Battere la crociata clerico-fascista
L'EUTANASIA VA DEPENALIZZATA E LEGALIZZATA


L'eutanasia, dal greco eu, "bene", thanatos, "morte", significa "buona morte", "dolce morte" ed è una pratica che procura la morte, in genere nel modo meno doloroso possibile, a persone affette da morbi, sindromi o malattie considerate incurabili, allo scopo di alleviare inutili, atroci, sofferenze o per porre fine all'insopportabile angoscia per la perdita del significato dell'esistenza. Può essere richiesta quindi sia da malati terminali, sia da quelle persone che, pur non essendo prossime alla morte, chiedono di morire a causa di forti sofferenze. L'eutanasia dovrebbe far parte dei diritti civili fondamentali della persona, includendo il diritto alla scelta dei trattamenti medici più opportuni per la propria condizione di salute, il diritto all'assistenza sanitaria nelle fasi terminali della vita, compreso l'aiuto a morire, nel caso sia rimasta l'unica, ed efficace, possibilità "terapeutica".

Che cos'è l'eutanasia
Schematicamente si distingue: l'eutanasia attiva, che provoca attivamente la morte attraverso l'utilizzo di farmaci o sostanze ad effetto rapido ed indolore; l'eutanasia passiva che procura indirettamente la morte del paziente ammalato, ossia mediante la sospensione delle cure palliative o di altri interventi artificiali di sostegno alla vita, aspettando così che il decesso sopraggiunga in modo "naturale"; il suicidio assistito, in cui al malato vengano forniti i mezzi per togliersi la vita in modo non doloroso. In questo caso, a differenza dell'eutanasia attiva e passiva, chi assiste il suicidio non partecipa direttamente alle azioni che portano alla morte il paziente.
Un concetto antitetico all'eutanasia, nelle sue diverse modalità, è l'accanimento terapeutico, ossia il tentativo di tenere in vita una persona sofferente o morente anche contro la sua volontà e/o il parere dei familiari, dei conoscenti, degli amici e del personale sanitario. In Italia l'accanimento terapeutico è la pratica medica di gran lunga più diffusa, a causa della legislazione fascista ancora in vigore, degli interessi e delle pressioni delle case farmaceutiche sulla pratica clinica e sulla formazione dei medici, e dell'influenza del terrorismo psicologico operato dalla chiesa cattolica nei confronti del personale sanitario in generale. Si arriva ai limiti della tortura, costringendo il paziente che vuole morire a un vero e proprio calvario, com'è stato il caso di Piergiorgio Welby, completamente paralizzato dalle conseguenze della terribile sclerosi laterale amiotrofica, eppure perfettamente lucido nelle sue facoltà intellettive. Egli, fino al giorno del suo decesso avvenuto il 21 dicembre scorso, si è battuto con determinazione perché fosse riconosciuto il diritto all'eutanasia per tutti quei malati che come lui sono condannati al prolungamento assurdo dell'agonia e ad atroci sofferenze e non hanno alcuna speranza di guarigione.
Nei paesi con legislazione repressiva, come l'Italia, un paziente in tali condizioni è costretto in tutti i casi ad attendere, anche per lunghi anni, lo stadio del coma irreversibile, anche detto stato vegetativo persistente. Viene considerato clinicamente morto e si può procedere eventualmente all'espianto degli organi per i trapianti, solo se il paziente è giunto allo stadio di morte biologica, ossia la cessazione di tutte le funzioni vitali, o in altri casi di morte cerebrale, ossia la perdita di tutte le facoltà intellettive superiori. In Italia per diagnosticare l'avvenuto decesso devono passare 6 ore dalla constatazione di un elettroencefalogramma piatto.
Un'altra distinzione sul piano operativo è l'eutanasia di persone capaci di intendere e di volere e quella di persone in situazioni di coma irreversibile o comunque non in grado - non più in grado - di esprimere la propria volontà.
La battaglia delle associazioni in lotta per una regolamentazione dell'eutanasia in senso non restrittivo rivendicano, oltre che - ovviamente - la sua depenalizzazione e legalizzazione, anche la liceità e il valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di cosiddette "dichiarazioni" (o "direttive") "anticipate" qualora questi, in futuro, si venisse a trovare nell'impossibilità di opinare sulle cure ricevute. Si tratta del cosiddetto "testamento biologico" che permette agli individui di sottrarsi all'accanimento terapeutico e di alleviare il personale sanitario, i familiari, i conoscenti e gli amici dall'incombenza di dover decidere al suo posto. Purtroppo però nella maggior parte dei paesi in cui è in vigore, senza una legislazione allargata, il "testamento" non permette di dare indicazioni sull'eventuale ricorso all'eutanasia attiva e al suicidio assistito, lasciando così un grande vuoto normativo sia per i pazienti in grado di intendere e di volere sia per quelli non capaci di intendere e di volere che per un qualsiasi motivo non hanno espresso una richiesta esplicita. Esso è dunque solo un primo passo sulla via del riconoscimento del diritto alla morte.

