LA STRATEGIA SINDACALE DEL PMLI E LA TATTICA PER IL XV CONGRESSO DELLA CGIL
Documento dell'Ufficio politico del PMLI
 
Ormai ci siamo. Dal 10 ottobre inizia il lungo iter del XV Congresso nazionale della Cgil. Prima le assemblee di base, poi i congressi provinciali e regionali di categoria e confederali, di seguito i congressi nazionali di categoria e infine, dal 1° al 4 marzo del prossimo anno, l'assise confederale nazionale con il compito di tirare le fila del dibattito e delle proposte e di definire la linea sindacale e la piattaforma rivendicativa per i prossimi anni, con il compito di eleggere il segretario generale e il nuovo Comitato direttivo nazionale. Si tratta di una scadenza sindacale della massima importanza che coinvolge il sindacato italiano più forte, con più di 5 milioni di iscritti tra lavoratrici e lavoratori dipendenti pubblici e privati, pensionate e pensionati, che può avere, e di fatto avrà in un senso o in un altro, una forte influenza sugli sviluppi prossimi della situazione economica, politica e sociale. Ciò in base al tipo di bilancio che saprà trarre del periodo che è intercorso dal XIV Congresso ad oggi, alle scelte strategiche politico-rivendicative che saranno messe in campo e dalle decisioni organizzative che prevarranno. Considerando anche il fatto, non secondario, che il Congresso si tiene in tempo di elezioni politiche, previste per la primavera 2006, che potrebbero anche essere anticipate nel caso precipitasse la crisi politica all'interno della Casa del fascio.
Il XV Congresso della Cgil, infatti, dovrà fare i conti coll'attuale contesto economico e politico, ivi compresi gli aspetti internazionali e la guerra imperialista in Iraq in primis, dovrà passare al vaglio critico e autocritico l'efficacia e la correttezza delle posizioni e delle azioni prese sin qui nei confronti del governo del neoduce Berlusconi e della Confindustria, sia quella guidata dall'ultra berlusconiano D'Amato, sia quella diretta ora da Luca Cordero di Montezemolo, dovrà perciò mettere a punto una linea congressuale adeguata all'attuale momento. E questo contesto economico e politico presenta particolarità e caratteristiche eccezionali, tipiche delle contingenze storiche importanti.
La "globalizzazione" dei mercati e della finanza, venutasi a determinare dopo la "caduta del muro di Berlino" e il disfacimento dei regimi revisionisti in Urss e nei paesi dell'Est, che vede spadroneggiare l'imperialismo Usa, europeo e giapponese e l'affacciarsi di due nuove superpotenze, quella cinese e indiana, in breve tempo ha prodotto senza soluzione di continuità tre guerre di aggressione, sanguinose e criminali: nell'ex Jugoslavia, in Afghanistan e in Iraq. Questa "globalizzazione" imperialista e anticomunista ha accentuato più che mai lo sfruttamento e l'oppressione dei popoli, la rapina delle materie prime e delle fonti energetiche, il petrolio anzitutto, senza curarsi degli immani danni ambientali recati all'eco-sistema; ha accentuato le differenze e le ingiustizie sociali tra Nord e Sud del mondo, ha ulteriormente peggiorato i problemi della fame, del diritto al lavoro, del diritto all'acqua potabile, del diritto alla salute, del diritto all'istruzione, del diritto alla abitazione, più in generale del diritto allo sviluppo economico e sociale di ogni Paese. Sono le multinazionali a spadroneggiare per soddisfare la loro insaziabile sete di profitto, senza alcun freno e anzi favorite dalle istituzionali internazionali (Onu, Wto, Fmi, Banca mondiale) e sostenute dai rispettivi governi nazionali.
Per quanto riguarda l'Italia, l'assise congressuale della Cgil non potrà evitare di portare a fondo la denuncia delle politiche neofasciste e neoliberiste sviluppate dai due governi Berlusconi per ormai tutta la legislatura e dei danni economici e delle devastazioni sociali da essi provocati. Quelli di Berlusconi sono i peggiori e più pericolosi governi dal ventennio mussoliniano che hanno instaurato un regime neofascista sotto forme nuove, nuovi metodi e nuovi vessilli che porta il nome di seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Ne sono la conferma la controriforma della Costituzione e la devolution in discussione in parlamento, la controriforma dell'ordinamento giudiziario e la recente proposta di "riforma" elettorale golpista, con lo sbarramento al 4% e il premio truffaldino di maggioranza.
Portare a fondo questa denuncia significa mettere in evidenza l'aggravarsi della crisi economica del capitalismo italiano, il dissesto del bilancio dello Stato, il declino industriale, la recessione produttiva, la disoccupazione, la precarizzazione di massa, il "lavoro nero", gli "omicidi bianchi" sempre a livelli altissimi. Significa denunciare la totale deregolamentazione del "mercato del lavoro", la cancellazione di fondamentali diritti dei lavoratori, sono ormai milioni coloro che non hanno alcuna copertura e tutela sindacale e previdenziale, la costante perdita del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni mentre i profitti, e soprattutto le rendite, sono cresciuti scandalosamente e senza pudore, la demolizione del residuo "Stato sociale" con la contestuale privatizzazione della sanità, delle pensioni, della scuola, dell'università e dei servizi pubblici; a cui seguirà la legge finanziaria 2006. Significa denunciare la condizione di povertà di milioni di famiglie, specie nel Sud d'Italia, che non sono in grado di soddisfare nemmeno i bisogni più elementari. Significa, più in generale, denunciare il peggioramento generalizzato delle condizioni di vita, di lavoro, di studio delle larghe masse popolari, nonché il sottosviluppo del Mezzogiorno.

