Rapporto Onu sullo stato della popolazione mondiale
Una donna su tre nel mondo subisce violenza
Picchiate, violentate, uccise, spesso tra le mura di casa
Discriminate fin da piccole trovano difficoltà per l'accesso all'istruzione e alla vita pubblica

Il rapporto annuale sullo stato della popolazione mondiale dell'Unfpa, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, presentato lo scorso 12 ottobre era centrato sulla situazione delle donne. Il titolo del rapporto è "Le promesse dell'uguaglianza tra i sessi" che si può leggere come la necessità di assicurare l'uguaglianza tra i sessi in particolare nei paesi più poveri, ma non solo, per dare un contributo alla lotta alla povertà e al sottosviluppo. Infatti i dati censiti dall'organismo dell'Onu sono una chiara denuncia della condizione di discriminazione cui sono sottoposte le donne fin da piccole, ostacolate nell'accesso all'istruzione e alla vita pubblica. E in particolare vittime di violenze che si consumano spesso tra le mura di casa.
Il primo dato raccapricciante è quello che indica come nel mondo una donna su tre tra i 15 e i 49 anni, che sono 1,7 miliardi, è stata picchiata, violentata o uccisa in genere da un componente della famiglia o un conoscente. Alla inaccettabile statistica delle vittime della violenza danno il loro contributo anche diversi paesi sviluppati. Fra questi, il rapporto indica Stati Uniti, Israele, Canada e Australia dove fra il 40 e il 70% degli omicidi femminili sono compiuti dai partner. L'Unfpa denuncia questa "epidemia, mondiale e silenziosa" che continua incontrastata e i cui autori spesso restano impuniti.
Alla violenza si aggiunge la discriminazione che "sottrae allo sviluppo di intere nazioni il pieno contributo delle capacità individuali di oltre la metà della popolazione", afferma l'Unfpa. La direttrice dell'organismo, Thoraya Ahmed Obaid, nel presentare il rapporto ha affermato che "se non investiamo nell'istruzione e nella salute delle donne (...) non daremo loro la possibilità di contribuire allo sviluppo economico". La tesi di fondo è che il miglioramento della salute e delle condizioni sociali delle donne in età riproduttiva sia un fattore determinante per lo sviluppo economico e sociale. Certo, ma è un contributo che non è assicurato di per sé da maggior istruzione e migliori condizioni sanitarie quanto da una effettiva e totale cancellazione delle disuguaglianze tra i sessi che invece sono accentuate dalla società capitalista. Le cui responsabilità non sono tirate in ballo dal rapporto dell'Unfpa che in questo evidenzia i suoi limiti.
La denuncia è comunque precisa laddove sottolinea che nel mondo le donne analfabete sono 500 milioni, gli uomini 280 milioni. Un divario che in particolare nei paesi dell'Africa sub-sahariana, dove più della metà delle bambine non finisce la scuola primaria, e nel Sud-est asiatico pesa sulla crescita economica; il rapporto stima che le nazioni che non garantiscono uguale accesso all'istruzione di bambine e bambini hanno una riduzione della crescita economica tra lo 0,1 e lo 0,3%. Il dato si basa sulla valutazione che una bambina istruita dovrebbe svolgere lavori più qualificati e meglio retribuiti, quindi produrre più ricchezza; fare figli più tardi e garantire loro una vita meno misera. Il rapporto stima che ogni anno di istruzione ricevuta dalla madre corrisponda per i figli a un abbassamento del tasso di mortalità fra il 5 e il 10% nei primi cinque anni di vita.
Dei 130 milioni di bambini che nascono ogni anno, 4 milioni muoiono nel primo mese di vita; il 99% delle morti avviene nei paesi a reddito basso o medio. Sempre ogni anno sono circa 14 milioni le adolescenti fra i 15 e i 19 anni che diventano madri mentre nei soli paesi in via di sviluppo si contano 76 milioni di gravidanze indesiderate e 19 milioni di aborti. Solo una donna su due ha accesso alla contraccezione, in Africa è una su cinque. Nel 2000, ha stimato il rapporto, 529 mila donne sono morte per complicazioni legate alla gravidanza e al parto; il 99% delle morti avviene nei paesi in via di sviluppo. Per ogni donna che muore ce ne sono almeno altre 20 che sono rimaste ferite o invalide per una cifra totale tra gli 8 e i 20 milioni ogni anno.
Il rapporto stima che se le giovani partorissero in età più adulta, sopra i 18 anni, e si riducesse il numero medio dei figli nei paesi dove è fra i 6 e i 7, il tasso di povertà si ridurrebbe dell'1% all'anno. Un obiettivo, anche questo, affidato solo alla diffusione dell'istruzione delle donne dato che il rapporto non entra in argomenti come la pianificazione delle nascite e la diffusione dei sistemi contraccettivi, in temi considerati tabù dal Vaticano all'amministrazione Bush.
Altro capitolo affrontato dal rapporto quello della partecipazione delle donne alla vita politica: sono donne solo il 16% dei parlamentari di tutto il mondo. Il rapporto saluta il dato del Ruanda dove le donne occupano il 49% dei seggi all'Assemblea nazionale ma registra che in totale la presenza delle donne è cresciuta di solo il 4% rispetto al 1990. Frutto di una discriminazione di fatto anche dove le leggi discriminatorie sono state abolite. E a fronte di un numero elevato di paesi dove tali leggi non sono state abolite entro il 2005 come venne richiesto dalla Conferenza di Pechino del 1995. Uno dei tanti impegni disattesi dai governi borghesi, come quello di ridurre sostanzialmente la povertà entro il 2015 per il quale basterebbero 200 mila dollari nei prossimi 10 anni. "Non è facile eliminare le cause della discriminazione e delle violenze ma se donne e bambine avranno accesso all'istruzione e alla sanità le opportunità economiche e di riscatto seguiranno", ha sostenuto la Obaid. Sarà molto difficile invece stante il capitalismo e l'imperialismo che le accentuano.

18 gennaio 2006