Una domanda al direttore de "La Repubblica"
Ezio Mauro, ma qual è la natura dello "stato d'eccezione"?
Nell'Italia di oggi viviamo in uno "stato d'eccezione" in cui il principio di legalità è sospeso e il "sovrano" Berlusconi, da cui promana questo stato di cose, si appresta a cambiare la Costituzione per adattare le istituzioni al suo potere assolutistico. Questa è in sostanza la tesi su cui da qualche tempo batte il quotidiano La Repubblica, e in particolare il suo direttore Ezio Mauro, che l'ha esposta in forma estesa in un editoriale dell'11 dicembre scorso, dopo che il suo vice Massimo Giannini l'aveva già affacciata esattamente un mese prima, commentando l'accordo tra Berlusconi e Fini che aveva dato via libera al disegno di legge sul "processo breve".
L'editoriale di Mauro è stato scritto subito dopo il discorso golpista di Berlusconi al congresso del PPE a Bonn, in cui il neoduce ha attaccato la magistratura, la Consulta e il capo dello Stato e ha annunciato che cambierà al più presto la Carta costituzionale perché lui "ha le palle" per farlo. Ma se da una parte il direttore di Repubblica rileva giustamente la gravità di tale intervento e del disegno politico che gli sta dietro, dall'altra ne dà un'interpretazione assolutamente riduttiva e reticente, e le conclusioni che ne trae sono quantomeno ambigue e fuorvianti. Un vizio del resto comune a tutta la "sinistra" borghese e segnatamente al PD a cui l'editoriale è rivolto come un "monito" a non lasciarsi troppo irretire nel gioco del neoduce.
"Ieri - scrive Mauro riferendosi appunto all'intervento europeo di Berlusconi - è finita la lunga transizione italiana. Siamo entrati nello stato d'eccezione: ed è la prima volta, nella storia della nostra democrazia. Si apre una fase delicata e inedita, che chiude la seconda Repubblica su una prova di forza che non ha precedenti, e non riguarda i partiti ma direttamente le istituzioni". E qui già ci sarebbe da obiettare che per quanto di particolare gravità tale intervento non cade certo come fulmine a ciel sereno, come appare invece dalle parole di Mauro, dato che se c'è una cosa che non si può imputare al neoduce è quella di aver nascosto fin qui le sue irrefrenabili smanie golpiste e il suo disegno neofascista e presidenzialista; disegno che del resto era già tutto scritto nero su bianco nel "piano di rinascita democratica" e nello schema R" della P2 di Gelli, e solo chi finora ha fatto finta per opportunismo di non vederlo può dire di esserne rimasto scioccato.
Ma anche prendendo per buono lo stupore di Mauro e concedendogli il beneficio del "meglio tardi che mai", quale sarebbe secondo lui la natura di questo "stato d'eccezione" (termine preso in prestito dal filosofo cattolico filonazista Carl Schmitt, molto in voga tra i neoliberisti e al quale si rifaceva tra l'altro anche il neofascista, presidenzialista e federalista Gianfranco Miglio) in cui saremmo entrati "per la prima volta"? "Siamo dunque - così lo spiega il direttore di Repubblica - alla vigilia di una forzatura annunciata in cui lo stato d'eccezione deve sanzionare il privilegio di un uomo, non più uguale agli altri cittadini perché in lui si trasfigura la ragion di Stato della volontà generale, che lo scioglie dal diritto comune. Si statuisca dunque per legge che il diritto non vale per Silvio Berlusconi, che il principio costituzionale di legalità è sospeso davanti al principio mistico di legittimità, che la giustizia si arresta davanti al suo soglio. La teoria politica dà un nome alle cose: l'assolutismo è il potere che scioglie se stesso dal bilanciamento di poteri concorrenti, l'autoritarismo è il potere che non specifica e non riconosce i suoi limiti, il bonapartismo è il potere che istituzionalizza il carisma, la dittatura è il comando esercitato fuori da un quadro normativo".
