fondamentali da fare ingoiare ai finiani, pena la crisi governativa.
Il colpo di accetta definitivo contro quel poco di libertà di stampa che è rimasta, il neoduce la vuol dare con la legge bavaglio fascista e piduista, un vero regalo alla mafia. Essa momentaneamente è congelata, nel frattempo però Berlusconi sta facendo pulizia nelle testate giornalistiche e di informazione televisive e nei consigli di amministrazione delle tv pubbliche, sostituendo con i suoi uomini più fidati le poche voci fuori dal coro rimaste, così come ha già fatto gli "esiliati" Sabina Guzzanti e Daniele Luttazzi e come ha tentato di fare più volte con Michele Santoro.
Ma non basta, perché ha fatto approvare anche la controriforma del processo penale e l'informatizzazione della giustizia che prevede una "cancelleria unica virtuale", per rafforzare la baronia avvocatizia e conoscere in tempo reale se ci sono indagini sugli esponenti del governo.
Ma a Berlusconi non stanno a cuore solo i suoi interessi personali, egli infatti è il rappresentate della grande borghesia, in particolare di quella più reazionaria, alla quale ha regalato, tra l'altro, un nuovo "scudo fiscale" che costituisce l'ennesimo condono tombale per gli evasori e un comodo strumento per il riciclaggio del denaro sporco.
Uno dei tratti che maggiormente caratterizzano questo governo e lo pongono sullo stesso piano di quello nero presieduto da Mussolini è la politica razzista e xenofoba contro gli immigrati, in particolare i rom, sancita dall'approvazione del cosiddetto "pacchetto sicurezza", che trasforma in reato una condizione sociale qual è la cosiddetta "immigrazione clandestina", estende la detenzione nei lager per migranti fino a 18 mesi, incita alla delazione medici, infermieri e dirigenti scolastici contro i migranti "irregolari", rende più facili le espulsioni, introduce una ulteriore tassazione sui permessi di soggiorno, restringe le norme per i matrimoni di immigrati, impone il carcere fino a tre anni per chi dà alloggio o aiuta stranieri irregolari, concede poteri di polizia ai sindaci e poteri straordinari ai prefetti contro i rom, e dà il via libera alla costituzione delle ronde con le stesse modalità e finalità del ventennio fascista.
Un abominio che cancella ogni residuo diritto democratico borghese, che il nuovo Vittorio Emanuele III ha avallato apponendovi la propria firma, e che il "centro-sinistra" ha solo a parole e timidamente contestato, invece di chiamare tutto il popolo, italiani ed immigrati, alla lotta di piazza contro le nuove leggi razziali.
La barbarie scatenata a Rosarno nel gennaio di quest'anno contro gli immigrati ridotti in schiavitù, è figlia dei semi velenosi del razzismo e della xenofobia che vengono sparsi tra le masse dalla borghesia, dai fascisti, dai leghisti e in questo caso dai mafiosi, per dividere il popolo.
Noi abbiamo denunciato con tutte le nostre forze le nuove leggi razziali, abbiamo partecipato alle iniziative che si sono svolte per contestarle, e ci opponiamo fermamente al razzismo e alla xenofobia; le responsabilità delle attuali migrazioni bibliche verso i paesi più ricchi e sviluppati sono del colonialismo e dell'imperialismo, che con lo sfruttamento di quelli poveri hanno creato e alimentano spaventose disuguaglianze mondiali, per questo i paesi imperialisti devono aprire le frontiere ai migranti, chiudere i lager dove vengono rinchiusi e concedere loro l'assoluta parità di diritti.
Il carro armato neofascista procede speditamente anche verso la distruzione della scuola, già ridotta allo sfascio dopo le controriforme, comprese quelle dei governi di "centro-sinistra", come quella Berlinguer del 2000, lasciando le scuole e le università senza fondi e costringendole ad aprirsi ai privati, che avranno mano libera sia nella gestione quanto negli indirizzi didattici.
Le controriforme Gelmini e Aprea, funzionali alla scuola e all'università classiste, aziendaliste e meritocratiche, trasformano le scuole e le università in fondazioni private, sostituiscono i consigli d'Istituto con i Consigli di amministrazione di tipo aziendale monopolizzati dai privati, cancellano i finanziamenti statali in nome dell'autonomia scolastica e del federalismo fiscale, creando così scuole di serie A e scuole di serie B, gerarchizzano e precarizzano il corpo docente, opprimono i lavoratori della scuola abolendo le Rsu e riducendo al minimo la contrattazione sindacale, non risolvono la questione contrattuale dei ricercatori, introducono la chiamata diretta, vietano di parlare di politica, ovviamente solo quella non gradita al neoduce, escludono gli studenti e il personale Amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) dagli organi di governo e reintroducono il voto in condotta che penderà come una spada di Damocle soprattutto sulla testa degli studenti più combattivi e ribelli.
