Il 4 settembre di 100 anni fa in Sardegna
Dall'eccidio di Buggerru scaturì il primo sciopero generale della storia d'Italia
Ispiriamoci ai gloriosi minatori sardi per le lotte sindacali d'autunno contro i padroni e il governo del neoduce Berlusconi

In occasione del 100° anniversario dell'eccidio di Buggerru (Cagliari), che vide il sacrificio di 4 minatori trucidati dalla truppa fascista di Giolitti e di decine di donne e bambini feriti negli scontri, il PMLI vuole rendere solenne omaggio al coraggio e alla determinazione dei minatori sardi che il 4 settembre del 1904 scrissero col sangue una delle pagine più gloriose della storia della lotta di classe in Italia e segnarono una tappa fondamentale per lo sviluppo di tutto il movimento operaio e sindacale.
Per noi non si tratta di un rituale puramente commemorativo, ma della rievocazione di un esempio di lotta a cui ispirarsi per affrontare le prossime battaglie politiche e sindacali e per decuplicare il potenziale di lotta contro i padroni e il governo del neoduce Berlusconi.
La lotta dei minatori sardi di inizio secolo e tutte le battaglie successive fino ai nostri giorni dimostrano che la natura del conflitto di classe fra borghesia e proletariato, fra capitalismo e socialismo è immutata. 100 anni di lotte hanno dimostrato che gli interessi del proletariato e quelli della borghesia al potere sono inconciliabili.

IL QUADRO POLITICO ISTITUZIONALE E L'AVANZATA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Tra la fine dell'800 e i primi anni del Novecento l'Europa è scossa da un'ondata di scioperi e proteste popolari volte a ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro e aumenti salariali.
Sullo sfondo, le crescenti contraddizioni fra le maggiori potenze imperialiste ormai divise in due blocchi contrapposti preannunciano il grande macello della prima guerra mondiale imperialista.
In Italia, di pari passo con lo sviluppo economico e industriale, in ritardo rispetto al resto del mondo, masse sempre più larghe di operai e contadini attratti dalle idee rivoluzionarie di Marx e Engels prendono progressivamente coscienza della propria condizione di classe; irrompono sulla scena politica animati dalla volontà di lotta contro lo sfruttamento bestiale del capitalismo; si organizzano e danno vita alle prime organizzazioni sindacali.
La risposta della borghesia reazionaria e dei governi Crispi, Di Rudinì, Pelloux, Saracco, Zanardelli e Giolitti contro i "pericolosi portatori di disordine e alterità" è brutale quanto spietata. Furono approvate una serie di leggi speciali che limitavano il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di associazione. Gli eccidi di operai e contadini in lotta contro la guerra e la politica di espansione coloniale in Africa e le dure condizioni di vita e di lavoro a cui erano sottoposte le masse popolari erano all'ordine del giorno. Scontri fra "forze dell'ordine" e manifestanti si verificano in varie zone e località della Penisola.
Emblematiche le feroci repressioni contro il movimento dei Fasci siciliani ad opera di Crispi che nel 1893 ordinò l'intervento dell'esercito e proclamò lo stato d'assedio, soffocando nel sangue i tumulti dei contadini che erano scoppiati nell'isola. E quella del 7 maggio 1898 a Milano ad opera del governo Di Rudinì che per sedare i gravi tumulti scoppiati in conseguenza dell'aumento del prezzo del pane proclamò lo stato d'assedio e ordinò al generale Bava Beccaris, in qualità di regio commissario straordinario, di sparare sulla folla provocando centinaia di morti e feriti.
La repressione indiscriminata delle masse in lotta invece di fiaccare la protesta finisce per incentivarla e all'indomani dell'uccisione del re Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci, la borghesia decide di cambiare strategia affidando al nuovo monarca Vittorio Emanuele III e ai governi Saracco prima e Zanardelli poi, il compito di attuare una svolta liberale tale da stemperare il clima esacerbato di scontro sociale e tale da venire incontro alle istanze progressive sempre più diffuse nella opinione pubblica.