I - LA STRATEGIA SINDACALE DEL PMLI
Il PMLI, come in passato e con rinnovata forza, attraverso i propri militanti e simpatizzanti, lavoratori, precari e pensionati iscritti alla Cgil, intende partecipare attivamente alla battaglia congressuale per portare il proprio contributo di analisi e di proposta; un contributo di classe originale e sostanzialmente differente dalle altre posizioni congressuali, tutte riformiste, avanzate dalle aree sindacali che fanno riferimento al segretario generale uscente, Guglielmo Epifani, al leader di "Lavoro società", Gian Paolo Patta, ma anche da Rinaldini e Cremaschi, rispettivamente segretario generale della Fiom e promotore della "Rete 28 aprile per l'indipendenza e la democrazia sindacale"; ciò soprattutto da un punto di vista strategico, riguardo al modello di sindacato, alla concezione della rappresentanza e della democrazia sindacali, e in riferimento all'agire del sindacato e alla sua piattaforma rivendicativa.
Non c'è migliore occasione di quella del congresso per rilanciare la nostra concezione della lotta sindacale e in particolare la nostra proposta sindacale strategica sintetizzata nella parola d'ordine generale: Costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori (SLL) fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori.

Il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori
Questa proposta è stata formulata per la prima volta nel documento dell'Ufficio politico del PMLI del 6 febbraio 1993 dal titolo "è ora di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori", e ribadita nel successivo e più ampio documento dello stesso Ufficio politico del 9 Aprile 1993 dal titolo "Il lavoro sindacale dei marxisti-leninisti". Una proposta, questa, coraggiosa e assolutamente inedita nella storia del movimento operaio italiano e internazionale, ispirata sin dall'inizio dal Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi, che la riconfermerà al massimo livello e con i dovuti aggiustamenti tattici, nel suo Rapporto al 4° Congresso nazionale del PMLI tenutosi nel dicembre 1998. Successivamente rappresenterà uno dei punti principali e qualificanti del Programma d'azione del PMLI adottato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001. è con questa proposta che abbiamo partecipato al precedente congresso della Cgil. La stessa è stata posta al centro della riunione allargata della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI del 31 gennaio 2004 avente per tema "Il governo del neoduce Berlusconi, le lotte sindacali e il lavoro sindacale del PMLI".
Fu un cambio radicale di strategia sindacale. Prima di allora il PMLI sosteneva la necessità di lottare all'interno della Cgil, che tradizionalmente era il sindacato dei lavoratori e dei pensionati di sinistra sotto l'influenza del PCI e del PSI, per rovesciare la linea e la direzione in senso di classe. Un cambio dovuto a una serie di fatti avvenuti nel '91 e nel '92 quali: il XII Congresso nazionale della Cgil (11-15 ottobre '91) nel quale l'allora segretario generale, Bruno Trentin, impresse una vera e propria mutazione genetica alla Confederazione omologandola sostanzialmente sul piano ideologico e programmatico a Cisl e Uil, da sempre questi sindacati filogovernativi e filopadronali, e integrandola completamente nel capitalismo; il protocollo del 10 dicembre '91 sul "costo del lavoro" e il successivo "patto sociale" neocorporativo del 31 luglio '92 sottoscritto dalle tre confederazioni con il governo Amato sulla "riforma" del salario e della contrattazione, che porterà alla cancellazione della scala mobile e al blocco dei salari, nonché alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti; l'atteggiamento arrendevole e collaborazionista tenuto da Cisl, Uil e dalla stessa Cgil verso la maxistangata di 93 mila miliardi di lire attuata nello stesso periodo dal governo Amato il quale, mai come in passato, sconvolse in senso liberista sanità, previdenza, "mercato del lavoro" e pubblica amministrazione; lo sviluppo di un dissenso generalizzato dei lavoratori contro l'operato dei vertici sindacali.

Motivi e caratteristiche di questa scelta
Le intese sindacali con il governo e la Confindustria che fecero seguito, rafforzarono e ampliarono le motivazioni di questa scelta. Tra le più significative citiamo: l'accordo del 23 luglio '93 con il governo Ciampi sulla "politica dei redditi", che introdusse i famosi "tetti programmati d'inflazione" e subordinò così in modo sistematico e in forma stabile i salari ai profitti capitalistici e alle compatibilità economiche capitalistiche, che equivale a una catena imposta agli "schiavi" salariati; l'intesa del '95 con il governo Dini che portò alla più devastante controriforma pensionistica; l'accordo del '97 con il governo Prodi su "Stato sociale" e pensioni, peggiorandole ulteriormente; il "patto sociale" del '98 sottoscritto col governo D'Alema, con al centro il "pacchetto Treu" sul "mercato del lavoro" che spalancò la porta al precariato di massa.
Avendo portato a compimento la sua parabola a destra, iniziata con la linea dell'Eur di Lama, ed essendo diventata perciò la Cgil un sindacato borghese in tutto e per tutto, nell'ambito della instaurazione della seconda repubblica con caratteri neofascisti, presidenzialisti e federalisti veniva a cadere la possibilità di farne un sindacato di classe e si imponeva una nuova strategia, adeguata ai tempi e alla nuova situazione venutasi a creare concretizzatasi nella proposta del grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori le cui caratteristiche principali sono: l'unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e comporta la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l'assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del "patto sociale" con le controparti (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi, come hanno insegnato la Grande rivolta del Sessantotto e l'Autunno caldo del 1969, ma anche le vertenze degli ultimi due anni alla Fiat di Melfi e di Termini Imerese, quella dei metalmeccanici, quella dei ferrotranvieri, quella delle popolazioni di Scanzano Jonico e di Acerra.
Un sindacato come questo, che in una certa misura si ispira al Sindacato dei consigli degli anni '70, fondato sull'unità di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, nonché di tutte le pensionate e di tutti i pensionati a basso reddito, e sulla democrazia diretta deve essere, non può non essere autonomo e indipendente non solo dal governo e dal padronato, come è ovvio, ma anche dai partiti, compreso il Partito del proletariato, ossia il PMLI.
In questo contesto viene quindi superata la concezione marxista-leninista del sindacato come "cinghia di trasmissione" del Partito marxista-leninista, in quanto non è più proponibile nelle attuali condizioni politiche e sindacali del nostro Paese.
Gli sconvolgimenti ideologici, politici e organizzativi che ci sono stati dopo la liquidazione del PCI revisionista, la deideologizzazione e la decomunistizzazione della classe operaia e delle masse lavoratrici, la perdita di coscienza da parte della classe operaia di essere una classe generale e per sé, la formazione di diverse organizzazioni sindacali a sinistra della Cgil, il controllo tuttora maggioritario delle masse lavoratrici, dei pensionati e dei disoccupati da parte della "sinistra" borghese, a fronte della perdurante debole forza numerica e di influenza verso la classe operaia del nostro Partito non ci permettono il rilancio del concetto della "cinghia di trasmissione".
A carte mischiate, la carta vincente sembra allora essere a livello sindacale quella del SLL da cui eventualmente ripartire per raggiungere posizioni più avanzate.
Tuttavia rinunciare oggi tatticamente alla parola d'ordine della "cinghia di trasmissione" non significa minimamente da parte dei marxisti-leninisti italiani annacquare il proprio discorso politico e sindacale. Le posizioni del Partito e della Corrente sindacale di classe devono comunque e in ogni caso avere una chiara e netta impronta di classe anticapitalista e per il socialismo.