Le studentesse e gli studenti hanno già dimostrato con grandi manifestazioni di piazza e iniziative di vario genere di essere contrari a questo nero progetto. Gli studenti marxisti-leninisti partecipano attivamente e con grande dedizione a queste lotte cercando di dare loro un corretto orientamento, ponendo, in particolare, la questione centrale del governo studentesco, che deve passare non certo dagli attuali screditati, inoffensivi e fuorvianti organi collegiali, bensì dalla conquista di nuovi organi collegiali che devono essere composti a maggioranza dalle studentesse e dagli studenti, eletti tramite la democrazia diretta dall'Assemblea generale che deve detenere tutto il potere.
Per vincere la battaglia contro l'istruzione del regime neofascista e del governo del neoduce Berlusconi, per la difesa della scuola pubblica, unitaria, gratuita intesa come servizio sociale, occorre che vi partecipino i docenti, i ricercatori e il personale Ata. Perciò è necessario che i sindacati proclamino lo sciopero generale della scuola e dell'università con manifestazione nazionale a Roma sotto palazzo Chigi!
Il neoduce Berlusconi si è accanito con particolare ferocia sui lavoratori pubblici, sui quali vuole fare cadere le responsabilità di servizi sempre più scadenti dovuti invece alle privatizzazioni e al taglio drastico del personale e dei finanziamenti.
Le normative introdotte dal gerarca Brunetta e dal governo nel pubblico impiego cancellano anni e anni di lotte, demoliscono il contratto nazionale, mettono fine alla libera contrattazione collettiva, assestando un colpo mortale al ruolo e alla funzione del sindacato, introducono norme poliziesche e punitive che trasformano il pubblico impiego in una caserma, e innalzano in un sol colpo l'età pensionabile alle donne del pubblico impiego da 61 a 65 anni. .
L'offensiva antisindacale del governo è condotta più in generale contro il mondo del lavoro dipendente e ha come scopo la cancellazione di tutti i diritti dei lavoratori, come dimostrano l'ennesimo attacco all'art. 18 che si è tentato di aggirare con l'arbitrato, e l'annunciata controriforma dell'art. 41 della Costituzione, per dare totale libertà ai padroni nel gestire e sfruttare i lavoratori.
Un piano reazionario, antipopolare e antioperaio che ha trovato fedeli e servili alleati i sindacati collaborazionisti Cisl e Uil, che dopo aver siglato nel 2002 il "patto per l'Italia" redatto sulla base del "libro bianco" di Marco Biagi, il nuovo modello contrattuale padronale e corporativo che demolisce il contratto nazionale e modifica con gli enti bilaterali le relazioni sindacali in senso neocogestionario e neocorporativo di stampo fascista, l'accordo separato sul contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, si sono schierati assieme al sindacato fascista Ugl a favore del padronato sulla vertenza alla Fiat di Pomigliano d'Arco.
Tramite l'amministratore delegato Marchionne la Fiat aveva posto un tremendo ricatto ai lavoratori: o vi piegate in massa al piano industriale che prevede l'investimento di 700 milioni di euro per produrre la nuova Panda nel 2012 a Pomigliano con tutti gli obblighi e le imposizioni illegali, antioperaie e antisindacali che contiene, o la Fiat di Pomigliano chiude e la produzione va all'estero con il licenziamento di 15 mila lavoratori compresi quelli dell'indotto, come ha poi fatto con la monovolume trasferita da Mirafiori in Serbia.
Con il piano del nuovo Valletta lo stabilimento di Pomigliano diverrebbe una caserma, gli operai e i lavoratori ridotti in schiavitù di tipo feudale, con orari, turni, ritmi e carichi di lavoro insostenibili e bestiali, senza nemmeno il diritto di sciopero e la garanzia di aver pagata la malattia, e i sindacati depotenziati e emarginati, violando così le stesse leggi borghesi, il contratto nazionale di lavoro, lo Statuto dei lavoratori e la Costituzione, tutto ciò che è stato conquistato in decenni con dure lotte e tanti sacrifici e lutti dalla classe operaia e dai lavoratori, dall'avvento del capitalismo ad oggi, sarebbe spazzato via in un colpo solo.
Nonostante il pesante ricatto padronale appoggiato dal governo, il condizionamento sui lavoratori contattati uno per uno per convincerli a votare sì, nonostante l'ennesimo tradimento di Cisl e Uil, ma anche di Epifani e del PD, tutti schierati per il sì, il referendum plebiscitario imposto da Marchionne è platealmente fallito sotto il quasi 40% dei dissensi espresso dalle lavoratrici e dai lavoratori di Pomigliano.
I marxisti-leninisti li hanno sostenuti in questa importante prova di forza e sono stati vicino a loro, anche materialmente attraverso i compagni partenopei, che ringraziamo di cuore. Essi, animati dalla solidarietà proletaria, durante il referendum hanno diffuso davanti lo stabilimento il volantino con il Documento dell'Ufficio politico del PMLI sulla lotta di Pomigliano e Il Bolscevico. Successivamente, in occasione di un'assemblea nazionale dei metalmeccanici della Fiom, svoltasi a Pomigliano, hanno diffuso un documento della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI e l'organo del Partito.