L'ASCESA AL POTERE DI GIOLITTI E DEI GOVERNI LIBERALI
Nel 1901 Giovanni Giolitti diventa ministro degli Interni con il chiaro e pragmatico programma di imbrigliare lo sviluppo del movimento socialista, operaio e sindacale, nelle pastoie del parlamentarismo borghese e nel gioco politico-istituzionale col chiaro obiettivo di depotenziarne eventuali sbocchi rivoluzionari.
Nonostante le aperture dei governi liberali la situazione nel Mezzogiorno rimaneva esplosiva.
Nel novembre 1903 Giolitti diventa capo del governo e continua la sua politica "liberalprogressista" giungendo addirittura a proporre a Filippo Turati, capo dei riformisti del PSI, un posto nella compagine ministeriale.
In questo clima di tensioni, cambiamenti, insospettate aperture, inedite manovre politiche, mentre il governo cerca, e spesso ottiene, la collaborazione dell'ala riformista dei socialisti, la base e il mondo dei lavoratori viene attratto dalle prospettive di trasformazione rivoluzionaria.
Durante l'VIII congresso del PSI, tenutosi tra l'8 e l'11 aprile 1904, prevale, seppur di poco, la corrente di "sinistra", e nelle Camere del lavoro del Nord Italia, la tendenza egemone risulta quella di matrice anarcosindacalista e opportunista, sul modello francese: questa corrente guidata da Arturo Labriola, vicina alle teorie di Sorel e Lagardelle, era contrapposta agli opportunisti di destra: i riformisti di Turati e Bissolati, fedeli alla monarchia e favorevoli al governo.
Enrico Ferri cercò di ottenere un compromesso tra queste due ali ma quanto questa linea fosse opportunista e controrivoluzionaria lo si sarebbe visto proprio in occasione dei fatti di settembre a Buggerru.

LA SITUAZIONE POLITICA IN SARDEGNA E LE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO DEI MINATORI
In Sardegna nei mesi precedenti a quel luttuoso 4 settembre di 100 anni fa, vi erano stati scioperi di scalpellini a Villasimius e alla Maddalena, di conciatori a Sassari e Bosa, di minatori a Lula e a Montevecchio, a Monteponi e a San Benedetto, a San Giovanni e a Ingurtosu. E poi, nei primi giorni del 1904, poco dopo la costituzione della federazione regionale dei minatori, fu la volta di Buggerru, centro che si affaccia sulla costa occidentale dell'isola, allora un grosso borgo di 9mila abitanti circondato dalle miniere di calamina, di blenda e di galena.
Lo sfruttamento delle quali venne assunto da una Società anonima francese con 12 milioni di capitale denominata "Malfidano". Il direttore era un turco, naturalizzato greco: l'ing. Achille Georgiades, coadiuvato da uno svizzero, tale Steiner.
A Buggerru tutto apparteneva alla società francese: i pozzi, la laveria, le officine, i magazzini, la scuola, le case, la terra, sulla quale nessuno poteva costruire neppure un muretto, né raccogliere legna per il focolare, né piantare un albero. Alla società francese apparteneva, oltre a tali proprietà, la vita stessa degli uomini, poiché poteva disporre del loro lavoro, poteva concedere o negare un tetto sotto il quale ripararsi, un luogo nel quale farsi curare nell'eventualità non remota d'un infortunio o d'una malattia (non erano molti i lavoratori che sfuggissero al flagello della silicosi e della tubercolosi che rodevano i polmoni).
I minatori a Buggerru erano più di 2mila e ad essi si aggiungevano le donne addette alla cernita dei minerali e i ragazzi.
I salari giornalieri erano a dir poco miserabili: per le donne "cernitrici" e i ragazzi oscillavano da 0,60 a 1,20 lire; per gli uomini "armatori" da 0,80 a 2 lire e pochissimi arrivavano a 3 lire.
Durissime le condizioni di lavoro.
Nelle laverie lavoravano, secondo le stagioni, dalle 10 alle 12 ore; nell'esterno delle miniere 10 ore, nell'interno 8 ore.
I turni avevano una durata non inferiore alle 9 ore; non esisteva il giorno di riposo settimanale; non esistevano contratti di lavoro, i minatori dipendevano interamente dai "caporali" che avevano il potere di assumere, di licenziare, di infliggere multe e di punire i lavoratori più sindacalizzati spedendoli nei punti di lavoro più disagiati. Ciascun minatore doveva provvedere da sé all'acquisto degli strumenti di lavoro e persino dell'olio per la lampada.
Per comprendere il valore reale di questi miserevoli salari basta rapportarli al prezzo di alcuni beni di prima necessità praticati nel 1904 dalla cantina di Buggerru dove il pane costava da 0,27 a 0,34 lire al kg; la pasta a non meno di 0,49-0,55 lire al kg; il vino oscillava da 0,24 a 0,30 lire al litro; l'olio al litro 1,25 lire; formaggio al kg 1,50; zucchero 1,50 al kg; lardo 1,90 al kg e il caffè a 2,80 lire al kg.
Ma la scintilla che diede il via alla protesta scoccò il 2 settembre 1904, quando la direzione ordinò di anticipare di un mese l'entrata in vigore dell'orario di lavoro invernale. Di conseguenza anche l'intervallo del lavoro sarebbe stato ridotto di un'ora.