La situazione legislativa in Italia e nel mondo
Attualmente l'eutanasia è "legale" in numerosi paesi europei ed extraeuropei. In I'Italia, invece tutte le sue forme vengono giuridicamente inquadrate come omicidio, essendo ferma la legislazione al codice penale Rocco, imposto durante il ventennio fascista. L'eutanasia attiva è assimilata all'omicidio volontario (art. 575 c.p.). In caso di consenso dell'ammalato si configura l'"omicidio del consenziente" (art. 579 c.p.) punito con la reclusione da 6 a 15 anni di carcere. Anche il suicidio assistito è un reato, si chiama "istigazione o aiuto al suicidio" (art. 580 c.p.). L'eutanasia passiva è permessa in ambito ospedaliero, nel reparto di rianimazione, solo nel caso di morte cerebrale. Devono essere interpellati i parenti e si richiede la presenza e il permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale. In caso di parere discordante fra medici e parenti, si va in giudizio e in questo caso è il giudice a decidere. Sulla base di queste norme aberranti il 15 dicembre il tribunale civile di Roma aveva giudicato inammissibile il ricorso presentato da Welby per staccare le macchine che lo tenevano in vita.
Nel 2002 l'Olanda è stato il primo paese al mondo a dotarsi di una legge che regolamenta l'eutanasia, anche quella "attiva" ed anche quella richiesta dai genitori per alleviare il calvario di neonati con gravissime malattie e malformazioni. In Svezia l'eutanasia non è perseguita penalmente. In Germania il "suicidio assistito" non è un reato, purché ovviamente il malato sia capace di intendere e di volere e ne faccia richiesta esplicita. In Danimarca il "testamento biologico" e le cosiddette "direttive anticipate" hanno valore legale. I parenti del malato possono autorizzare l'interruzione delle cure (eutanasia passiva). In Svizzera è previsto e tollerato il "suicidio assistito", anche se viene praticato fuori dell'istituzione medica, da una associazione privata chiamata "Exit". Il medico deve limitarsi a fornire i farmaci al malato. In Inghilterra è all'esame del parlamento una legge che permette il "suicidio assistito". In Austria esisteva una legge avanzata e permissiva, abrogata nel 1977. In alcuni Stati degli Stati Uniti e in Australia e Canada, il "testamento biologico" ha valore legale. Nell'Oregon (Usa) è possibile anche il "suicidio assistito", nonostante la materia non sia stata regolamentata legislativamente per l'opposizione di un tribunale federale. I territori del Nord dell'Australia legalizzarono anche "l'eutanasia attiva volontaria", ma il parlamento federale annullò il provvedimento nel 1998. In Colombia non c'è una regolamentazione legislativa, ma una sentenza della corte costituzionale ha di fatto legalizzato la pratica. In Cina una legge del 1998 autorizza gli ospedali a praticare l'eutanasia passiva a malati terminali.

Un fenomeno sommerso
L'eutanasia dev'essere al più presto legalizzata, anche per porre fine al dilagare del ricorso ad essa in forma clandestina e incontrollabile, sia nelle corsie degli ospedali, sia tra le mura domestiche. E' noto ad esempio che alcuni anestesisti, medici e infermieri praticano l'eutanasia di nascosto, per compassione, staccando le apparecchiature e i sondini o anche praticando "iniezioni letali", inducendo overdosi da benzodiazepine e oppiacei. Secondo un articolo pubblicato su Lancet nel 2003 "il 23% dei decessi in Italia è stato preceduto da una decisione medica sul fine vita", mentre il Corriere della sera ha pubblicato uno studio del centro di bioetica di Milano che ha riguardato 259 rianimatori, da cui emerge che il 38,6% riconosce di avere sospeso le cure almeno in un'occasione, il 42% "più spesso". In nessun caso questo "atto medico" viene riportato sulla cartella clinica per il timore di essere denunciati dai parenti e finire in tribunale. Così com'è noto che molti ospedali per liberare legalmente le corsie dimettono i pazienti in punto di morte, scaricando il pesante onere dell'assistenza, nella più o meno lunga fase che segue alla sospensione delle terapie (eutanasia passiva), sulle famiglie, in particolar modo donne e badanti.