Ringraziamo la Fiom, ma anche i Cobas, per aver condotto con determinazione e con coraggio questa prima battaglia contro il piano di Marchionne. Ringraziamo soprattutto i valorosi operaie, operai, lavoratrici e lavoratori di Pomigliano che non si sono piegati al ricatto fascista e padronale, che hanno rifiutato di tornare ad essere non più lavoratori ma schiavi, e che hanno dato una grande dimostrazione della forza, della determinazione e della coscienza proletaria della classe operaia che non è morta; checché ne dicano i sedicenti filosofi borghesi e i revisionisti, la classe operaia è ancora sul campo di battaglia!
Nonostante il forte dissenso il vertice Fiat ha deciso comunque di portare la Panda a Pomigliano alle sue condizioni, ma noi siamo sicuri che la battaglia contro l'infame accordo separato non è finita, come ha scritto l'Ufficio politico del PMLI.
lo scorso 18 giugno "La Fiom, gli operai e i lavoratori di Pomigliano non vanno lasciati soli perché la loro battaglia ha un carattere generale, in quanto oggettivamente in discussione c'è l'assetto politico, istituzionale, economico, sindacale e sociale del regime neofascista conformemente al "Piano di rinascita democratica" e allo "Schema R" della P2.
La Fiat non ha tardato a vendicarsi dell'affronto subito e ha fatto scattare la rappresaglia licenziando un lavoratore Fiom di Mirafiori, tre operai della Sata di Melfi, tutti iscritti e attivisti della Fiom, e uno dei Cobas alla Fiat di Termoli.
La Fiat vuole intimidire i lavoratori, zittire i contestatori ed emarginare la Fiom, che ha però risposto con gli scioperi e un ricorso al giudice del lavoro che ha sancito il reintegro dei tre lavoratori licenziati alla Sata e la condanna della Fiat per condotta antisindacale, ma l'azienda non intende ritirare i licenziamenti.
Il governo ha spalleggiato la condotta della Fiat, ed è ben cosciente che le proteste non potranno che intensificarsi. Per questo ha anticipatamente predisposto una legge antisciopero che per il momento riguarda il settore dei servizi, ma l'intenzione è quella di estenderla a tutti i settori pubblici e privati. Essa nei trasporti consente solo lo sciopero "virtuale", cioè si lavora ma senza salario, e vieta i blocchi stradali, ferroviari e aeroportuali, negando così concretamente alle lavoratrici e ai lavoratori la possibilità di dissentire, di protestare, di rivendicare con efficacia i loro diritti. In ogni caso sono stati i manganelli, come è accaduto contro i terremotati aquilani che chiedevano risposte certe sulla ricostruzione e sugli interventi fiscali.
L'operato antipopolare del neoduce Berlusconi riempie una lista davvero troppo lunga per essere enunciata e approfondita nel tempo che abbiamo oggi a disposizione. Essa spazia dal decreto sui rifiuti in Campania, che prevede l'apertura di discariche militarizzate in tutte le province della regione e l'avvio di tre inceneritori, al decreto per salvare le liste del PDL alle passate elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio; dalla gestione fallimentare dei soccorsi e clientelare nella gestione del terremoto che lo scorso 6 aprile ha scosso L'Aquila seminando morte e distruzione, al "piano anti-crisi" che regala miliardi e agevolazioni fiscali a banche e imprese ed elargisce solo delle elemosine per i più poveri; dalla decisione di ritornare al nucleare calpestando per l'ennesima volta la volontà del popolo italiano, alla manovra finanziaria da 24 miliardi sostenuta da Napolitano, Confindustria, Cisl e Uil, con la quale il governo stanga i lavoratori, blocca gli stipendi pubblici per 3 anni, stringe sulle pensioni, licenzia i precari, taglia drasticamente la spesa pubblica e i finanziamenti a Regioni ed Enti locali, avvia un nuovo maxi-condono edilizio, e non dà risposte positive e adeguate sui problemi più drammatici e urgenti quali il blocco dei licenziamenti, la non chiusura delle fabbriche e il rilancio dell'occupazione, la riduzione delle tasse su salari e pensioni, il rinnovo dei contratti pubblici.
Questo nero quadro non porta che ad una conclusione: il governo Berlusconi ha sostanzialmente rimesso la camicia nera all'Italia, e questo lo si deve non solo all'arroganza e al decisionismo del neoduce, ma anche all'opposizione di carta del "centro-sinistra" borghese e al presidente della Repubblica Napolitano che ha firmato tutte le principali leggi vergogna del neoduce e che spinge continuamente il "centro-destra" e il "centro-sinistra" a completare le controriforme costituzionali.
A costoro non è servito nemmeno lo scandalo sulla cosiddetta "P3", che ha messo in luce l'esistenza di una associazione segreta, a cui partecipavano anche uomini di governo come Caliendo e Cosentino, politici della maggioranza come Verdini e alti magistrati con lo scopo di condizionare i processi e le istituzioni.
Ma cosa serve ancora a questi rimbambiti e opportunisti politicanti borghesi di "sinistra" per decidersi a muovere la piazza per cacciare il neoduce Berlusconi e con esso il suo nero regime?