L'Assemblea generale
Per permettere alle lavoratrici e ai lavoratori, ai precari e ai pensionati di esprimersi pienamente e liberamente e per ottenere il loro consenso sindacale, noi dobbiamo puntare all'esercizio della democrazia diretta in ogni luogo di lavoro e in ogni circolo dei pensionati.
La democrazia diretta non ammette deleghe in bianco e senza controllo, e poggia sul protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori nella lotta e nella gestione della vita sindacale nei luoghi di lavoro e nella contrattazione con i padroni e il governo. Essa va dal basso verso l'alto e non viceversa ed è l'unica capace a livello sindacale di unire le masse lavoratrici e dei pensionati attorno ai loro interessi di classe e di liberarle dai condizionamenti esercitati dalle burocrazie sindacali istituzionalizzate. Al centro della democrazia sindacale diretta noi poniamo lo strumento insostituibile dell'Assemblea generale, che nelle storiche lotte operaie degli anni '70 ebbe un ruolo determinante per vincere le resistenze dei vertici sindacali di allora per inondare le piazze di grandiosi movimenti di lotta contro lo sfruttamento e l'oppressione padronale, contro la politica economica e sociale dei governi democristiani e per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro e per ottenere più potere sindacale in fabbrica.
Con il riflusso degli anni '80 l'Assemblea generale fu svuotata d'importanza e marginalizzata, il voto palese per l'assunzione delle decisioni fu sostituito dal referendum, proposto per la prima volta dal craxiano Giorgio Benvenuto, allora segretario nazionale della Uil. Anche i Consigli di fabbrica, eletti su scheda bianca, furono affossati e sostituiti con le attuali Rappresentanze sindacali unitarie aziendali (Rsu) con un sistema elettorale che assegna d'ufficio a Cgil, Cisl e Uil il 33% dei delegati, oltre al monopolio della presentazione delle candidature.
L'Assemblea generale è il cardine del SLL, tuttavia può essere attuata anche nella presente situazione sindacale, seppure in forma parziale, occasionale e temporanea. Bisogna quindi battersi per realizzarla nei luoghi di lavoro dove esistono le condizioni.
Esigere che le lavoratrici e i lavoratori votino le piattaforme e gli accordi contrattuali che li riguardano è un diritto sacrosanto che deve essere rispettato da tutti i sindacati. Tuttavia, limitare la democrazia sindacale a questa semplice espressione di approvazione o rifiuto su contenuti elaborati da ristretti gruppi dirigenti sindacali non risolve, anzi nega, il problema di conferire il potere sindacale e contrattuale nelle mani della base. "Per noi tutto il potere sindacale e contrattuale dei lavoratori deve essere esercitato soprattutto attraverso l'Assemblea generale: è questo il momento più alto della democrazia diretta in campo sindacale in cui le lavoratrici e i lavoratori discutono i problemi, mettono a confronto idee, assumono le decisioni, approvano le piattaforme e gli accordi con voto palese, selezionano i loro rappresentanti più capaci e combattivi e li revocano non appena essi non riscuotono la fiducia dei lavoratori. Il metodo della democrazia diretta deve essere attuato per tutte le decisioni sindacali ai vari livelli territoriali e nazionale, di categoria e intercategoriale".(1)

