Tramite un inserto de "l'Unità"
I DS riabilitano la controrivoluzione ungherese del '56
Bertinotti e Giordano, segretario del PRC, sulla stessa linea
Fassino vanta il suo contributo alla riabilitazione di Nagy
Al coro assordante della stampa di regime per l'esaltazione della controrivoluzione ungherese del 1956 non poteva certo mancare il quotidiano portavoce del partito dei rinnegati del comunismo, l'Unità. Nell'edizione del 23 ottobre, infatti, ossia nel giorno preciso della "insurrezione" di Budapest, il quotidiano portavoce dei DS ha pubblicato un inserto di ben quattro pagine dedicato a quella che definisce ormai senza più remore la "rivoluzione" ungherese ("1956: Rivoluzione e restaurazione" è infatti il titolo scelto per l'inserto), in cui viene completata la revisione di quella pagina di storia, con la totale riabilitazione del tentativo controrivoluzionario e dei suoi protagonisti e la condanna dei giudizi e delle posizioni espresse allora dal vertice del PCI revisionista guidato da Togliatti.
Già nell'editoriale di presentazione scritto da Bruno Gravagnuolo, intitolato non a caso "La storia di un grande appuntamento mancato", all'esaltazione senza esitazioni dell'"eroico" Imre Nagy, e di quei dirigenti del PCI revisionista che, come Di Vittorio, si espressero "con coraggio" contro l'intervento sovietico, si accompagna il rimpianto per l'allineamento di Togliatti ("che pure - si sottolinea - con l'VIII congresso rilancia le vie nazionali e il ruolo del PCI in Italia, e che nel 1964 accuserà nel Memoriale l'Urss di non essere uscita dall'impalcatura staliniana"), al resto del movimento comunista internazionale che aveva sollecitato quell'intervento. "Poteva andare diversamente nel PCI, magari con un cauto dissenso?", si chiede l'editorialista de l'Unità: "Doveva. Ve ne erano i presupposti, anche culturali, in quel partito prestigioso. Sicché, invece di un altro passo sulla via di un socialismo diverso vinse il 'legame di ferro' e con esso la crisi con il PSI. Fu un grande appuntamento fallito che spiega tanti ritardi successivi (almeno sino agli onori resi da Fassino a Nagy nel 1988). Uno in primo luogo, e che ancora paghiamo in Italia: la mancanza di una vera forza socialista di governo, europea".

Rimpianti da rinnegati
Siamo quindi nella scia dell'abiura di Napolitano: aveva ragione Nenni, e il PCI perse allora una grande occasione per rompere il legame con l'Urss, disfarsi già allora del nome di "comunista" e passare nel campo della socialdemocrazia e dell'imperialismo occidentale, come ha fatto poi con trent'anni di "ritardo". È la tesi ripetuta in un'altra parte dell'inserto dallo storico socialista della "Fondazione Nenni", Giuseppe Tamburrano, il quale cita in proposito un giudizio del rinnegato Occhetto, colui a cui toccò fare da becchino al PCI revisionista, a riprova di come il gruppo dirigente di quel partito sarebbe stato anche pronto a seguire la strada di Nenni, se le condizioni internazionali e la paura di una rivolta della base operaia non l'avessero impedito. Scrive infatti Occhetto, nel libro su "L'indimenticabile 1956" edito dalla "Fondazione Nenni", su cui compare anche la lettera di abiura di Napolitano: "Incominciammo (in quei giorni dell'ottobre 1956, ndr) a prendere sul serio Nenni, quel Nenni che rispetto ai mostri sacri come Gramsci e Togliatti ci era sempre sembrato solo un vecchio socialista umanitario. Per la prima volta... molti di noi... incominciammo a sentire tutto il fascino di un pensiero libertario".
Della stessa solfa nostalgica è pieno anche un altro articolo, a firma di Marco Galeazzi, in cui si propone un'altra variante dell'ipotesi di Gravagnuolo e Tamburrano, meno "traumatica" rispetto alla rottura frontale con Mosca e al seguire la strada di Nenni: quella che avrebbe potuto scegliere Togliatti seguendo Tito e abbracciando l'allora da poco costituito movimento dei "non allineati". Insomma, un'altra esercitazione di fantastoria ("come sarebbero andate le cose se"...) che serve solo da pretesto per revisionare la storia reale e giustificare il rinnegamento totale delle posizioni del PCI e del movimento operaio internazionale di allora, e l'accettazione piena e incondizionata di quelle della borghesia, dei fascisti e degli imperialisti di allora e di oggi.