Con il loro immobilismo, le vuote e sterili chiacchiere, il collaborazionismo in tema di "riforme" istituzionali e nella politica interna ed estera e con il loro viscerale anticomunismo dimostrano di essere dei traditori del popolo e parte integrante del regime neofascista che coprono a "sinistra", a tal punto da non scartare l'ipotesi di un governo con l'ambizioso gerarca Fini qualora questo fosse uscito dalla maggioranza alla resa dei conti interna alla destra "neofascista" che ha fatto traballare il governo.
E non c'è da illudersi che questi politicanti, compreso il neoliberale, presidenzialista e anticomunista Vendola, si ravvedano, o che nuovi esponenti cambino la linea e la condotta di questi partiti asserviti al regime neofascista; non c'è da illudersi che personaggi come il super ricco imbonitore destrorso Grillo possano rappresentare effettivamente gli interessi della masse popolari e lavoratrici.
Oggi, da questa autorevole tribuna, rinnoviamo l'appello antifascista, che il PMLI ha lanciato da tempo: occorre chiamare le masse a scendere in piazza al più presto per abbattere il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista, corrotto, piduista e mafioso. Occorre un nuovo 25 Aprile per liberarsi del nuovo Mussolini!
Pur avendone la volontà, il PMLI non ha la forza sufficiente per farlo, chi la possiede lo faccia senza indugio, altrimenti si assumerà una responsabilità storica che non sarà mai cancellata.
Da parte nostra, come afferma il documento dell'Ufficio politico del PMLI del 16 maggio 2008, dal titolo Abbattiamo il governo del neoduce Berlusconi e la terza repubblica. Per l'Italia unita, rossa e socialista, "siamo pronti a unirci in un largo fronte unito con tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali, religiose che vogliono impedire al IV governo Berlusconi di fare un macello sociale, di lanciare l'Italia in nuove avventure militari e di realizzare la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista".
Occorre che i settori più democratici, antifascisti e progressisti della società che hanno dimostrato di comprendere la gravità della situazione prendano coscienza che al fascismo ci siamo già.
Non dobbiamo perdere nessuna manifestazione nazionale contro il governo Berlusconi che si svolge a Roma, e su questo facciamo affidamento sui compagni romani e laziali, a cominciare da quella del 2 ottobre promossa dal "Popolo viola" per portare in piazza le nostre parole d'ordine. Dobbiamo urlare sempre più forte che Berlusconi va abbattuto dalla piazza. Al più presto, senza aspettare le elezioni. Anche se non è certo che possa essere sconfitto per via elettorale e parlamentare. In ogni caso solo se viene cacciato dalla piazza a furor di popolo si può costringere il governo che lo sostituirà a cancellare il regime neofascista e tutte le misure istituzionali, legislative, economiche, sindacali e sociali che lo hanno instaurato. Diversamente si cambia solo il governo, da quello della destra borghese si passa a quello della "sinistra" borghese che lascerà in piedi il regime di Berlusconi.
Forse la legislatura sarà interrotta quanto prima dalle elezioni anticipate. Teniamoci pronti tenendo ferma la nostra posizione astensionista. Essa è funzionale alla battaglia contro il capitalismo e il regime neofascista e per l'Italia unita rossa e socialista. L'astensionismo marxista-leninista tattico delegittima le istituzioni borghesi, distacca le masse da esse, eleva la coscienza politica e la combattività delle masse e abbatte le illusioni elettorali, parlamentari, governative, riformiste e pacifiste delle masse.
Dobbiamo far acquisire alle masse, a partire dall'elettorato di sinistra, il concetto di concepire l'astensionismo come un voto dato al PMLI e al socialismo. Inoltre dobbiamo convincerle a creare in ogni quartiere e città le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari, basate sulla democrazia diretta da contrapporle a quelle della borghesia e del capitalismo.
Date le forze e i mezzi di cui disponiamo attualmente, nella prossima campagna elettorale dobbiamo privilegiare ancora una volta i banchini, che si sono dimostrati essere per noi lo strumento migliore per entrare in contatto con un maggior numero di elettrici e di elettori. Inoltre dobbiamo utilizzare a fondo, cercando di coinvolgere un numero maggiore possibile di simpatizzanti e amici, le squadre di propaganda dell'astensionismo marxista-leninista per l'Italia unita, rossa e socialista e per il potere al proletariato. In modo di arginare, nei limiti della nostra possibilità, le false "squadre della libertà" di Berlusconi e l'ingannatorio "porta a porta" di Bersani, il quale addirittura è disponibile a governare assieme al fascista ripulito Fini, il quale a Mirabello si è rilanciato come leader di un nuovo partito di destra a "sinistra" di Berlusconi.
Chi viene investito della nostra propaganda deve avere chiara l'idea che la scelta è o per il socialismo, per cui lotta il PMLI, o per il capitalismo sostenuto da tutti i partiti che hanno presentato delle liste elettorali.