LA RIVOLTA E LA BRUTALE REPRESSIONE
Quel pomeriggio i pozzi restarono deserti. Gli operai, in una massa che ingrossava via via, si diressero verso l'abitato e il cuore della miniera, interrompendo il lavoro nelle officine e in ogni altro impianto. Fu così anche l'indomani, sabato 3 settembre: pozzi, officine, laveria e magazzini deserti, mentre una gran folla riempiva la piazza.
La società francese corse ai ripari e chiese l'intervento del governo.
Il 4 settembre nel paese giunsero da Cagliari due compagnie del 42° reggimento di fanteria. La folla che gremiva la strada principale del paese li accolse in un silenzio ostile. Poco dopo i soldati con le baionette già cariche si schierarono in assetto da guerra all'esterno dell'hotel dove alloggiavano. Le minacce e i tentativi di disperdere con la forza i manifestanti da parte dei soldati non sortirono alcun effetto. Fu allora che i soldati imbracciarono i moschetti e spararono sulla folla inerme. La tragedia si consumò in pochi minuti: sulla terra battuta della piazza giacevano una decina di minatori. Due, Felice Littera di 31 anni, di Masullas, e Giovanni Montixi di 49 anni, di Sardara, erano morti. Un terzo, Giustino Pittau, di Serramanna, colpito alla testa, morì in ospedale. Un mese dopo anche il ferito Giovanni Pilloni perì.
Il 7 settembre nelle miniere di Buggerru riprese il lavoro: il direttore concesse che per tutto il mese l'intervallo fosse di 3 ore invece di 2. Una modesta vittoria ottenuta a prezzo altissimo.
Ma il sangue versato dai minatori sardi in quella eroica giornata di lotta non scorse invano. La notizia dell'eccidio di Buggerru suscitò grande emozione e clamore in tutto il movimento operaio e sindacale.

LA REAZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO E SINDACALE ITALIANO
La reazione dei lavoratori fu immediata. Manifestazioni di protesta si susseguirono in varie città. La direzione de "L'Avanti" viene letteralmente sommersa da ordini del giorno votati dalle organizzazioni di base del PSI che condannano risolutamente l'eccidio di Buggerru e chiedono l'immediata proclamazione di uno sciopero politico generale nazionale contro il governo.
Fra le prime a mobilitarsi la "Lega di San Gabriele" (Bologna) che: "riunita in adunanza, di fronte ai continui atti di repressione sanguinosa da parte del governo, fa voti che il partito socialista e il proletariato organizzato d'Italia usino - come mezzo estremo di lotta contro tali prepotenze - l'arma dello sciopero generale politico".
"I socialisti padovani attaccano il militarismo asservito al capitale che ha prodotto il nuovo delitto commesso contro i forti proletari sardi lottanti per il diritto alla vita: la responsabilità degli eccidi ricade sul governo sedicente liberale che, con la impunità e gli encomi, incoraggia questa nuova forma di delinquenza. La protesta energica ed unanime dei lavoratori saprà imporre alle classi dominanti quello che dovrebbe essere un principio elementare di civiltà: il rispetto all'esistenza umana".
Da Cagliari: "si nutre fiducia che il partito socialista sappia escogitare il mezzo migliore per impedire che simili carneficine abbiano nuovamente a verificarsi".
Pesaro si schiera: "contro la politica liberticida del Ministero Giolitti che risponde col piombo alla fame dei lavoratori".
Casale Monferrato denuncia che: "L'eccidio di Buggerru compiuto su operai inermi è la risposta sistematica dell'Italia ufficiale al proletariato chiedente migliori condizioni di lavoro e di vita. Il proletariato organizzato, mediante intensa agitazione, ha diritto di chieder conto al governo di questa nuova infamia".
Parole di indignazione giungono anche da 300 scalpellini di Wassen in Svizzera che scrivono per esprimere la loro viva protesta contro "lo zar Giolitti facendo voti che tutti i circoli e leghe promuovano una seria agitazione onde abbia da seppellire questo fucile omicida dei proletari".
E poi ancora le organizzazioni socialiste delle miniere del Valdarno, Sesto Fiorentino, Camerino, Napoli, Pontedera, Bologna, Portolongone, Isernia, Piombino, Ancona e tante altre che spingono per lo sciopero generale.
La reazione indignata del mondo del lavoro, operaio e sindacale si concretizza in una mozione per lo sciopero generale partita dalla Camera del Lavoro di Milano. Ma all'interno della capitolarda direzione socialista spaccata al proprio interno iniziava allora una defatigante "valutazione della proposta" che di fatto finisce per fare il gioco del governo assassino Giolitti.