La corrente sindacale di classe
La realizzazione del SLL è una battaglia strategica di lunga durata e di grande respiro e comporta l'adesione della maggioranza dei lavoratori che non può che crescere gradualmente e nel tempo. Per sostenere e sviluppare questa battaglia il PMLI ha scelto tatticamente di continuare a lavorare dentro la Cgil, cioè nel sindacato in cui ancora si riconosce la maggioranza della classe operaia; senza però escludere la possibilità di operare anche in altri sindacati che si pongono alla sua sinistra, valutando l'opportunità secondo le varie situazioni sindacali concrete, la convenienza in base ai nostri obiettivi immediati e strategici, e purché essi abbiano un maggior legame con i lavoratori dei luoghi di lavoro dove siamo presenti oppure siano maggioritari nella categoria cui apparteniamo.
Bisogna comunque lavorare in modo organizzato costituendo, costruendo e sviluppando la Corrente sindacale di classe composta dai militanti e dai simpatizzanti del PMLI, operai, lavoratori e pensionati. "Il nostro strumento sindacale organizzativo - ha affermato Scuderi - è la Corrente sindacale di classe (CSC) composta dai militanti e dai simpatizzanti del Partito attraverso la quale dobbiamo tentare di riunire tutta la sinistra sindacale esistente dentro e fuori la Cgil che continua a essere il nostro principale sindacato di riferimento, su una piattaforma comune e condivisa e di far maturare le condizioni per la creazione del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori. La CSC non esclude che si possano creare con altri lavoratori - a qualsiasi corrente politica appartengano - dei gruppi e dei movimenti di lotta sindacale". (2)
La costituzione della CSC rappresenta ancora oggi uno dei nostri compiti sindacali fondamentali, che potrà avvenire nel tempo attraverso prolungati sforzi e a mano a mano che il Partito si rafforzerà organizzativamente tra la classe operaia e le masse lavoratrici e dei pensionati; potrà avvenire nella misura in cui conquisteremo gli operai, i lavoratori, i precari, i disoccupati e i pensionati più avanzati e combattivi. Il Congresso della Cgil è un'occasione importante anche in questo senso. Solo avendo una nostra forza sindacale organizzata, solo avendo una nostra base di consenso è possibile operare con efficacia e influire dentro e fuori la Cgil e in relazione al fronte unito con le altre forze della sinistra sindacale.
Il modello di sindacato che proponiamo è lontano "anni luce" da sindacati come la Cisl di Pezzotta e l'Uil di Angeletti che come linea politica hanno la cogestione e come "democrazia sindacale" al massimo la consultazione degli iscritti, quando vi ricorrono. Ma è agli antipodi della stessa attuale Cgil. è certamente vero che negli anni del secondo governo Berlusconi la Cgil di Cofferati-Epifani ha svolto un importante ruolo di opposizione e di lotta contro la politica economica e sociale iperliberista e neofascista del governo appoggiata dalla Confindustria. Vi è stata costretta visto che il neoduce non concedeva alcuno spazio alla concertazione e perseguiva la divisione sindacale e il ridimensionamento, se non l'annientamento, della Cgil e perseguiva la cancellazione dei diritti sindacali e contrattuali dei lavoratori senza alcuna mediazione. Memorabile rimane la grandiosa e storica manifestazione del 23 marzo 2002 a Roma indetta dalla sola Cgil in difesa dell'art. 18 a cui presero parte 3 milioni di lavoratori, pensionati, disoccupati, studenti, giovani e donne e alla quale era presente una folta e combattiva delegazione del PMLI con alla testa l'Ufficio politico e Scuderi. Importante anche la contestazione del "Patto per l'Italia" sottoscritto dal governo e da Cisl e Uil il 5 luglio 2002. Da ricordare inoltre le numerose iniziative di lotta prese, ivi compresi vari scioperi generali, specie nel biennio 2002-2003 e le centinaia di manifestazioni di piazza contro la legge 30, la controriforma pensionistica, la Bossi-Fini sull'immigrazione e per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq.
Il PMLI ha appoggiato con tutte le sue forze lo sviluppo di questo movimento di lotta, partecipandovi attivamente e portando il suo contributo di idee, di denuncia e di proposta. Ma non ha mai creduto che ciò avrebbe portato il vertice riformista della Cgil a cambiare linea e modo di fare sindacato. Non ci siamo fatti imbrogliare dalle mosse tattiche messe in atto da Cofferati. Come quelle attuate nel XIV Congresso, tese a trovare un accordo con la sinistra sindacale rappresentata allora da "Lavoro società-cambiare rotta" nell'ambito di un unico documento congressuale e la spartizione degli incarichi nei comitati direttivi e nelle segreterie. La Cgil uscita da quel congresso, denunciammo, rimane quella di prima inchiavardata com'è alla concertazione, alla "politica dei redditi", al riformismo, al libero mercato, alle regole capitalistiche. Strumenti questi messi momentaneamente nel cassetto per poterli ritirare fuori appena la situazione politica muterà; in termini più chiari appena al governo di "centro-destra" succederà un governo di "centro-sinistra". Nello stesso tempo denunciammo con forza e pubblicamente la rinuncia immotivata e ingiustificabile da parte del vertice di "Lavoro società-cambiare rotta" a sostenere il documento congressuale "alternativo" per confluire nella "mozione unitaria" di Cofferati in cambio di posti di potere nelle strutture dirigenziali. Non ci fu svolta a sinistra nella Cgil e meno che mai cambiamento di rotta, come tentarono di giustificarsi Patta e soci, ma copertura a "sinistra" della stessa linea borghese, riformista e istituzionale.

II - L'ATTUALE CGIL E LA LINEA DELLA MAGGIORANZA
A dispetto delle apparenze, il tempo ci sta dando ragione. Nonostante che la crisi economica e sociale non si sia fermata, mezzo milione di posti di lavoro sono a rischio e 200 mila lavoratori sono in cassa integrazione, nonostante che il governo Berlusconi abbia proseguito a macinare provvedimenti liberisti e antipopolari, vedi la "riforma" fiscale a favore dei capitalisti, dei ricchi e ricchissimi, l'aumento complessivo delle tasse e dei balzelli, gli ulteriori tagli alla spesa sociale, la riduzione dei finanziamenti alle regioni e agli enti locali, "stranamente" nel 2004 e ancor di più nel 2005 le iniziative di lotta hanno incominciato a diradarsi e la piazza è stata gradualmente abbandonata. Invece di spingere il pedale della lotta, com'era giusto fare, fino a buttare giù il governo Berlusconi, la Cgil di Epifani ha avviato il ripiegamento. Mentre è stato riaperto il cassetto dei compromessi e della concertazione. Già a metà del 2003, esattamente il 19 giugno, la Cgil si accodava a Cisl e Uil e firmava con la Confindustria di D'Amato "Il patto per la competitività" consistente in una piattaforma comune tra padroni e sindacati da presentare al governo perché gli interventi indicati fossero inseriti nella legge finanziaria. Un accordo che poneva in primo piano le esigenze delle imprese, subordinando ad esse tutto il resto e che fece dire al leader confindustriale del tempo: "siamo a una svolta nelle relazioni industriali... abbiamo una Cgil che torna a fare accordi dopo un periodo di relazioni divaricate".
Con il cambio di presidenza alla Confindustria con Luca Cordero di Montezemolo, il formarsi dell'alleanza politica dell'Unione di Prodi, comprendente tutti i partiti del vecchio "centro-sinistra" più il PRC di Bertinotti e l'Italia dei Valori di Di Pietro, con l'avvicinarsi delle elezioni politiche del 2006 la via della concertazione sindacale e del "patto sociale" ha ripreso vigore e viene riproposta per gli anni a venire specie se al governo dovesse avvicendarsi una coalizione di "centro-sinistra". Fatti concreti lo dimostrano in modo inoppugnabile: gli accordi per il rinnovo del contratto di lavoro del commercio e del pubblico impiego, il piano di ristrutturazione dell'Alitalia, le intese con la nuova dirigenza confindustriale. La quale, è bene chiarirlo, persegue gli stessi obiettivi della precedente gestione in materia di contrattazione sindacale, contenimento salariale, fisco, "mercato del lavoro", riduzione della spesa sociale, agevolazione alle imprese e altro ancora; solo che vorrebbe realizzarli con l'assenso dei sindacati.
La proposta che la Confindustria ha messo a punto il 22 settembre scorso per la revisione del patto del '93 su contrattazione e "politica dei redditi" ne è una dimostrazione lampante.
Con tale proposta Montezemolo rivendica una maggiore subordinazione dei salari alla produttività e ai profitti; una maggiore libertà dei padroni nell'uso della forza-lavoro in deroga alle norme contrattuali e di legge; consistenti sgravi fiscali e contributivi a favore delle aziende; una regolamentazione ancora più restrittiva del conflitto sindacale e del diritto di sciopero. Essa dovrà essere respinta in toto in sede di Congresso.

