Spaventoso il divario tra ricchi e poveri nella Cina capitalista
Si moltiplicano le rivolte operaie e popolari contro la povertà e la politica governativa

La Cina capitalista, protagonista del miracolo economico che grazie a una crescita continua appena incrinata dalla grave crisi che sconvolge altre parti del mondo è lanciata verso il sorpasso degli Usa ancora per pochi anni prima potenza economica mondiale, vede crescere allo stesso modo le diseguaglianze sociali, un divario spaventoso tra ricchi e poveri che genera una moltiplicazione delle rivolte popolari contro la povertà e la politica governativa.
La ricchezza del paese è nelle mani di una ristretta cerchia di privilegiati, di capitalisti e alti funzionari pubblici che dirigono le aziende statali, monopoliste in molti settori, mentre aumenta il numero delle persone ridotte in povertà. Una recente indagine ha stimato che nel 2010 oltre la metà dei redditi totali, il 51,9%, è appannaggio di solo il 10% dei cinesi. Le rendite dei capitalisti cinesi sono aumentate mentre crollava il potere di acquisto dei salari dei lavoratori a fronte di una inflazione che fa salire continuamente i prezzi degli alimenti e di altri generi essenziali. L'indagine ha stimato che gli stipendi dei lavoratori erano pari al 53,3% del Prodotto interno lordo nel 1990, crollati al 39,7% nel 2007.
La crescita del divario tra ricchi e poveri è una delle questioni che rimbalza sui tavoli del regime di Pechino, preoccupato dagli scioperi dei lavoratori e dalla moltiplicazione delle rivolte popolari. Ma mentre predica il principio confuciano dello sviluppo di una società "armoniosa" per anestetizzare la lotta di classe usa il pugno di ferro per reprimere le proteste. E spesso la repressione poliziesca innesca nuove proteste, come è avvenuto di recente in alcune province.
Nella cittadina di Lichuan, nella provincia centrale dell'Hubei, le proteste popolari erano scattate alla notizia della morte di un ex direttore dell'ufficio anticorruzione locale in seguito alle ferite ricevute in un pestaggio. Era stato aggredito perché non voleva cooperare nella campagna per le demolizioni e la requisizione forzata di terre. La polizia aveva dovuto far ricorso ai blindati per respingere la folla inferocita di manifestanti scesa in piazza.
Rivolte e scontri con la polizia si sono svolti il 18 giugno nel villaggio di Xintang, nel Guangdong, centro mondiale delle industrie tessili dove sono confluiti centomila immigrati del Sichuan che producono ogni anno 200 milioni di paia di jeans per i 60 più famosi marchi. Con un salario di fame da 45 a 90 euro al mese, in turni di 18 ore e nessun diritto: chi protesta viene pestato a sangue. Il 18 giugno un'ambulante ventenne migrante, incinta, è stata malmenata fuori da un supermercato e l'ennesima violenza della polizia ha fatto scattare la rivolta popolare con migliaia di persone che hanno bruciato auto e distrutto negozi, dando l'assalto ai quartieri dei ricchi. Le autorità hanno proclamato il coprifuoco e chiesto l'intervento dell'esercito che presidiava le fabbriche chiuse per una settimana.
Una situazione esplosiva come quella della città di Zengcheng e dei principali distretti produttivi della costa e del Sud dove centinaia di scioperi stanno paralizzando le esportazioni. Con i lavoratori e le masse popolari che come in altre zone del paese scendono in piazza e si scontrano con la polizia per chiedere maggiori diritti sul lavoro, salari dignitosi, un'occupazione stabile, il rispetto dei proprietari delle aziende, la tutela di case e terreni, accoglienza e servizi sociali nelle metropoli.

22 giugno 2011