"Assolutismo", "autoritarismo", "bonapartismo", "stato d'eccezione", tutto meno che chiamare le cose col loro vero nome: e cioè che quello in cui viviamo non è soltanto uno "stato d'eccezione" e Berlusconi non è solo il "sovrano" che nell'accezione schmittiana lo decreta e lo impugna come fonte del potere, bensì un regime neofascista in piena regola, e Berlusconi ne è il suo nuovo Mussolini. Perché rifarsi al filosofo tedesco per fornire un'interpretazione riduttiva e fuorviante della realtà, quando si ha sotto gli occhi tutti i giorni la somiglianza lampante tra il neoduce di Arcore e il suo vero maestro e ispiratore, Benito Mussolini? E tra il ventennio mussoliniano e il regime neofascista oggi imperante? Certo, un regime che rispetto al fascismo si ammanta di "democrazia" e si maschera dietro nuovi slogan, nuove insegne e nuovi vessilli, ma il cui potere di condizionamento e di controllo delle masse è altrettanto forte e pervasivo che nel ventennio, grazie allo stretto controllo berlusconiano di stampa e televisione e all'asservimento della "sinistra" borghese rinnegata e riformista al sistema.
Il fatto è che Mauro non può chiamare le cose col loro vero nome, perché altrimenti dovrebbe indicare Berlusconi come il nemico numero uno della democrazia, un nemico da abbattere al più presto con la lotta di massa e di piazza, mentre invece tutto il suo antiberlusconismo si limita all'appellarsi a Napolitano perché difenda la Costituzione borghese dagli assalti del cavaliere piduista e al PD affinché non si lasci turlupinare concedendogli troppo nel pur necessario "dialogo" sulle "riforme". Riguardo a quest'ultimo punto, è significativo che Mauro senta il bisogno di sottolineare che i tanti giornalisti compiacenti, nel nascondere "i mezzi e gli obiettivi del cavaliere, fingendo che la Repubblica fosse di fronte ad un passaggio ordinario e non straordinario", stiano tentando addirittura di "imprigionare il Partito democratico nella ragnatela di una complicità gregaria a cui Bersani non ha mai nemmeno pensato". Il che suona in realtà come uno scongiuro e una messa in guardia al vertice del PD, che invece - e Mauro lo sa bene - a inciuciare con Berlusconi ci sta pensando eccome.
Quanto a Napolitano è vero che come dice Mauro "ha dovuto esprimere profondo rammarico e preoccupazione per il violento attacco del premier" alle istituzioni; ma pochi giorni dopo, nel messaggio di capodanno, si era già scordato tutto e tutta la sua unica preoccupazione era rivolta ad incitare le forze politiche all'unità per porre mano con urgenza alle "riforme istituzionali" e alla "riforma della giustizia", che "non possono essere più rinviate": cioè esattamente quello che Berlusconi aveva perentoriamente invocato nel suo proclama golpista al congresso del PPE, e che ora come per incanto il rinnegato del Quirinale, nuovo Vittorio Emanuele III, non vede più con "preoccupazione", solo perché dopo l'aggressione a Berlusconi si sarebbe instaurato "un clima nuovo" che facilita il "dialogo" tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista.
Di fronte a questa realtà, in cui il Quirinale e l'intero parlamento nero ballano la musica suonata dal pifferaio Berlusconi, per non parlare della quasi totalità dell'apparato mediatico, assumono perciò un sapore velleitario e anche un po' ridicolo le proposizioni di Mauro, quando nel concludere il suo allarmato editoriale afferma idealisticamente che "bisogna dire no allo stato d'eccezione. E bisogna avere fiducia nella forza della democrazia. Che non si lascerà deformare, nemmeno nell'Italia di oggi". Ma non dice concretamente quali forze, quali forme di lotta e quali obiettivi occorre mettere in campo per impedire che si realizzi totalmente il disegno neofascista e presidenzialista del nuovo Mussolini.
Al contrario del quotidiano di De Benedetti e Scalfari e diretto da Mauro, che non si spinge oltre il ruolo di grillo parlante del PD di Bersani e D'Alema, noi ribadiamo invece che è ora di muovere la piazza per liberarsi di Berlusconi. Altrimenti non ci saranno ostacoli al golpismo istituzionale, alla macelleria sociale e all'interventismo militare all'estero del governo del nuovo Mussolini.

8 gennaio 2010