Il ritorno alla concertazione e al "patto sociale"
L'impostazione riformista di destra di Epifani appare chiaramente e informa tutto il documento congressuale della maggioranza suddiviso in 10 tesi col titolo pomposo "Riprogettare il Paese" proposto da Epifani con la collaborazione fattiva di Patta, approvato in via definitiva nella riunione del direttivo nazionale del 5 settembre scorso. Il filo conduttore che lega le suddette tesi sta proprio nella proposta di un nuovo "patto sociale" denominato nella circostanza "patto fiscale" e "patto di cittadinanza". L'analisi della situazione internazionale e del Paese, la denuncia dei guasti prodotti dalla "globalizzazione" e dalla politica dell'amministrazione Bush, la denuncia dei danni e delle ingiustizie provocati dalla politica economica, sociale, istituzionale del governo Berlusconi, la descrizione delle condizioni di pesante crisi e decadenza in cui si trova l'Italia (capitalistica) e le conseguenze di essa sulle condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari, che comunque giudichiamo non soddisfacenti, servono a Epifani e Patta per lanciare quello che chiamano "un progetto alto... per la ricostruzione e la rinascita dell'Italia... per riscrivere il patto di cittadinanza" da attuare di concerto con il governo, gli imprenditori, le regioni, gli enti locali attraverso un "patto fiscale" per il risanamento del debito statale, per lo sviluppo economico ma non per la redistribuzione del reddito, come si vorrebbe far credere.
La concertazione e il "patto sociale" per risanare e rimettere in pista il capitalismo italiano per reggere la spietata competitività europea e mondiale rappresentano dunque il fulcro della loro proposta congressuale. A cui si somma la riproposizione della "politica dei redditi" introdotta con l'accordo triangolare governo, confindustria, sindacati del luglio '93 che ha favorito, ormai è riconosciuto da tutti, una perdita secca del potere d'acquisto reale dei salari e delle pensioni a favore dei profitti e delle rendite, e una pesante redistribuzione del reddito nazionale dal lavoro dipendente ai possessori dei capitali e dei patrimoni. Un accordo perciò che andrebbe abrogato completamente e che invece, si legge nelle tesi, si può anche ricontrattare, come chiede la parte padronale, ma non stravolgere. è significativo che nelle tesi non si trovi nessun accenno critico ai provvedimenti presi a suo tempo dai governi del "centro-sinistra" Prodi, D'Alema, Amato, spesso con la complicità e la copertura dell'imbroglione trotzkista e anarchico Bertinotti, di stampo imperialista e neoliberista, come: la partecipazione alla guerra di aggressione contro la Serbia, la "riforma" del titolo V della Costituzione in materia di federalismo, il "pacchetto Treu" sul "mercato del lavoro", la legge Napolitano-Turco sull'immigrazione, la "riforma" Prodi sulle pensioni, "la "riforma" Bindi sulla sanità, le privatizzazioni delle aziende a partecipazione statale, provvedimenti che poi hanno permesso al governo Berlusconi di andare ancora oltre sugli stessi campi.
Se l'indirizzo fondamentale che si vuole imprimere al XV Congresso è questo, si capisce perché nelle tesi la piattaforma rivendicativa si presenta scarna e volutamente generica, in modo che essa non ponga vincoli troppo stretti in sede di concertazione con i soggetti sopra citati. Scarna, generica e piena di ambiguità in modo da permettere di dire una cosa e di attuarne un'altra: conta poco criticare la legge 30 che ha precarizzato tutto il lavoro, se poi si firmano contratti nazionali o accordi regionali che prevedono l'inserimento di parti di essa, sia pure contrattato.

Il patto dei 12 segretari ipoteca e falsifica il congresso
Se alle tesi congressuali del Segretario generale non è stato presentato un "documento alternativo" della sinistra sindacale, come era puntualmente avvenuto in ogni congresso dal XII Congresso in poi, e se esse sono state addirittura approvate insieme al regolamento nel direttivo con un voto pressoché unanime, ciò è dovuto al patto vergognoso e antidemocratico di vertice sottoscritto in fase precongressuale il 27 giugno scorso da 12 segretari confederali capeggiati da Epifani per la componente di maggioranza riformista e da Patta per parte della ex minoranza "Lavoro società-cambiare rotta". Un patto per monopolizzare il congresso e predeterminarne linea ed elezioni dei delegati ai vari congressi e per spartirsi i futuri comitati direttivi e segreterie. Un patto che concretamente stabilisce la presentazione di un unico documento congressuale, cioè quello di Epifani; la confluenza di "Lavoro società" nella maggioranza riformista di destra di Epifani; la spartizione delle platee e dei posti nei futuri organi dirigenti, nelle stesse proporzioni pari al 20% emerse nel precedente congresso indipendentemente dalla verifica del reale consenso goduto.
Con spregiudicatezza e con un'arroganza davvero inusitati i sottoscrittori del patto si sono assegnati un potere del tutto arbitrario, finanche in violazione delle norme statutarie. C'è il rischio molto concreto, da sventare, che svolgimento e conclusione dei congressi, da quelli di base a quelli regionali e nazionali di categoria, a quello nazionale confederale, risultino pilotati e blindati, perciò falsificati. Si prospetta un netto peggioramento degli spazi democratici in Cgil rispetto ai precedenti congressi nei quali veniva garantita, a un certo livello, la rappresentanza della sinistra sindacale in dissenso con la maggioranza.
Riteniamo, pertanto, giusta e da appoggiare la lettera aperta sottoscritta da 136 delegati e dirigenti Cgil indirizzata a tutti gli iscritti e agli organi dirigenti della confederazione per protestare contro l'intesa precongressuale. La quale, "predeterminando a priori i futuri equilibri nell'organizzazione, rende di fatto ininfluente il diritto degli iscritti ad esprimere nel percorso congressuale il proprio consenso a favore di questa o quella diversa sensibilità e proposta in campo". I promotori hanno chiesto agli iscritti di esprimere una posizione di rifiuto di questa intesa sin dalle assemblee di base e al direttivo nazionale di abrogarla perché si "possano realizzare proposte sui nuovi gruppi dirigenti tenendo conto dell'effettivo andamento dei congressi".