I fattori internazionali che giocarono per l'intervento
Completano il quadro un articolo di Federigo Argentieri, che fa una ricostruzione tutta in chiave anticomunista e antistalinista della "insurrezione" ungherese, e un articolo di Adriano Guerra sul travaglio interno al PCI di fronte ai fatti d'Ungheria. Nel primo si sposano tranquillamente tutte le tesi classiche della destra imperialista e fascista della "rivolta popolare" contro i "crimini" del "regime stalinista" imposto dai sovietici in Ungheria, ecc., tacendo o minimizzando naturalmente sugli eccidi di comunisti scatenati dagli "insorti" e sulle forze reazionarie e imperialiste che stavano loro dietro. È interessante notare che chi scrive riconosce tuttavia che da parte della cricca revisionista kruscioviana, che già aveva messo in moto, otto mesi prima col XX congresso del PCUS e la destalinizzazione, il processo di liquidazione del socialismo, non c'era una decisa e univoca volontà di intervenire per stroncare la controrivoluzione ungherese.
Fino al 30 ottobre il Presidium del PCUS aveva sostanzialmente accettato la situazione creatasi di fatto a Budapest, e fu il 31 ottobre, quando gli anglo-francesi iniziarono a bombardare l'Egitto, che prese la decisione dell'intervento: "I motivi della giravolta - riconosce infatti Argentieri - furono principalmente tre: le pressioni di tutti i 'partiti fratelli' eccetto quello polacco, l'aggressione anglo-francese a Suez e un ripensamento delle conseguenze che il crollo della dittatura comunista in un paese del blocco poteva avere sugli altri satelliti e sulla stessa Urss". Se insomma non fosse stato per la spallata imperialista, che rischiava di mutare drasticamente gli equilibri internazionali, la cricca revisionista kruscioviana avrebbe anche potuto soprassedere alle sollecitazioni del movimento comunista internazionale, con alla testa Mao, per un intervento a difesa del campo socialista, e arrivare ad un compromesso con Nagy e gli altri controrivoluzionari ungheresi!
Nell'articolo di Adriano Guerra si parla dello scontro interno al PCI tra le posizioni favorevole o contraria alla controrivoluzione ungherese e di conseguenza contraria o meno all'intervento dell'Armata rossa: la prima impersonata dall'allora segretario della Cgil, Giuseppe di Vittorio, e la seconda da Togliatti. Prevalse la seconda, sempre a causa dei fattori internazionali, e perciò Guerra si duole del fatto che "per quanto riguarda il PCI bisognerà aspettare a lungo perché la lenta autocritica sull'Ungheria insieme al contorto cammino verso lo 'Strappo' (quello di Berlinguer con Mosca), compissero i primi passi. E bisognerà aspettare il giugno 1988 - quando già il crollo incombeva - perché Piero Fassino presenziando a Parigi a nome del PCI l'inaugurazione di una tomba simbolica a Imre Nagy, ponesse fine alla vicenda nata col processo a Di Vittorio il 30 ottobre 1956".
Col che, per interposta persona, il rinnegato Fassino si attribuisce il merito di aver riabilitato per primo il traditore Nagy. Sulla sua stessa linea, in occasione della commemorazione dei fatti di Ungheria, il 24 ottobre alla Camera, si sono immediatamente inseriti l'imbroglione trotzkista Bertinotti e il falso comunista Franco Giordano, suo erede alla testa di Rifondazione trotzkista. Il primo, nel celebrare con le parole di Nagy quella "rivoluzione nazionale e democratica", ha riconosciuto con retorica solennità che "i vinti di ieri sono i vincitori di oggi e sono entrati nella storia d'Europa", sollevando l'entusiasmo dei fascisti di AN che si sono spellati le mani ad applaudirlo: "Le parole di Bertinotti sono oggi esattamente le mie", ha dichiarato La Russa letteralmente in estasi.
Da parte sua Giordano, nel suo intervento in aula, non è stato da meno di Bertinotti nell'esaltare il liberalismo borghese e nell'attaccare il socialismo: "La conquista dell'uguaglianza si è infranta ed è rovinosamente crollata in una drammatica sconfitta, nel suo rovescio", ha riconosciuto infatti il cacasotto trotzkista tra i ghigni di soddisfazione degli eredi di Mussolini. "Oggi sappiamo - ha proseguito imperterrito il leader del PRC inchinandosi al mito della 'libertà' borghese - che quel termine 'uguaglianza', pur messo a dura prova dalle profonde trasformazioni sociali, mantiene intatta la sua attualità ma non può essere mai disgiunto dalla parola 'libertà'. Uguaglianza e libertà sono per noi una coppia indissolubile".

2 novembre 2006