Le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari e lavoratrici del nostro Paese impongono una lotta a tutto campo contro il governo del neoduce Berlusconi e contro l'imperialismo che affama e depreda i popoli.
In Italia ci sono 8 milioni di poveri, la disoccupazione è salita all'8,9%, ma secondo un'indagine della Cgil il tasso reale è all'11,5%, un giovane su quattro sotto i 25 anni è disoccupato, sui 30 paesi più sviluppati che aderiscono dell'Ocse siamo al 23° posto come livello dei salari, mentre la pressione fiscale sulle retribuzioni è fra le più elevate, come lo è il tasso di evasione fiscale, almeno 300.000 sono i ragazzi costretti a lavorare, il 72% delle pensioni è inferiore ai mille euro al mese, il 50% delle quali non supera i 500 euro, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 44.5% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane e metà della popolazione ne possiede solo il 9,8%, 3 famiglie su 10, in particolare al Sud ma non solo, non arrivano a fine mese, i morti sul lavoro dell'inizio dell'anno sono oltre 600.
Negli ultimi 3 anni l'Italia ha speso 3 miliardi e mezzo in armamenti, mentre da qui al 2026 la spesa militare preventivata è di 30 miliardi di euro, 13 miliardi di euro saranno impiegati per acquistare 131 cacciabombardieri F-35, progetto partito dal governo D'Alema nel 1998 e condiviso da tutti quelli seguenti, agli Stati Uniti l'operazione costerà invece 275 miliardi di dollari, il costo complessivo finale si aggirerà sui 100 milioni di dollari, ogni anno poi lo Stato regala alla screditata Chiesa cattolica del papa nero Ratzinger qualcosa come 18 milioni di euro, tra l'8 per mille, finanziamenti di ogni tipo ed esenzioni fiscali.
Alessandro Profumo, amministratore delegato dell'Unicredit incassa 9 milioni 426mila euro mentre annuncia più di 4.000 licenziamenti, Cesare Romiti ha ricevuto una liquidazione di 100 milioni di euro quando dopo 25 anni ha lasciato la Fiat che adesso chiude lo stabilimento di Termini Imerese e schiavizza i lavoratori di Pomigliano, l'anno scorso John Stumpf, amministratore delegato della banca Wells Fargo di San Francisco, ha incassato qualcosa come, 18 milioni e 700 mila dollari.
Per non parlare delle guerre imperialiste, solo quelle contro l'Afghanistan e l'Iraq, sono costate sinora solo agli Stati uniti l'incredibile e vergognosa cifra di 1,15 trilioni di dollari, pari a 890 miliardi di euro.
E allora di fronte alle condizioni precarie e alla tremenda povertà della maggior parte della popolazione mondiale, alla quale fa da contraltare il lusso e lo spreco dei borghesi, noi ci diciamo ancor più orgogliosamente marxisti-leninisti e diciamo con forza che non accettiamo lezioni da questo marcio sistema capitalista e imperialista!
Non ci vengano a raccontare che il mondo capitalista è migliore di quello comunista, quando bambini di 8 anni sono costretti a lavorare 14 ore al giorno per lavorare i diamanti che sfoggiano i ricchi, o quando i cacciatori italiani utilizzano i bambini albanesi come cani da caccia per recuperare la cacciagione, o quando ci vogliono 4 mesi per tappare la falla di una piattaforma petrolifera esplosa in fondo al mare uccidendo 11 operai e riversando 780 milioni di litri di petrolio che avvelenano il mare, i pesci e di conseguenza gli esseri umani.
Di fronte a tutto ciò come si può parlare di amore universale, che comprende anche gli oppressori e gli sfruttatori?

IL PMLI
"Al mondo
- dice Mao - non esiste amore senza cause, così come non esiste odio senza cause. Quanto al cosiddetto 'amore per l'umanità', da quando l'umanità è divisa in classi non è mai esistito un amore come questo, un amore che abbraccia tutto e tutti. Alle varie classi dominanti del passato piaceva predicare un tale amore, e molti saggi hanno fatto altrettanto, ma nessuno l'ha messo realmente in pratica, perché nella società divisa in classi questo amore è impossibile. Un vero amore per l'umanità sarà possibile soltanto quando le classi saranno state eliminate in tutto il mondo. Le classi hanno diviso la società in gruppi antagonistici, e soltanto dopo l'eliminazione delle classi si avrà l'amore universale, non ora. Noi non possiamo amare i nostri nemici, non possiamo amare i mali della società, il nostro obiettivo è distruggerli".
Questa è la missione storica per la quale è nato e continua a battersi da 33 anni il PMLI, nonostante le grosse difficoltà non dipendenti dalla nostra volontà che ne frenano la marcia e ne limitano il proselitismo. Prima fra tutte quella economica.
Le masse lavoratrici e popolari che ci conoscono - una minima parte perché la stragrande maggioranza di esse non sanno ancora nemmeno che esiste il nostro Partito - non hanno ancora compreso che il PMLI è il loro Partito e che solo il PMLI può guidarle all'emancipazione, ma come diceva Mao nel 1956 "Vi sono tuttora molte persone che non si sono ancora risvegliate a causa dell'inganno della socialdemocrazia, del revisionismo, dell'imperialismo e della reazione. Ma, in ogni modo, esse si risveglieranno gradualmente e appoggeranno il marxismo-leninismo. La verità del marxismo-leninismo è irresistibile. Le masse popolari finiranno per fare la rivoluzione. La rivoluzione è destinata a trionfare".