III - LA SINISTRA SINDACALE
L'alleanza congressuale di Patta con Epifani e la confluenza di "Lavoro società" nella componente maggioritaria della Cgil è il logico sbocco di un processo di spostamento a destra che cominciò a prendere corpo nel precedente congresso, conclusosi con l'allineamento sulle posizioni non certo di sinistra di Cofferati, ed è andato avanti in tutti questi anni. Con la tesi falsa e ingannatoria, secondo cui nel suddetto congresso erano state accolte gran parte delle proposte avanzate alla sinistra sindacale, il vertice di "Lavoro società" ha condiviso e sostenuto tutte le scelte del gruppo dirigente della Cgil, anche quelle criticabili e non accettabili riguardo al rinnovo di determinati contratti di lavoro, ad intese con la controparte padronale, a proposte sui temi del welfare, come ad esempio il trasferimento delle liquidazioni dei lavoratori sui fondi pensione integrativi. E lo ha fatto occupando posti di potere ai vari livelli fino al direttivo e alla segreteria nazionale della Cgil.
Patta sostiene che nel documento unitario di Epifani è confermata la svolta attuata in Cgil dal XIV Congresso ad ora. E per questo annuncia che dopo il congresso l'area programmatica di cui è leader non si scioglierà ma modificherà la sua denominazione, cancellando la dicitura "cambiare rotta" perché essa sarebbe già avvenuta. No, non è vero che il rinnovamento sindacale, sul piano della strategia, della politica rivendicativa e soprattutto sul modello di sindacato, per cui tanti delegati e lavoratori hanno lottato e si battono ancora oggi sia per l'essenziale avvenuto o stia avvenendo. Caso mai è vero il contrario: venute meno certe esigenze tattiche, si nota nelle tesi congressuali un ritorno al passato, alle logiche concertative e cogestionarie. Un giudizio questo che non cambia anche tenendo conto della "tesi alternativa" n. 9 recante il titolo: "Per le nuove regole di democrazia e rappresentanza. Per rilanciare i valori delle confederalità, l'autonomia e l'unità". Presentata da Patta più che altro per mascherare lo schiacciamento delle sue posizioni su quelle di Epifani, per contrastare e contendere lo spazio al segretario generale della Fiom che sullo stesso argomento ha presentato una sua "tesi alternativa", per tentare di contenere le perdite di consenso nella sinistra sindacale che ormai in Cgil si è frantumata in più parti.

Divisa in varie aree
Mai come in questa consultazione congressuale la sinistra sindacale si è presentata così divisa e in ordine sparso. Nei precedenti congressi aveva trovato sempre un punto di coagulo chiamandosi di volta in volta: "Alternativa sindacale", "Essere sindacato", fino appunto a "Lavoro società-cambiare rotta". Ma l'attuale scompaginamento della sinistra sindacale della Cgil non è un fatto improvviso. I primi ad abbandonare Patta, accusato di accentramento burocratico e antidemocratico, furono Danini e Baldini che dettero vita a "una nuova aggregazione di sinistra in Cgil", chiamata "Eccoci". Si tratta di un'aggregazione per la verità debole, poco influente, fantasma, che ha prodotto poco o niente. Ambedue membri del direttivo nazionale della Cgil hanno votato a favore delle tesi congressuali e appoggiano le proposte "alternative" di Rinaldini.
A loro fece seguito nel dicembre del 2003 un gruppo di sindacalisti del Nord e un'altra "Area programmatica sinistra Cgil", chiamata "Fare sindacato". Nell'odierna fase precongressuale, come scrivono in un loro documento, hanno sostenuto sul nascere il progetto della "Rete 28 aprile", criticano il "patto dei 12 segretari confederali" per l'autoconservazione dei posti, e intendono sostenere le due "tesi alternative" proposte da Rinaldini, nonché eventuali emendamenti al documento congressuale; in particolare su Costituzione europea, privatizzazione, previdenza, uso del Tfr.
La scissione più importante da "Lavoro società" ha visto la formazione della "Rete 28 aprile". Essa prende forma per iniziativa di cinque membri del direttivo nazionale della Cgil capeggiati da Giorgio Cremaschi (PRC), in polemica con le posizioni congressuali di Patta. La sua prima riunione risale al 28 aprile 2005. Nell'assemblea nazionale del 15 luglio scorso a Roma i promotori varano, non senza ambiguità e incertezze, un documento congressuale da presentare come "alternativo" a quello di Epifani. Ma alla fine dello stesso mese, anche perché le 400 firme necessarie previste dal regolamento congressuale raccolte tra i membri dei direttivi confederali non arrivano in tempo, rinunciano alla presentazione del "documento alternativo" e decidono di appoggiare le due "tesi alternative" di Rinaldini. Questa posizione sarà ribadita nell'assemblea nazionale tenutasi a Bologna il 17 settembre. Contestualmente sarà presa la decisione di formalizzare la costituzione dell'area programmatica che assume la denominazione di "Rete 28 aprile per l'indipendenza e la democrazia sindacale"; che avverrà il giorno dopo con una lettera firmata da Cremaschi, Giorgia Calamita e Iole Vaccargiu e inviata al direttivo nazionale e alla segreteria confederale della Cgil.
Diversamente dai rappresentanti di "Eccoci" Baldini e Danini che, dopo un primo approccio ne presero le distanze, aderiscono e lavorano con la "Rete 28 aprile" il raggruppamento sopra citato "Fare sindacato" e il "Coordinamento nazionale delle Rsu" fuoriuscito da "Lavoro società". Quest'ultimo con un suo documento ha sintetizzato il comportamento politico e organizzativo che intende tenere nella battaglia congressuale.
Il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, pur facendo parte della maggioranza di Epifani, pur votando le sue tesi congressuali, pur dichiarando di non voler aderire a nessuna delle aree programmatiche della sinistra sindacale, ha assunto una posizione critica più a sinistra di "Lavoro società", concretizzatasi con la presentazione di due "tesi alternative" sui temi della contrattazione e della democrazia; offrendo così una sponda a "Rete 28 aprile". Rinaldini dice di non avere nessuna tessera di partito in tasca. In realtà sta con Folena (vicino al PRC) e Occhetto promotori del nuovo gruppo "Uniti a sinistra", oltre che con l'Unione di Prodi, tenendo un atteggiamento vertenziale e movimentista, ma sempre su un terreno riformista.
Il PRC ufficialmente, tramite Paolo Ferrero, responsabile per la segreteria del settore lavoro, ha appoggiato l'indirizzo di Epifani e Patta per il congresso unitario, sulla base di un'unica mozione congressuale, ha espresso un giudizio positivo acritico sul bilancio delle attività della Cgil e, solo in questo ambito, ha considerato positive le "tesi alternative" presentate da Rinaldini e Patta, senza peraltro fare distinzioni tra di esse. Questo cambiamento di tattica, rispetto ai precedenti congressi, è figlia della svolta politica a destra impressa nell'ultimo periodo da Bertinotti, è un frutto diretto della alleanza contratta con l'Unione di Prodi per le politiche del 2006, con la quale si candida a governare anche con propri ministri.
Ma non tutto il PRC sta con la maggioranza di Epifani e Patta. Le due correnti trotzkiste ufficiali di Rifondazione, quella di "Progetto comunista" di Marco Ferrando e quella della "sinistra critica" di Malabarba e Cannavò, appoggiano la "Rete 28 aprile". La terza e più piccola corrente trotzkista ufficiale, quella di "Falcemartello" di Claudio Bellotti, invece ha fondato un gruppo sindacale guidato da Paolo Grassi e Paolo Brini denominato "Per l'alternativa operaia in Cgil" sulla base della parola d'ordine del "sindacato di classe", il cui contenuto però è riformistico. La corrente opportunista e revisionista di "essere comunisti" di Claudio Grassi si è schierata con le tesi di Rinaldini.
Il PdCI sta quasi tutto con la maggioranza, in particolare con Patta.

