Lettera di Engels a Turati
La futura rivoluzione italiana e il partito socialista

Londra, 26 gennaio 1894

Caro Turati,
La situazione in Italia, a mio parere, è questa.
La borghesia, giunta al potere durante e dopo l'emancipazione nazionale, non seppe, né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutti i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa gliene impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili bindolerie bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.
Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, retaggio non solo dei tempi feudali, ma benanche dell'antichità (mezzadria, latifundia del mezzodì, ove il bestiame surroga l'uomo); dall'altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È ben il caso di dire con Marx che "noi siamo afflitti, come tutto l'occidente continentale europeo, e dallo sviluppo della produzione capitalista, e ancora dalla mancanza di questo sviluppo. Oltre i mali dell'epoca presente abbiamo a sopportare una lunga serie di mali ereditarii, derivanti dalla vegetazione continua dei modi di produzione che hanno vissuto, colla conseguenza dei rapporti politici e sociali anacronistici che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vif". Questa situazione spinge a una crisi. Dappertutto la massa produttrice è in fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?
Evidentemente il partito socialista è troppo giovane e, per effetto della situazione economica, troppo debole per sperare una vittoria immediata del socialismo. Nel paese la popolazione agricola prevale, e di gran lunga, sulla urbana; poche, nelle città, le industrie sviluppate, scarso quindi il proletariato tipico; la maggioranza è composta di artigiani, di piccoli bottegai, di spostati, massa fluttuante fra la piccola borghesia e il proletariato. È la piccola e media borghesia del Medioevo in decadenza e disintegrazione, la più parte proletari futuri, non ancora proletari dell'oggi. È questa classe, sempre faccia a faccia colla rovina economica e ora spinta alla disperazione, che sola potrà fornire e la massa dei combattenti e i capi di un movimento rivoluzionario. Su questa via la seconderanno i contadini, ai quali il loro stesso sparpagliamento sul territorio e il loro analfabetismo vietano ogni iniziativa efficace, ma che saranno ad ogni modo ausiliarii e indispensabili. In caso di un successo più o meno pacifico, si avrà un cangiamento di Ministero, coll'avvenimento al potere dei repubblicani "convertiti", i Cavallotti e compagnia; in caso di rivoluzione, si avrà la repubblica borghese.
Di fronte a queste eventualità, quale sarà l'ufficio del partito socialista?
Dal 1848 in poi, la tattica che ha portato i maggiori successi ai socialisti fu quella del Manifesto dei Comunisti. "I socialisti, nei varii stadii attraversati dalla lotta fra proletariato e borghesia, difendono sempre l'interesse del movimento generale...; lottano bensì per raggiungere scopi immediati nell'interesse delle classi lavoratrici, ma nel moto presente rappresentano eziandio l'avvenire del movimento". Essi pigliano dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta delle due classi, senza mai perder di vista che queste fasi non sono che altrettante tappe conducenti alla prima grande meta: la conquista del potere politico da parte del proletariato, come mezzo di riorganizzazione sociale. Il loro posto è fra i combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell'interesse della classe operaia: tutti questi vantaggi politici o sociali essi li accettano, ma solo come acconti. Perciò essi considerano ogni movimento rivoluzionario o progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionarii e, quando uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato. Questa tattica, che mai non perde di vista il gran fine, risparmia ai socialisti le disillusioni cui vanno soggetti infallibilmente gli altri partiti meno chiaroveggenti - sia repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice tappa per il termine finale della marcia in avanti. Applichiamo tutto questo all'Italia.
La vittoria della piccola borghesia in disintegrazione e dei contadini porterà dunque forse un Ministero di repubblicani "convertiti". Ciò ci procurerà il suffragio universale e una libertà di movimento (stampa, riunione, associazione, abolizione dell'ammonizione, ecc.) assai più considerevole - nuove armi che non sono da disdegnare.
Oppure ci porterà la repubblica borghese, cogli stessi uomini e qualche mazziniano con essi. Ciò allargherebbe ancora e di assai la nostra libertà e il nostro campo di azione, almeno pel momento. E la repubblica borghese, ha detto Marx, è la sola forma politica nella quale la lotta fra proletariato e borghesia può avere soluzione. Senza dire del contraccolpo che ne risentirebbe l'Europa.
La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che renderci più forti e collocarci in un ambiente più favorevole. Commetteremmo il più grande degli errori se, di fronte ad esso, vorremo astenerci, se nel nostro contegno rimpetto ai partiti "affini" vorremo limitarci a una critica puramente negativa. Potrà arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo positivo. Quale sarà questo momento?
Evidentemente non è a noi che spetta di preparare direttamente un movimento che non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo. Se i repubblicani e i radicali credono scoccata l'ora di muoversi, diano essi libero sfogo alla loro impetuosità. Quanto a noi, fummo troppo spesso ingannati dalle grandi promesse di questi signori, per lasciarvicisi prendere un'altra volta. Né le loro proclamazioni né le loro cospirazioni dovranno menomamente toccarci. Se noi siamo tenuti a sostenere ogni movimento popolare reale, siamo tenuti ugualmente a non sacrificare indarno il nucleo appena formato del nostro partito proletario, e a non lasciar decimare il proletariato in sterili sommosse locali.
Se al contrario il movimento è davvero nazionale, i nostri uomini non staranno nascosti, non vi sarà neppure bisogno di lanciar loro una parola di ordine... Ma allora dovrà ben essere inteso, e noi dovremmo proclamarlo altamente, che noi partecipiamo come partito indipendente, alleato pel momento ai radicali e repubblicani, ma interamente distinto da essi; che non ci facciamo alcuna illusione sul risultato della lotta in caso di vittoria; che questo risultato, lungi dal renderci soddisfatti, non sarà per noi che una tappa guadagnata, nuova base d'operazioni per conquiste ulteriori; che il dì stesso della vittoria le nostre strade si divideranno; che da quel giorno, di fronte al nuovo governo, noi formeremo la nuova opposizione, opposizione non già reazionaria, ma progressiva, opposizione d'estrema sinistra che spingerà a nuove conquiste al di là dei terreni guadagnati.
Dopo la vittoria comune, potrebbe esserci offerto qualche seggio nel nuovo governo, ma sempre nella minoranza. QUESTO È IL PERICOLO PIU' GRANDE. Dopo febbraio 1848 i democratici socialisti francesi (della Réforme, Ledru-Rollin, Louis Blanc, Flocon, ecc.) commisero l'errore di accettare cosiffatte cariche. Minoranza nel governo, essi condivisero volontariamente la responsabilità di tutte le infamie e i tradimenti, di fronte alla classe operaia, commessi dalla maggioranza di repubblicani puri; mentre la presenza loro nel governo paralizzava completamente l'azione rivoluzionaria della classe lavoratrice che essi pretendevano rappresentare. In tutto questo, io non dò che la mia opinione personale, poiché me l'avete domandata, e ancora con la maggior diffidenza. Quanto alla tattica generale, ne ho sperimentato l'efficacia durante tutta la mia vita; non una volta essa mi ha fallito. Ma quanto alla sua applicazione alle condizioni attuali in Italia, è altra cosa; ciò deve decidersi sul posto e da coloro che si trovano in mezzo agli avvenimenti.
Federico Engels

(Sta in Marx-Engels, Scritti italiani, Ed. "Avanti!" 1955, pagg. 170-174)