Il 5° Congresso nazionale del PMLI ha confermato e ribadito questa verità storica e ci ha fornito tutte le armi necessarie per affrontare i principali problemi che ci troviamo attualmente di fronte, ci ha indicato come possiamo superare gli attuali limiti e procedere nel radicamento e nello sviluppo del PMLI.
Anzitutto dobbiamo fare nostra e mettere in pratica la parola d'ordine "Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare".
Non dobbiamo però studiare in modo libresco e al chiuso di una stanza, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la linea del PMLI vivono, incidono nella realtà e si sviluppano solo se portati alle masse, da esse traggono linfa vitale, se non vengono utilizzati nella lotta di classe diventano lettera morta.
Dobbiamo quindi far vivere il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la linea del PMLI applicandoli alla nostra situazione specifica, in base alle condizioni che si presentano e tenendo conto dei rapporti di forza, dobbiamo calarli nei nostri ambienti di lavoro, di studio e di vita, elaborando una corretta linea politica e rivendicativa e delle corrette parole d'ordine con quattro obiettivi principali: aiutare le masse nella lotta per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto è possibile sotto il capitalismo, elevare la coscienza politica e la combattività anticapitalista delle masse, accumulare forze rivoluzionarie e fare avanzare la lotta di classe verso il socialismo, e fare proselitismo, ossia conquistare al Partito in primo luogo le operaie e gli operai, le studentesse e gli studenti più avanzati e combattivi.
Dobbiamo imparare da Mao quando dice: "... il popolo è come l'acqua e i dirigenti di ogni livello come le persone che nuotano: devono stare nell'acqua seguendone il corso, non nuotare in senso contrario. Non ingiuriate le masse operaie, contadine, studentesche, la maggioranza dei membri dei partiti democratici e degli intellettuali: non dovete contrapporvi alle masse ma stare con loro. Anche le masse possono sbagliare. Quando sbagliano noi dobbiamo spiegare le ragioni nel modo dovuto; se non ci ascoltano, aspettiamo e riprendiamo il discorso appena se ne presenta l'occasione. Comunque non dobbiamo separarci da loro, proprio come non possiamo separarci dall'acqua quando nuotiamo".
Dobbiamo applicare la linea di massa e di fronte unito del Partito in ogni circostanza, partendo dai bisogni più immediati delle masse, come insegna Mao:
"... bisogna prestare seria attenzione ai problemi delle masse , da quelli della terra e del lavoro a quelli della legna, del riso, dell'olio e del sale (...) Dobbiamo aiutare le larghe masse a capire che rappresentiamo i loro interessi, che la loro vita è la nostra stessa vita. Dobbiamo aiutarle a capire, partendo da queste cose, i compiti ancora più alti che abbiamo posto, i compiti della guerra rivoluzionaria , in modo che esse appoggino la rivoluzione e la estendano in tutto il paese, rispondano ai nostri appelli politici e lottino fino in fondo per la vittoria della rivoluzione".
In questo lavoro dobbiamo coinvolgere al massimo i simpatizzanti attivi del Partito, sui piani ideologico, politico, organizzativo, giornalistico e pratico. Occorre dare a questi compagni la possibilità di esprimere tutto il loro potenziale e le loro qualità proletarie rivoluzionarie affidando loro incarichi importanti. Solo così potranno crescere e il Partito con loro.
Ai simpatizzanti, ma anche agli amici che sostengono in qualunque modo il PMLI, rivolgiamo un sentito e caloroso ringraziamento, senza di loro potremmo fare davvero poco, grazie alla loro opera il Partito e la causa del socialismo sono più forti.
Sulle questioni particolari e immediate, dobbiamo unirci con tutti coloro che condividono le nostre posizioni anche se con motivazioni e per scopi politici diversi, anche se si tratta di formazioni borghesi o addirittura anticomuniste.
Qualunque sia il contesto nel quale operiamo, occorre individuare sempre la contraddizione principale, e quindi il nemico o l'avversario principale, per evitare di mettere sullo stesso piano l'avversario principale con quello secondario e così bruciarsi ogni alleanza, ogni spazio di manovra e qualsiasi lavoro di massa, nel quale dobbiamo cercare di unire la sinistra, conquistare il centro e neutralizzare la destra.
Dobbiamo procedere come già stiamo facendo nei Comitati sorti in tutta Italia, e che hanno raccolto la cifra record di oltre 1.400.000 firme a sostegno dei 3 referendum sulla ripubblicizzazione dell'acqua.