La componente sindacale marxista-leninista
Constatato che la sinistra sindacale è attualmente divisa in vari raggruppamenti, che i due principali e più forti sono "Lavoro società" e la "Rete 28 aprile", che essi sono composti nella stragrande maggioranza da riformisti (di destra Patta, di centro Danini e Baldini, di sinistra Cremaschi e rappresentanti del Coord. Rsu) si deve aggiungere che nessuno di costoro ha oggi la capacità di riunirla ed egemonizzarla.
Tutti questi raggruppamenti hanno, in linea di massima, un partito di riferimento che li appoggia e sostiene. Che sono essenzialmente i DS, il PdCI, il PRC e le relative correnti.
Nella sinistra sindacale ci sono a pieno titolo anche i marxisti-leninisti impegnati in Cgil, cioè i militanti e i simpatizzanti del PMLI, operai, lavoratori e pensionati che operano, di fatto, nella corrente sindacale di classe, sia pure in nuce e ancora da costituire, costruire, sviluppare e strutturare organizzativamente in tutte le categorie e ai vari livelli territoriali per portare avanti la proposta sindacale del Partito, per difendere gli interessi contrattuali, economici e sociali dei lavoratori occupati, precari, dei pensionati e dei disoccupati, senza impacci riformistici e senza vincoli e compatibilità dettati dal sistema capitalistico e dai suoi governi; senza mai trascurare la politica delle alleanze del fronte unito per condurre battaglie specifiche, per conquistare obiettivi particolari.
Nel precedente congresso della Cgil le nostre compagne e i nostri compagni, sulla base delle indicazioni date dall'Ufficio politico del PMLI con in testa il Segretario generale Scuderi, si allearono con "Lavoro società-cambiare rotta" e sostennero il suo "documento congressuale alternativo" per battere la destra cofferatiana. Inoltre, coerentemente votarono contro il documento Cofferati con lo scopo di "dare una radicale svolta a sinistra alla strategia e alla linea sindacale della Cgil". (3) Nonostante che Patta e soci poi decisero opportunisticamente di ritirare la mozione della sinistra sindacale e di sostenere quella dell'allora segretario generale, cosa che fu prontamente da noi denunciata pubblicamente, tatticamente fu deciso di continuare a lavorare con "Lavoro società", criticandola costantemente nel corso della sua evoluzione a destra, comprese le sue odierne scelte congressuali, e prendendone progressivamente le distanze.

IV - LA TATTICA DEL PMLI PER IL XV CONGRESSO DELLA CGIL
Dopo gli ultimi sviluppi, consistenti nella scelta di Patta di allearsi con Epifani e di far confluire la sua corrente nella componente di maggioranza di area diessina, facciamo fatica a considerare "Lavoro società" un'espressione della sinistra sindacale della Cgil. Per cui una nostra alleanza con essa non è più proponibile. Con chi fare dunque fronte unito in questa circostanza, con chi allearsi nella battaglia congressuale per contrastare l'asse Epifani-Patta?
Se ne avessimo avuto la forza avremmo noi, attraverso la CSC, elaborato un documento congressuale veramente alternativo e raccolto le firme per la sua presentazione. Solo in questo modo sarebbe stato possibile condurre un dibattito congressuale più chiaro e più efficace, rendere più evidente il dissenso e ricomporre le file della sinistra sindacale, dopo il salto della quaglia di "Lavoro società"; solo con un documento congressuale contrapposto sarebbe stato possibile contrastare e sconfiggere il patto di vertice tra Epifani e Patta e svolgere un congresso non blindato e non interamente precostituito, sarebbe stato possibile ottenere negli organi dirigenti una rappresentanza di queste posizioni. Per questo avevamo salutato con favore la scelta della "Rete 28 aprile" di presentare un suo "documento alternativo" per quanto i contenuti proposti non ci convincessero e non ci soddisfacessero pienamente, e per questo abbiamo condannato come un grave passo indietro la successiva rinuncia a questo progetto per abbracciare le tesi di Rinaldini che riducono la battaglia a un impegno solo emendativo su alcuni punti, quantunque importanti, della discussione per la definizione della linea futura della Cgil.

