Sui legami DS-Unipol
Fassino intrappolato dalla destra
Ma i fatti denunciati sono veri o no? Lo dica chiaramente
Il segretario DS a Consorte: "siamo padroni di una banca?"
Quando uscì la notizia, l'estate scorsa, che tra i colloqui telefonici intercettati nel quadro dell'inchiesta sulle scalate bancarie ce n'erano diversi intercorsi tra il presidente di Unipol Consorte e dirigenti dei DS, in particolare alcuni con Fassino, nei quali quest'ultimo si "informava" e "dava consigli" al banchiere in merito alla scalata alla Bnl, la linea tenuta dal segretario della Quercia fu di quasi altezzosa sufficienza, rivendicando la piena legittimità della Lega delle cooperative ad acquisire una grande banca e del proprio partito a "fare il tifo" per il suo successo.
Dopo l'iscrizione di Consorte nel libro degli indagati per associazione per delinquere e vari reati finanziari, e soprattutto dopo la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni da parte de Il Giornale del neoduce Berlusconi, quella linea è apparsa però in tutta la sua fragilità ed è diventata ogni giorno più insostenibile. Dalle frasi scambiate fra i due a luglio il coinvolgimento del partito della Quercia e del suo segretario nella vicenda Unipol-Bnl appare ben più corposo e importante di una innocente "informativa" e finanche di un semplice "tifo".
Fassino non solo tempesta Consorte di domande per sapere tutti i particolari della scalata (in un'altra telefonata con il tesoriere dei DS, Sposetti, Consorte dice che deve telefonare a Fassino, se no "si incazza" se deve chiamare sempre lui), ma parla e si comporta proprio come fosse il vero e proprio regista dell'operazione, o quantomeno il suo ispiratore politico: "E allora, siamo padroni di una banca?", domanda infatti il segretario della Quercia in un colloquio del 18 luglio, quando Unipol aveva appena annunciato di prepararsi a lanciare l'Opa su Bnl e la sua conquista sembrava questione di ore. E Consorte: "È chiusa, sì, è fatta". "Cioè - si corregge subito Fassino accorgendosi forse di essersi esposto troppo al telefono - siete voi i padroni della banca, io non c'entro niente". "Sì, sì è fatta, è stata una vicenda, credimi, davvero durissima...". E ancora Fassino: "Già, ormai è proprio fatta".
Ma non basta. Più avanti il leader dei DS si preoccupa di possibili "ricorsi in sede giudiziaria", raccomanda nervi saldi allo stressato Consorte, che vorrebbe denunciare uno per uno chi gli ha mosso accuse infondate ("prima di denunciare aspetta: Prima portiamo tutto a casa"), e suggerisce strategie di comunicazione per rassicurare gli azionisti, le istituzioni di controllo e la magistratura: "Ora dovete comportarvi bene. Preoccupatevi bene di come comunicare in positivo il piano industriale... perché il problema adesso è dimostrare che noi abbiamo... che voi avete un piano industriale". Non sembra di sentire suonare qualcosa di molto simile al famigerato "adesso non dobbiamo sbagliare una mossa" che Fazio raccomandava a Fiorani?
La pubblicazione di questi imbarazzanti colloqui con uno dei principali protagonisti dello scandalo Bancopoli ha gettato nel panico il vertice diessino. Di colpo il partito dei rinnegati perdeva l'aureola di partito "diverso" ereditata dal PCI revisionista e appariva come veramente è: un partito borghese come tutti gli altri partiti del regime neofascista, dedito a gestire i propri affari e quelli delle sue centrali finanziare e industriali di riferimento. La stessa parabola già percorsa prima dai riformisti di Nenni, Saragat e Craxi, che non a caso sono stati di recente reintegrati da Fassino nel Pantheon dei padri storici del suo partito.
La Casa del fascio, che sotto la regia del neoduce Berlusconi ha organizzato la trappola della pubblicazione dei brogliacci su Il Giornale, gongola perché l'operazione gli è riuscita in pieno, avendo spostato tutta l'attenzione dai suoi esponenti inquisiti al vertice dei DS finito al posto loro sulla graticola mediatica. Per di più agli attacchi dall'esterno della destra neofascista si sono aggiunti gli attacchi e le critiche dall'interno dell'Unione di "centro-sinistra". In particolare di Rutelli, che approfitta della situazione per ridimensionare l'egemonia dei DS in vista del Partito democratico, mentre Prodi è stato larvatamente accusato di starsene in disparte e non solidarizzare a sufficienza col vertice della Quercia. Quest'ultimo è stato criticato anche dal Correntone, che ha chiesto un "chiarimento" interno da svolgersi in occasione della riunione della Direzione della Quercia dell'11 gennaio.
I due principali "imputati", Fassino e D'Alema, hanno dapprima reagito sdegnosi respingendo qualsiasi critica e attribuendo tutto ad un "complotto" ordito contro il loro partito. Che dietro la pubblicazione delle intercettazioni ci sia la Casa del fascio non ci piove (si dice anzi che a passarli al quotidiano di famiglia di Berlusconi sia lo stesso ministro dell'economia Tremonti, che controlla la guardia di finanza che le effettuò per conto della magistratura); ma ciò non sarebbe potuto accadere se i dirigenti della Quercia non avessero avuto nulla a che fare con Bancopoli e non tenessero anche loro qualche scheletro nell'armadio.
In ogni caso Fassino si è ben guardato, finora, di chiarire i fatti emersi dalle telefonate con Consorte. Non lo ha fatto neanche nell'intervista concordata con il compiacente organo della "sinistra" borghese, La Repubblica dell'8 gennaio, in cui ha cercato di offrire un'immagine meno arroccata e chiusa alle critiche (D'Alema ha fatto un'operazione simile da Vespa), per non esasperare i rapporti con la "sinistra" interna (in vista della Direzione dell'11) e con Rutelli e Prodi, che a sua volta ha rotto l'"assordante" silenzio che aveva mantenuto sulla vicenda con un analogo intervento su La Stampa. Infatti, in questa intervista di soccorso titolata non a caso "Sì, ho fatto il tifo ma restiamo un partito sano", Fassino non ha risposto alla domanda di Massimo Giannini che, prendendo atto della sua riaffermazione che la sua telefonata a Consorte era volta esclusivamente a "Informarsi", gli ha chiesto a bruciapelo: "D'accordo, ma allora perché dire 'abbiamo comprato una banca'"? Fassino ha eluso la domanda parlando di finanza, di diritto delle Coop a entrarvi, ecc. e il compiacente intervistatore ha finto di non accorgersene.

11 gennaio 2006