Il prossimo fine settimana si terrà proprio qui a Firenze l'assemblea nazionale dei movimenti per l'acqua per preparare la campagna referendaria; pur lavorando anche noi per la vittoria dei Sì, occorre essere consapevoli che essi difficilmente potranno bloccare la privatizzazione dei servizi idrici, e tanto meno ripubblicizzarli, anche in questo caso, senza la piazza, sarà impossibile conquistare una vittoria effettiva e duratura.
In questo momento dobbiamo dare battaglia per: il lavoro, aumenti salariali e pensionistici; l'introduzione di un meccanismo automatico di recupero delle retribuzioni erose dall'inflazione; la restituzione del fiscal-drag e la riduzione delle tasse sui redditi medio-bassi; l'incremento del prelievo fiscale sui redditi alti e sulla rendita finanziaria e patrimoniale; l'adeguamento dell'indennità di disoccupazione; l'ampliamento degli "ammortizzatori sociali" per tutti i settori; il blocco totale dei prezzi e delle tariffe; il blocco dei licenziamenti; ampi interventi pubblici per il Mezzogiorno; la stabilizzazione dei precari pubblici; la difesa e il rilancio di scuola, università, ricerca, sanità e previdenza pubbliche; la difesa e il rilancio dei servizi pubblici; piani straordinari per l'occupazione anche legati allo sviluppo delle fonti energetiche pulite e rinnovabili e della difesa dell'ambiente; piani per la costruzione di case popolari; piani per la mobilità su rotaie nelle città e nel Paese, la nazionalizzazione di banche e imprese di importanza nazionale, l'abrogazione della legge Bossi-Fini, del "pacchetto sicurezza", del pacchetto Treu, della legge 30 sul "mercato del lavoro" e di tutte le norme che ostacolano il lavoro della magistratura e dell'informazione.
"Il fronte operaio e sindacale e il fronte studentesco - ha affermato il Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi, nelle sue conclusioni al 5° Congresso - sono i fronti principali sui quali dobbiamo concentrare attualmente i nostri sforzi... Lavorando su questi fondamentali fronti con perseveranza, con le idee tattiche, strategiche e programmatiche chiare e ben definite dal Congresso e applicando i tre elementi chiave e le 4 indicazioni riusciremo a coinvolgere, e attirare a noi, anche le masse femminili, essenziali per lo sviluppo della lotta di classe e del PMLI. In ciò contiamo soprattutto sui nostri operai, lavoratori e studenti di ambo i sessi che devono divenire dei leader sindacali e studenteschi.
Le officine, le fabbriche e ogni luogo di lavoro, le scuole e le università - concludeva Scuderi - devono essere i principali ambienti del nostro lavoro di massa, nel tempo devono diventare delle fortezze del Partito in cui dobbiamo essere presenti con delle Cellule, soprattutto nei luoghi di lavoro".
Sul fronte operaio e sindacale abbiamo partecipato con i lavoratori e i pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI al 16° Congresso nazionale della Cgil, dando battaglia contro la linea riformista di destra della maggioranza di Epifani, del quale mai scorderemo la posizione a favore dell'accordo antioperaio di Pomigliano, fatta propria anche dalla la sua probabile erede Susanna Camusso.
La vittoria di Epifani ha portato ad un ulteriore spostamento a destra del maggior sindacato italiano, che continua a inseguire la "concertazione" col governo, già di per sé fallimentare con i governi di "centro-sinistra" e cancellata dal neoduce.
La chiusura di ogni spazio verso la minoranza che al congresso ha raccolto circa il 18%, ha portato quest'ultima a costituire l'Area programmatica "La Cgil che vogliamo", nella quale è confluita anche la Rete 28 aprile.
Il PMLI ha già dato indicazione, tramite un articolo pubblicato su "Il Bolscevico, ai propri lavoratori e pensionati militanti e simpatizzanti del Partito di "...aderire formalmente alla nuova Area di sinistra della Cgil, anche se non ci riconosciamo interamente nel documento costitutivo, anche se gli attuali leader dell'Area non ci rappresentano. È un'adesione organizzativa di tipo tattico che deve essere presa sulla base della linea sindacale del PMLI, aggiornata nel 5° Congresso nazionale con al centro la proposta strategica del sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale contrattuale alle rispettive assemblee generali. Una adesione attiva e partecipativa, con leale spirito di fronte unito, all'interno del quale portare il nostro specifico contributo di analisi, di denunce e di proposte".
Noi appoggiamo in maniera militante le manifestazioni nazionali a Roma indette dalla Cgil e dalla Fiom rispettivamente il 29 settembre e il 16 ottobre. Al contempo chiediamo con forza alla Cgil e ai "sindacati di base" di proclamare congiuntamente successivamente uno sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per fermare la macelleria sociale, le relazioni industriali da terza repubblica, tra cui la cancellazione dei contratti nazionali.
Il PMLI condivide e appoggia le dure contestazioni di questi ultimi giorni a Schifani, Bonanni e Dell'Utri. Se non usiamo anche forti metodi di lotta a viso aperto e davanti alle masse come è possibile far capire ai rappresentanti delle istituzioni, ai governanti e ai parlamentari fascisti, mafiosi e piduisti, nonché ai sindacalisti venduti che hanno varcato la soglia della sopportazione?