Il nostro appoggio tattico alla "Rete 28 aprile" e alle tesi di Rinaldini
Noi non riconosciamo Cremaschi come leader sindacale del PMLI. Non ci rappresenta né lui né la linea che porta avanti. Tuttavia, considerando che dentro e attorno alla "Rete 28 aprile" stanno confluendo le varie anime della sinistra sindacale e che condurre da soli la battaglia congressuale significa non avere alcuna possibilità di incidere sulla linea e non andare oltre le assemblee di base, risulta più utile e conveniente dare ad essa il nostro appoggio e fare con essa fronte unito. Per avere migliori condizioni e più tribune per portare il nostro discorso sindacale, per avere più possibilità di accedere come delegati ai congressi superiori di categoria e confederali, per essere eletti, dove ne abbiamo la forza e il consenso nei comitati direttivi ai vari livelli.
Dopo il congresso, in sede di bilancio e al momento che l'Area programmatica "Rete 28 Aprile per l'indipendenza e la democrazia sindacale" sarà costituita ai sensi dello Statuto, valuteremo l'opportunità di una adesione piena sul piano organizzativo.
Questa scelta di fronte unito ne comporta allo stesso tempo un'altra anch'essa tattica inevitabile di appoggio alle "tesi alternative" di Rinaldini che altro non sono che la riscrittura modificata delle tesi n. 8 e n. 9 di Epifani. La prima dedicata alle politiche contrattuali; la seconda alla partecipazione alla democrazia sindacale. In queste "tesi alternative", che noi avremmo scritto in modo diverso, ci sono concetti condivisibili e concetti non condivisibili. Apprezziamo il taglio antiliberista, l'opposizione al lavoro precario, il sostegno all'unicità del sistema contrattuale per tutti i lavoratori, con il contratto nazionale in una posizione primaria e la contrattazione di secondo livello con un ruolo complementare; apprezziamo l'opposizione alla deregolamentazione e alla liberalizzazione dell'orario di lavoro, la rivendicazione di una politica salariale e fiscale che "redistribuisca quote di ricchezza verso il lavoro e le pensioni".
è certamente da sostenere la richiesta di "abrogare e sostituire l'attuale legislazione sul lavoro", a partire dalla legge 30 che ha precarizzato tutti i contratti di assunzione e di conseguenza indebolito le tutele contrattuali e sindacali collettive. Sono interessanti le critiche al federalismo, anche quello introdotto dai governi di "centro-sinistra" e alla progressiva riduzione degli spazi democratici di partecipazione nei luoghi di lavoro, giusto ribadire il diritto dei lavoratori di decidere piattaforme e accordi sindacali. Rifiutiamo però l'impostazione di fondo riformista che avvolge ambedue le tesi, ci appare contraddittorio il riferimento positivo alla elezione diretta dei sindaci e dei presidenti provinciali e regionali e la mancata denuncia del presidenzialismo imperante di stampo neofascista come forma di governo, è insufficiente chiedere qualche deroga alla legge antisciopero anziché la sua abrogazione. Come limitativo ci sembra parlare solo di superamento delle regole sull'inflazione programmata senza specificare un netto rifiuto della "politica dei redditi" disegnata dall'accordo del 23 luglio. Inoltre, perché non rilanciare le 35 ore settimanali a parità di salario? Perché non rivendicare la reintroduzione della scala mobile sui salari e le pensioni?

Cosa fare
Non c'è tempo da perdere. I militanti e i simpatizzanti del PMLI impegnati nella Cgil devono prepararsi al meglio per affrontare l'imminente consultazione congressuale, sulla base del nostro stile di lavoro, della linea di massa, degli 8 insegnamenti sindacali del PMLI e delle cinque raccomandazioni di Scuderi per fare bene il lavoro sindacale. In pratica occorre: a) studiare la posizione congressuale messa a punto dal Partito; b) conoscere bene i documenti congressuali (tesi generali di Epifani e "tesi alternative" di Patta e Rinaldini); c) intervenire debitamente preparati nel dibattito che si svolge nei congressi; d) prendere contatti e accordi con i coordinatori della "Rete 28 aprile"; e) dichiarare subito apertamente l'adesione alle tesi di Rinaldini; f) promuovere o appoggiare un ordine del giorno contro il patto precongressuale dei 12 segretari confederali; g) promuovere o appoggiare ordini del giorno su temi di attualità particolarmente importanti puntando ad ottenere il 25% dei voti per garantire il loro passaggio ai congressi successivi. Gli ordini del giorno potrebbero riguardare la richiesta dello sciopero generale contro la legge finanziaria, il rinnovo dei contratti di lavoro, il rifiuto di trasferire il trattamento di fine rapporto nei fondi pensione integrativi, la solidarietà agli operai della Fiat di Melfi in lotta, l'opposizione alla direttiva europea Bolkestein; h) partecipare preferibilmente alla commissione elettorale per tutelare i diritti della sinistra sindacale e quindi anche i nostri delegati; i) fare il possibile per essere eletti delegati, con la lista della "Rete 28 aprile" ai congressi di livello superiore, sapendo che essa deve corrispondere almeno al 3% della platea congressuale; l) allo stesso modo occore battersi per essere eletti nei comitati direttivi.
Applichiamo risolutamente, con le corrette e adeguate tattiche e praticando una politica di fronte unito, la linea sindacale del PMLI in occasione del XV Congresso nazionale della Cgil.
Coi maestri e il PMLI vinceremo!

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 26 settembre 2005
 
 
NOTE
1) Documento dell'UP del PMLI del 6 febbraio 1993
2) Saluto di Giovanni Scuderi alla riunione allargata della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI del 31 gennaio 2004
3) Articolo pubblicato su "Il Bolscevico" n. 13/2001 col titolo: "XIV Congresso nazionale della Cgil. Il nostro contributo critico di proposta al documento della `sinistra sindacale'. Nonostante le nostre divergenze, siamo disponibili al fronte unito contro la destra cofferatiana"