LA PROCLAMAZIONE DELLO SCIOPERO GENERALE
L'11 settembre si tiene a Milano un grande comizio contro l'eccidio di Buggerru. Dalla cronaca dei giornali dell'epoca si evince chiaramente la spaccatura fra il vertice attendista e opportunista del PSI e la base che invece spinge sempre più decisamente per la proclamazione dello sciopero generale. Su "La Stampa" si legge il seguente resoconto: "Oggi ebbe luogo il Comizio di protesta pei fatti di Buggerru. Circa quattromila persone vi assistevano nel cortile delle scuole di Porta Romana. Molti oratori si susseguirono, tutti violentissimi, tutti inneggianti alla rivoluzione. Il meno violento fu il Dugoni di Mantova, il quale propose di proclamare entro otto giorni, quale protesta contro l'eccidio di Buggerru, lo sciopero generale in tutta Italia. I soli anarchici osteggiarono la proposta. Essi avrebbero voluto la rivoluzione immediata e si scagliarono contro i socialisti, i quali a Buggerru hanno tentato di sedare il conflitto, dicendo che se essi lo avessero lasciato proseguire sarebbe scoppiata La rivoluzione".
Sulle pagine de "L'Avanti" si sottolinea che: "è finito in questo momento il comizio per l'eccidio di Buggerru che riuscì imponentissimo. Parlarono il compagno Scaramuccia, segretario della Camera del Lavoro, il compagno Codevilla, della Commissione esecutiva della Camera stessa, ed altri oratori repubblicani, socialisti ed anarchici, ed Enrico Dugoni della Federazione socialista mantovana.
Infine, dopo 18 oratori, fu votato per acclamazione, su proposta di Dugoni e Codevilla un ordine del giorno in cui il comizio si augura che il proletariato italiano proclami entro 8 giorni lo sciopero generale, ed invita la Camera del Lavoro a farsi interprete presso le organizzazioni di mestiere. Una grande dimostrazione di popolo si svolge al canto dell'lnno dei lavoratori, ma una legione di poliziotti e carabinieri ne vieta la circolazione e procede a 20 arresti".
Il comizio di Milano (di due giorni successivo a quello al Politeama di Monza conclusosi con un nulla di fatto) e l'approvazione dell'ordine del giorno Dugoni sono una tappa fondamentale nel percorso che, in un crescendo di tensione, porta allo scoppio del primo sciopero generale.
Ma furono necessarie altre violenze poliziesche e altri morti prima che il vertice socialista rompesse ogni indugio e desse il via alla protesta. Il 13 settembre ad Anguillara Sabazia (Roma) una manifestazione di contadini contro alcuni grandi latifondisti, fra cui il principe Torlonia e l'onorevole Tittoni, fu repressa dall'esercito e si concluse con decine di manifestanti feriti. Il giorno dopo, 14 settembre, a Castelluzzo (Trapani) i carabinieri aprirono il fuoco contro una folla di contadini che protestano contro lo scioglimento di una riunione socialista. Il bilancio è pesantissimo: due morti e una decina di feriti.
Di fronte alla nuova ondata repressiva finalmente la direzione del PSI fu indotta a proclamare il 15 settembre il primo sciopero generale della storia d'Italia.
La mobilitazione divampò rapidamente in tutta la Penisola dal 16 al 21 settembre, sulla base dell'attivismo delle forze locali e in modo direttamente proporzionale al rapporto tra scontro sociale, organizzazione del movimento, violenza della repressione.
Milano, Monza, Genova, Torino, Parma, Alessandria, Savona, Bologna, Varese, Ancona, Piombino, Roma furono i centri principali di un vasto movimento diretto dalle Camere del Lavoro, che sarebbe giunto in Emilia e nelle Puglie, dilagando nelle campagne.
Di fronte all'offensiva operaia e contadina Giolitti fece preparare un provvedimento per la militarizzazione dei ferrovieri e per la mobilitazione straordinaria dell'esercito, senza però giungere ad attuarli.
Privo di una direzione autenticamente rivoluzionaria, il proletariato italiano non riuscì a dare alla sua splendida mobilitazione di classe quegli sbocchi e neppure quelle conquiste salariali, sindacali e sociali che si era prefisso.
L'esperienza dei minatori sardi e del primo sciopero generale della storia d'Italia confermano che la lotta di classe è il motore della storia. E che il proletariato, per quanto combattivo e determinato, se non è diretto da un partito autenticamente marxista-leninista non potrà mai aspirare alla conquista del potere politico e neppure al pieno soddisfacimento dei propri bisogni immediati.
Questo è l'insegnamento che dobbiamo trarre da quell'esperienza del primo Novecento per dar vita oggi, all'inizio del terzo millennio, con coraggio, determinazione e fiducia nelle masse popolari sfruttate e oppresse a un nuovo autunno caldo contro i padroni, la controriforma delle pensioni, il documento di programmazione economica e finanziaria di lacrime e sangue ed il caro vita. Bisogna buttar giù il governo del neoduce Berlusconi, per l'Italia unita, rossa e socialista.

8 settembre 2004