Chiediamo fermamente che Marchionne rispetti la sentenza dei giudici e consenta ai tre operai Sata, ingiustamente licenziati dalla Fiat per rappresaglia contro il fallito plebiscito alla Fiat di Pomigliano, di tornare al loro posto di lavoro assieme ai loro compagni!
Ci opponiamo al nuovo "patto sociale" lanciato dallo stesso Marchionne che introduce le relazioni industriali della terza repubblica!
In ogni caso noi dobbiamo stare davanti alle fabbriche, specie quelle più combattive, sull'esempio dei compagni di Fucecchio e di Viggiù che sono all'avanguardia di questo lavoro di propaganda.
Sul fronte studentesco dobbiamo farci trovare pronti alla nuova ondata di proteste che si scateneranno alla riapertura delle scuole, contro le controriforme Gelmini e Aprea che demoliscono la scuola pubblica in favore di quella privata, anzi, dobbiamo essere noi a soffiare sul fuoco delle rivolta studentesca, aumentandone la combattività e indirizzandone i colpi per quanto ci è possibile, come abbiamo già detto, rilanciando la nostra proposta della scuola e dell'università governate dalle studentesse e dagli studenti. Lo dobbiamo fare spiegandone dialetticamente la necessità, la funzione e gli scopi, nonché il metodo per realizzarla, cogliendo ogni occasione buona come un'assemblea studentesca, un'occupazione di ateneo o di istituto, le elezioni scolastiche e universitarie, gli scioperi e le manifestazioni.
Abbiamo bisogno di qualche esperienza pilota del lavoro di massa studentesco. Ora che cominciano ad esserci le condizioni è possibile farla. Ne beneficeranno tutte le studentesse e gli studenti militanti e simpatizzanti del PMLI.
Noi dobbiamo appoggiare con tutte le nostre forze la battaglia dei duecentomila insegnanti precari per ottenere il posto di lavoro fisso.
Come ha indicato il compagno Scuderi "dobbiamo tenere ferma la nostra missione migliorando il lavoro giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza, attività dopo attività".
Care compagne e cari compagni, care amiche e cari amici,
la strada è ancora lunga e in salita, ma le difficoltà della lotta di classe che incontriamo e che oggi possono sembrare montagne insormontabili, viste da un punto di vista generale e strategico, non sono che delle "tigri di carta", certo spaventano, perché sono minacciose e aggressive, ma in prospettiva finiranno senz'altro per essere abbattute sotto i colpi del popolo rivoluzionario con alla testa la classe operaia e il PMLI.
Abbiamo tutto ciò che ci serve per affrontare queste tigri: abbiamo un Partito autenticamente marxista-leninista per linea politica, struttura organizzativa, composizione di classe e gruppo dirigente; un partito rivoluzionario basato sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao perché, come indica Mao, "se si vuole fare la rivoluzione occorre un Partito rivoluzionario", inoltre abbiamo i cinque grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao, il pensiero dei quali costituisce la nostra forza ideologica principale, la nostra cultura, gli elementi indispensabili per costruire correttamente il Partito, assicurarne l'unità, per essere dei veri marxisti-leninisti e per trasformare il mondo e se stessi.
Possiamo quindi perseverare tranquillamente nella semina, sicuri che arriverà il tempo del raccolto. Nel nostro lavoro, come dice Mao, dobbiamo "Essere entusiasti ma calmi, lavorare intensamente ma in maniera ordinata, questo è ciò di cui abbiamo bisogno".
Prima o poi le rivoluzionarie e i rivoluzionari fautori del socialismo che ci conoscono e ci conosceranno non potranno non rivolgere la loro attenzione verso di noi e abbracciare il nostro Partito e la nostra causa, conformando il corpo del Partito alla sua testa, che è già quella di un Gigante Rosso.
Mao ci ricorda che "Il marxismo è duro, senza pietà, quello che vuole è annientare l'imperialismo, il feudalesimo il capitalismo e anche la piccola produzione. In questo campo è meglio non essere troppo indulgenti... Il nostro scopo è di estirpare il capitalismo, di estirparlo su tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto quello che appare nel corso della storia dovrà sempre essere eliminato. Non c'è cosa o fenomeno del mondo che non sia prodotto della storia; alla vita succede sempre la morte. Il capitalismo è un prodotto della storia, deve, dunque, morire, c'è un ottimo posto sottoterra per 'dormire' che lo aspetta".
E allora compagne e compagni, diamoci dentro per mandare a "dormire" il capitalismo!
Lottiamo per abbattere il governo del neoduce Berlusconi e il regime capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, razzista e interventista!
Prendiamo esempio dalla grande rivolta antifascista e anticapitalista del luglio '60 che dimostra che cacciare dalla piazza un governo fascista è possibile!
Lavoratori, giovani, donne, pensionati, disoccupati unitevi al PMLI per conquistare l'Italia unita rossa e socialista!
Gloria eterna a Mao!
Con Mao per sempre!
Viva i Maestri e il marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Viva il PMLI!
Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!

15 settembre 2010