La nostra posizione
Noi siamo favorevoli alla depenalizzazione dell'eutanasia in tutte le sue forme, nonché all'introduzione del testamento biologico. La piena apertura all'utilizzo di farmaci che alleviano il dolore come gli oppiacei e i cannabinoidi non è in contraddizione con il diritto all'eutanasia, perché in entrambi i casi si tratta di allargamento dello spettro delle possibilità terapeutiche.
La priorità deve andare alla volontà del paziente, che sia accertata chiaramente in forma scritta o orale, dichiarata nel passato o nel presente, e sorretta da tutte le informazioni mediche e il sostegno psicologico necessario. In situazioni eticamente più problematiche, ad esempio in caso si ipotizzi il ricorso ad eutanasia attiva non volontaria, vanno pienamente coinvolti nel sostegno alla "decisione" oltre che i medici di base e specialisti, gli infermieri, gli psicologi, gli assistenti sociali dei servizi pubblici delle Asl e dei distretti sanitari, le eventuali associazioni di volontariato che operano nel settore, e ovviamente i familiari, i conoscenti e gli amici più stretti del paziente. A tutti coloro insomma che già conoscono bene ed hanno aiutato il paziente nel passato prossimo va riservata l'ultima parola. In caso non si riesca ad avere una maggioranza qualificata per contrasti di opinioni, ad esempio tra gli operatori sanitari e i familiari, bisogna prevedere che a decidere sia, in tempi rapidi, la magistratura.
E' molto importante stabilire fin dall'inizio che dal ricorso all'eutanasia siano rigorosamente esclusi i privati e qualsiasi ente governativo, che potrebbero essere interessati ad applicarla per cinici scopi di lucro, risparmio od altro, così come è decisivo non lasciare il potere decisionale nelle mani della sola categoria medica, poiché attualmente essa non può essere considerata del tutto preparata ed affidabile in tal senso. Un concetto quello del coinvolgimento di tutti i lavoratori della sanità, dei pazienti e dei loro cari che a rigor di termini dovrebbe valere per l'insieme delle attività sanitarie.
Una volta raggiunto l'obiettivo occorrerà vigilare che i "comitati sanitari pubblici per l'eutanasia" non siano colonizzati dagli "obiettori di coscienza", come avviene attualmente nelle strutture preposte all'interruzione di gravidanza.

La battaglia da fare
Per noi comunque la battaglia per vedere riconosciuto questo fondamentale diritto civile non può essere slegata da quella per il potenziamento dell'assistenza domiciliare integrata ai pazienti affetti da patologie cronico-degenerative, in particolare ai disabili, ai pazienti psichiatrici, ai pazienti terminali ed oncologici, per l'ammodernamento dei reparti di lungodegenza, visto che in questo settore soprattutto al Sud siamo all'anno zero, e il fondo per la non autosufficienza stanziato dalla finanziaria di Prodi è del tutto insufficiente all'emergenza. Come non può essere disgiunta dalla battaglia per la legalizzazione e il finanziamento alla ricerca pubblica sulle cellule staminali embrionali che apre prospettive molto incoraggianti per le terapie di gravi sindromi e patologie cronico-degenerative quali l'Alzheimer, il Parkinson, la Sclerosi multipla, le leucemie, il diabete, i tumori, ecc., battaglia ignobilmente boicottata dall'astensionismo al referendum sulla fecondazione assistita promosso da Ratzinger e Ruini e dai loro lacché. Al governo in carica chiediamo di abrogare la legge 40. Inoltre chiediamo l'istituzione di corsi di studi sulla "dolce morte" nelle facoltà di Medicina, le quali devono essere finalmente aperte all'insegnamento delle cosiddette "medicine alternative", come la medicina tradizionale cinese, che in caso di dolore cronico sono molto più efficaci e meno dannose delle terapie occidentali. In ogni Asl devono essere aperti ambulatori pubblici e gratuiti di agopuntura.
Risulta certo che quella per l'eutanasia sarà una lotta non facile ma di lunga durata e investirà in pieno le gerarchie ecclesiastiche che vogliono far girare indietro la ruota della storia fino al medioevo, epoca in cui tutto era a loro sottomesso. Esse con impareggiabile arroganza e crudeltà inneggiano alla difesa della vita, "dono di dio", dal concepimento alla morte naturale, bollano l'uso del profilattico e l'eutanasia come un peccato mortale, ostacolando in tal modo la prevenzione di malattie che mietono milioni di vittime e indicibili sofferenze in tutto il mondo. L'uomo non deve disporre né della propria vita né della propria morte: di fronte a questo dogma lo stesso concetto di "carità cristiana" verso la sofferenza umana va a farsi benedire. La chiesa cattolica in questo senso rimane un'organizzazione criminale, che si oppone, armi in pugno, alla difesa e all'allargamento di ogni diritto civile e sociale, anzitutto del popolo italiano. L'umanità progressista, che comprende anche tanti cristiani, può e deve sconfiggere le posizioni oscurantiste e reazionarie del Vaticano e dei suoi servi.

4 dicembre 2007